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martedì 9 settembre 2014

Riorganizzazione del Ministero del lavoro

Sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 25 agosto il Governo ha pubblicato il D.P.C.M. 14 febbraio 2014, n. 121, il quale contiene il Regolamento di organizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; con questo decreto vengono riorganizzate le sedi sul territorio del Ministero del Lavoro, cioè le Direzioni Regionali del Lavoro (DRL) e le Direzioni Territoriali del Lavoro (DTL ex DPL).
In pratica vengono accorpate le Direzioni Regionali del Lavoro che ora diventano DIL e anche le Direzioni Territoriali del Lavoro che non cambiano nome ma vengono ridotte numericamente attraverso l’accorpamento delle sedi periferiche più piccole.
L’Amministrazione territoriale del Ministero sarà ora articolata in ottantacinque Uffici dirigenziali di livello non generale di cui Quattro “Direzioni interregionali del lavoro” di seguito denominate DIL e ottantuno “Direzioni territoriali del lavoro”.
Direzioni interregionali del lavoro – DIL

  • DIL di Milano che svolge funzioni di coordinamento delle Direzioni territoriali del lavoro delle Regioni: Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle D’Aosta;
  • DIL di Venezia che svolge funzioni di coordinamento delle Direzioni territoriali del lavoro delle Regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche e Veneto;
  • DIL di Roma che svolge funzioni di coordinamento delle Direzioni territoriali del lavoro delle Regioni: Abruzzo, Lazio, Sardegna, Toscana e Umbria;
  • DIL di Napoli che svolge funzioni di coordinamento delle Direzioni territoriali del lavoro delle Regioni: Basilicata, Campania, Calabria, Molise e Puglia.

La richiesta di ferie deve essere sempre formalizzata: legittimo, in mancanza, il licenziamento

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 17538 del 1 agosto 2014, ha affermato che la richiesta delle ferie, al termine del periodo di comporto, deve essere formale ed è legittimo quindi il licenziamento del lavoratore, in caso contrario.
Il caso ha riguardato un lavoratore che al termine di una lunga malattia, avendo superato il periodo di comporto, aveva fatto una richiesta informale delle ferie, senza fornire invece una espressa richiesta scritta all’azienda.
Per la Corte è quindi legittimo il licenziamento dopo che sia il Tribunale di Pesaro che la Corte d’Appello di Ancona lo avevano giudicato illegittimo. Questo perchè come da consolidata giurisprudenza della Corte premesso che
il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia (cfr Cass. n. 11691/1998, n. 5078/2009)
la forma scritta in questo caso è necessaria in quanto come stabilito in una precedente sentenza
il lavoratore che, assente per malattia ed impossibilitato a riprendere servizio intenda evitare la perdita del posto di lavoro a seguito dell’esaurimento del periodo di comporto, deve comunque presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il datore di lavoro possa concedere al medesimo di fruire delle ferie durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro, nè le condizioni di confusione mentale del lavoratore per effetto della malattia fanno venir meno la necessità di una espressa domanda di fruizione delle ferie, indispensabile a superare il principio di incompatibilità tra godimento delle ferie e malattia (cfr Cass. n. 3028/2003, n. 6043/2000)
La questione della sussistenza della prova della richiesta di usufruire delle ferie da parte della lavoratrice risulta pertanto, fondamentale ai fini della corretta decisione della fattispecie in esame. Pertanto in mancanza della prova, ovvero della richiesta scritta delle ferie, la Corte giudica legittimo il licenziamento da parte del datore di lavoro.


Fonte: http://www.lavoroediritti.com/2014/08/cassazione-richiesta-ferie-periodo-malattia/#ixzz3CnJZXhHs

martedì 2 settembre 2014

INDENNITA' SOSTITUTIVA DELLA REINTEGRA - IL DATORE DI LAVORO NON E' TENUTO A CORRISPONDERE LE RETRIBUZIONI MATURATE SUCCESSIVAMENTE

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 maggio – 27 agosto 2014, n. 18353
Presidente Canevari – Relatore Amoroso
Le sezioni unite confermano l'orientamento ultimo, fatto proprio dalla riforma Fornero dell'art. 18 SdL, secondo il quale a seguito dell'esercizio dell'opzione per l'indennità sostitutiva dell reintegrazione, il rapporto è da intendrsi risolto e, pertanto, il datore di lavoro non è tenuto a corrispondere le retribuzioni maturate fino all'effettiva corresponsione dell'indennità. Ricordiamo che il novellato art. 18 SdL ha già escluso tale obbligo retributivo in maniera espressa e, pertanto, la posizione assunta dalle Sezioni Unite (giunta quindi con notevole ritardo rispetto al Legislatore) riguarda solo i licenziamenti operati in data anteriore all'entrata in vigore della riforma Fornero.
Ecco il testo della massima.

"Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale - quale è quello, nella specie applicabile ratione temporis, previsto dall'art. 18 legge 20 maggio 1970 n. 300, nel testo precedente le modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92 - opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal quinto comma dell'art. 18 cit., il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo con la conseguenza che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore”.

sabato 2 agosto 2014

CASO SCHETTINO: CONFERMATA DALLE SS.UU. DELLA CASSAZIONE L'ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA - DOTT. ROCCO

Così si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 17443, depositata il 31 luglio 2014.
La vicenda nasce dal ricorso dinanzi al Tribunale di Genova in funzione di Giudice del Lavoro promosso in data 18/10/2012 dalla Costa per accertare e dichiarare la legittimità del licenziamento intimato per giusta causa a Schettino. Quest'ultimo si costituiva chiedendo in via riconvenzionale che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo.
Nel contempo, in data 26/11/2012, il comandante depositava ricorso ex art. 1 commi 48 e ss. l. n. 92/2012 dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata per chiedere nuovamente che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace e/o illegittimo in quanto intimato senza giusta causa, né giustificato motivo.
La compagnia si costituiva in tale secondo procedimento eccependo la litispendenza rispetto a quello già pendente dinanzi al Tribunale di Genova.
Il Tribunale di Torre Annunziata, dott. Rocco, dichiarava in effetti la litispendenza ex art. 39, comma 1, c.p.c. e avverso il provvedimento il comandante proponeva ricorso per regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., ritenendo sussistente la competenza del Tribunale di Torre Annunziata a giudicare nella fase sommaria del rito introdotto con ricorso ex l. n. 92/2012.

La questione veniva poi rimessa alle Sezioni Unite vertendosi su questioni di particolare importanza.

Ecco le parti a mio avviso più rilevanti della decisione, anche se le questioni pregiudiziali alla decisione sulla litispendenza, vale a dire l'ammissibilità della riconvenzionale da parte datoriale, sono state ritenute inammissibili e, quindi, alla fine il giudicato si è risolto sull'esame della sola litispendenza che, tutto sommato, non poneva profili di particolare problematicità..

Nel rito Fornero di cui ai commi 47 e segg. dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012 il giudizio a cognizione piena è soltanto eventuale ed è attivabile con l'opposizione (cfr. comma 51 del citato art. 1), per cui se questa non viene proposta l'ordinanza conclusiva della fase sommaria è idonea a passare in giudicato. Con la conseguenza che è necessario che il giudice della fase sommaria del procedimento di cui al comma 48 dell'art. 1, ammetta ed esamini la questione di rito (nel caso di specie la litispendenza) e decida sulla stessa. Solo così, infatti, è possibile evitare un possibile conflitto di giudicati sulla stessa questione, nel pieno rispetto dei principi (posti alla base della disciplina prevista dall'art. 39 cod. proc. civ.) di unitarietà della giurisdizione e di economia processuale. Né, come correttamente osservato nell'ordinanza impugnata, può condividersi la soluzione, pure prospettata, secondo cui, ove venga sollevata una questione di litispendenza (o continenza), il giudice della fase sommaria deve provvedere alla immediata conversione del rito sommario (ex comma 48) nel rito ordinario a cognizione piena. Tale soluzione non trova alcun riscontro nella disciplina del rito Fornero e si pone in contrasto col meccanismo processuale previsto dal legislatore, che ha configurato, infatti, la fase sommaria nelle cause aventi ad oggetto l'impugnativa del licenziamento (nelle ipotesi comprese nell'ambito di applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970) come un passaggio processuale diretto a favorire una rapida definizione della causa.

Sotto altro profilo non può dubitarsi dell'ammissibilità del regolamento di competenza in relazione ad una ordinanza (che ha dichiarato la litispendenza) emessa nella fase sommaria del rito Fornero. Le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione (Cass. S.U. 9 luglio 2009 n. 16091; Cass. S.U. 29 luglio 2013 n. 18189) nell'affermare l'inammissibilità della la proposizione del regolamento di competenza in materia di procedimenti cautelari, (anche nell'ipotesi di duplice declaratoria d'incompetenza formulata in sede di giudizio di reclamo), hanno motivato tale decisione facendo leva sulla natura giuridica di un provvedimento declinatorio della competenza in sede cautelare, che, in quanto caratterizzato dalla provvisorietà e dalla riproponibilità illimitata, non può essere oggetto di una procedura di regolamento atteso che l'eventuale decisione, pronunciata in esito al procedimento disciplinato dall'art. 47 cod. proc. civ., sarebbe priva del requisito della definitività. Nel caso del procedimento ai sensi dei commi 48 e segg. dell'art. 1 della legge Fornero una pronuncia sulla litispendenza emessa nella fase sommaria è dotata di stabilità e pertanto, non sussistendo le ragioni individuate dalle Sezioni Unite per negare l'ammissibilità del regolamento di competenza nel caso dei procedimenti cautelari, il regolamento di competenza deve ritenersi ammissibile. Del resto Cass. 16 giugno 2000 n. 8213 ha ritenuto l'ammissibilità del regolamento di competenza (nel caso di specie richiesto d'ufficio) in tema di procedimento ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 in tema di repressione della condotta antisindacale (procedimento che per molti versi presenta importanti analogie con quello previsto dalla legge Fornero) motivando sul fatto che esso non ha natura cautelare e si conclude con un decreto che chiude la fase sommaria e che, in difetto di opposizione, produce effetti sostanziali di carattere definitivo.

Peccato che, per motivi procedurali ampiamente illustrati, la Suprema Corte non affronti i temi posti a fondamento del ricorso di Schettino su punti importanti per l'ordinato sviluppo dei processi pendenti quali, in primo luogo, l'ammissibilità e la disciplina processuale della domanda riconvenzionale di accertamento negativo proposta dal datore di lavoro.

Riportiamo il punto di interesse:

Dal principio affermato sub 20., secondo cui il regolamento di competenza ha per oggetto unicamente il provvedimento impugnato per cui non sono ammissibili censure concernenti la causa pendente dinanzi al giudice preventivamente adito deriva che, pur nella sussistenza di una situazione nella quale la litispendenza sia stata dichiarata con riferimento ad un processo promosso con il rito della legge Fornero da parte del datore di lavoro, non è consentito a questa Corte di legittimità di esaminare, in sede di regolamento di competenza, profili di ammissibilità del ricorso attinenti al giudizio dinanzi al giudice preventivamente adito, a tal fine essendo rilevante unicamente il dato formale costituito dalla pendenza di un procedimento giurisdizionale presso altro giudice. Non è pertanto possibile esaminare le questioni sottoposte a queste Sezioni Unite come questioni di particolare importanza, atteso che le stesse sono tutte relative al procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Genova. Le censure che sollevano le suddette questioni nel presente giudizio per regolamento di competenza devono essere pertanto dichiarate inammissibili.

Riportiamo anche gli aspetti controversi che Schettino chiedeva alla Corte di delibare.

che il datore di lavoro difetta di interesse ad agire in mero accertamento (art. 100 cod. proc. civ.), poiché agendo in prevenzione impedisce che il lavoratore incorra nella decadenza; che la struttura del rito sommario non sembra consentire la proponibilità della domanda riconvenzionale; nella specie il giudice adito avrebbe sostanzialmente "creato" una nuova fase, non prevista dal rito, concedendo un termine alla società ricorrente per replicare alla domanda riconvenzionale e facendo slittare l'udienza, invece finalizzata ad un rapido esame della fattispecie; che l'azione promossa dal datore di lavoro, sia prima che dopo l'impugnativa del licenziamento da parte del lavoratore, non ha per oggetto detta impugnativa e non potrebbe neppure riguardare l'applicazione dell'art. 18 legge n. 300 del 1970 Stat. lav.; il petitum, infatti, non potrebbe che essere relativo alla legittimità del recesso nei suoi termini sostanziali e, ove non si ammettesse la speculare domanda riconvenzionale del lavoratore, riguarderebbe esclusivamente una pronuncia interpretativa di una norma diversa dall'art. 18 cit.

lunedì 28 luglio 2014

ESENZIONE CONTRIBUTO UNIFICATO LAVORO: IL NUOVO LIMITE REDDITUALE E' STATO ELEVATO



Gratuito patrocinio: adeguati i limiti di reddito

Decreto Ministero Giustizia 01.04.2014, G.U. 23.07.2014

Con decreto 1° aprile 2014 il Capo del dipartimento per gli affari di giustizia ed il Ragioniere generale dello Stato stabiliscono l'adeguamento, previsto dall'art. 77 del Testo Unico, relativo al limite di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

L'importo di euro 10.766,33, indicato nell'art. 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, cosi' come adeguato con decreto del 2 luglio 2012, e' aggiornato in euro 11.369,24.
Pertanto anche il limite reddituale per l'esenzione totale dal contributo unificato per i ricorsi in materia di lavoro e previdenza, pari al triplo del detto importo, passa ad 34.107,72. 

sabato 5 luglio 2014

RAPPORTO DI LAVORO MARITTIMO E CONTRATTI A TERMINE: CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA 3.7.2014

Corte Europea di Giustizia, sentenza del 3 luglio 2014 – C-362/13; C-363/13 e 407/13


Riporto una mia sintesi mirata di una importante pronuncia della CGE che si è espressa, su richiesta della Cassazione, circa l'applicabilità al lavoro marittimo dell'accordo quadro in tema di rapporti a termine e circa la conseguente compatibilità dell'ordinamento interno, in particolare del Codice della Navigazione, con la disciplina quadro comunitaria. 

I ricorrenti nei procedimenti principali hanno adito la Corte suprema di
cassazione, chiedendo la censura della Corte d’appello di Messina per aver giudicato inapplicabile ai marittimi l’accordo quadro e per aver considerato legali i loro contratti di lavoro a tempo determinato, mentre questi ultimi non indicano il termine dei contratti, ma unicamente la loro durata con la formula «max 78 giorni», e nemmeno le ragioni oggettive che giustificassero il ricorso a siffatti contratti. Secondo detti ricorrenti, si sarebbe in presenza di un uso abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, dal momento che questi ultimi sarebbero utilizzati non a causa del carattere speciale del lavoro marittimo o dell’esistenza di ragioni obiettive, ma al fine di porre rimedio a carenze strutturali di personale.
Di conseguenza, la Corte suprema di cassazione ritiene che occorra chiedersi se l’accordo quadro si applichi ai rapporti di lavoro conclusi nel settore marittimo. Infatti, se tale fosse il caso, le modalità di arruolamento a tempo determinato previste dal codice della navigazione potrebbero risultare contrarie all’accordo quadro. Posto che il legislatore italiano ha adempiuto, mediante il decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, all’obbligo sancito dalla clausola 5 di tale accordo, consistente nel prevedere misure tali da scongiurare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, da ciò potrebbe derivare che le disposizioni di tale decreto debbano applicarsi anche ai rapporti di lavoro nel settore marittimo.

Alla luce di quanto sopra, la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il processo e di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali risolte dalla CGE come segue:

1) L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, figurante
quale allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere
interpretato nel senso che esso si applica a lavoratori, quali i ricorrenti nei procedimenti
principali, occupati in qualità di marittimi con contratti di lavoro a tempo determinato
su traghetti che effettuano un tragitto marittimo tra due porti situati nel medesimo Stato
membro. (ndr: viene premessa una tendenziale e genrale applicabilità a tutti i rapporti di lavoro marittimo, come peraltro già confermato in precedenti pronunce);

2) Le disposizioni dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere
interpretate nel senso che esse non ostano a una normativa nazionale, quale quella in
questione nei procedimenti principali, la quale prevede che i contratti di lavoro a tempo
determinato debbono indicare la loro durata, ma non il loro termine. (ndr: vengono fatte salve le disposizione del Codice della Navigazione solo in apparenza, nel senso che il giudice deve poi valutare se tali disposizioni sono compatibili con la 368);

3) La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dev’essere
interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale,
quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, la quale prevede la
trasformazione di contratti di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato unicamente nel caso in cui il lavoratore interessato sia stato
occupato ininterrottamente in forza di contratti del genere dallo stesso datore di lavoro
per una durata superiore a un anno, tenendo presente che il rapporto di lavoro va
considerato ininterrotto quando i contratti di lavoro a tempo determinato sono separati
 Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che i presupposti per l’applicazione nonché l’effettiva attuazione di detta normativa costituiscano una misura adeguata per prevenire e punire l’uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
(ndr: ovviamente ciò significa che l'elusività verrà rapportata alle prescrizioni della 368).


ORARIO SETTIMANALE RIDOTTO - PART TIME VERTICALE

Il rapporto di lavoro che si configura nella prestazione di un numero di ore lavorative inferiori a quelle ordinarie, distribuite su soltanto cinque giornate lavorative settimanali, va qualificato come part-time verticale, con la conseguenza che il numero delle giornate di ferie fruibili dai lavoratori interessati deve essere proporzionalmente ridotto rispetto a quello spettante ai lavoratori a tempo pieno, secondo il disposto dell’art. 3 CCNL comparto ministeri.

sabato 21 giugno 2014

LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO PERIODO COMPORTO - VI E' DECADENZA DALL'IMPUGNATIVA?

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 marzo – 18 giugno 2014, n. 13857
Presidente Lamorgese – Relatore Ghinoy

Come primo motivo S.C. deduce "Violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della L. 604 del 1966 e dell'art. 2110 c.c." Lamenta che la Corte abbia errato nel ritenere che la decadenza dall'impugnazione si applichi anche al licenziamento per superamento del periodo di comporto, ignorando il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la fattispecie è sottratta all'applicazione della disciplina generale sulla sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa ed alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, essendo invece soggetta alla regole previste dall'art. 2110 c.c..

Questa Corte ha avuto modo di ribadire in più occasioni la differenza ontologica esistente tra licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c. e licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica: pur configurando entrambe le fattispecie una causa di impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione, che determina ai sensi dell'art. 2110 cod. civ. la legittimità del licenziamento quando ha causato l'astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, laddove la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, non implica necessariamente l'impossibilità totale della prestazione e consente la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., eventualmente previo accertamento dei relativi presupposti con la procedura stabilita dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 5 ed indipendentemente dal superamento del periodo di comporto (cfr. Sez. L, Sentenza n. 1404 del 2012, Cass. 17 giugno 1997 n. 5416 ed, in senso conf., Cass. n. 410/1999).
La ricomprensione del licenziamento per inidoneità sopravvenuta alle mansioni nell'alveo del giustificato motivo oggettivo è stata ancora di recente affermata da Cass. Sez. L, Sentenza n. 18196 del 29/07/2013. Ed è in virtù di tale aspetto che si rende necessario che il datore di lavoro tenti la ricollocazione del lavoratore in altra prestazione lavorativa compatibile con il suo stato di salute, ed assolva quindi all'obbligo di repechage.
Quantomeno con riferimento a tale causale quindi, l'impugnazione stragiudiziale doveva avvenire con le forme e nei tempi previsti dall'art. 6 I comma della L. 604 cit.: se infatti anche si potesse ritenere, come sostiene la ricorrente, che per l'aspetto del mancato superamento del comporto l'impugnazione resti assoggettata al termine ordinario di prescrizione, il termine decadenziale opererebbe comunque per l'ulteriore motivo determinato dall'inidoneità fisica sopravvenuta. Si tratta infatti di causali autonome ed indipendenti, ciascuna delle quali di per sé è idonea a giustificare l'atto di licenziamento e quindi necessita di autonoma impugnazione, né, come ha ritenuto Sez. L, Sentenza n. 1250 del 20/01/2011, è possibile l'estensione dell'impugnazione dall'una all'altra giustificazione.

venerdì 20 giugno 2014

CONTRATTI A TERMINE ILLEGITTIMI: LA RICOSTRUZIONE DELLA CARRIERA LAVORATIVA

In una recente decisione la Suprema Corte, enunciando espresso principio di diritto, ha precisato che l'espressione "omnicomprensiva", adoperata dal legislatore nell'art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 con riferimento all'indennità dovuta a titolo risarcitorio dal datore di lavoro al lavoratore per l'illegittima apposizione del termine al contratto a tempo determinato convertito per tale ragione a tempo indeterminato, deve intendersi riferita soltanto a detto danno e non a quanto spetti al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo determinato.

mercoledì 18 giugno 2014

SGRAVI CONTRIBUTIVI E CONTRATTAZIONE DI II LIVELLO - CIRCOLARE INPS 17.6.2014

L’INPS indica nella circolare n. 78 del 17 giugno 2014 i criteri di ammissione allo sgravio contributivo, sulle erogazioni previste dai contratti collettivi di secondo livello, disciplinato dalle leggi n. 92/2012 e n. 247/2007 e comunica che successivamente comunicherà l’apertura della procedura per l’invio delle domande.
Con la circolare l’INPS fornisce le prime indicazioni sulla materia e sulle modalità che i datori di lavoro dovranno seguire per richiedere lo sgravio riferito agli importi corrisposti nell’anno 2013 (1 gennaio-31 dicembre), specificando che il beneficio può trovare applicazione in relazione a quanto previsto da contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti.

Oggetto del beneficio

Lo sgravio contributivo sugli importi previsti dalla contrattazione collettiva aziendale, territoriale, ovvero di secondo si stabilisce che possa essere concesso entro il limite del 2,25% della retribuzione contrattuale annua di ciascun lavoratore.

Misura dello sgravio

la norma prevede che la concessione dello sgravio contributivo sarà entro il limite massimo di 25 punti dell’aliquota a carico del datore di lavoro al netto delle riduzioni contributive per assunzioni agevolate, delle eventuali misure compensative spettanti e, in agricoltura, al netto delle agevolazioni per territori montani e svantaggiati mentre sarà totale sulla quota del lavoratore.

Condizioni di accesso

Per accedere allo sgravio contributivo, i contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello devono presentare le seguenti caratteristiche:
- essere sottoscritti dai datori di lavoro e depositati presso le Direzioni territoriali del Lavoro, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale;
- prevedere erogazioni correlate ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione ed efficienza organizzativa, oltre che collegate ai risultati riferiti all'andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale

Esclusioni

In assenza del deposito presso la Direzione territoriale del lavoro competente degli accordi sottoscritti dai datori di lavoro non sarà possibile l’ammissione allo sgravio contributivo. Inoltre, non compete per le aziende che hanno corrisposto ai dipendenti, nell’anno solare di riferimento, trattamenti economici e normativi non conformi alla normativa.
Le aziende dovranno inoltrare, anche per il tramite degli intermediari autorizzati, esclusivamente in via telematica, apposita domanda all’INPS, anche per i lavoratori iscritti all’INPGI, nonché, ovviamente, per quelli iscritti alla gestioni ex INPDAP ed ex ENPALS. Entro i 60 giorni successivi alla data fissata quale termine unico per l’invio delle istanze, si provvederà all’ammissione delle aziende allo sgravio contributivo, dandone tempestiva comunicazione alle stesse e agli intermediari autorizzati.
Sarà cura dell’INPS comunicare la data in cui sarà disponibile la procedura per l’invio delle domande.

sabato 14 giugno 2014

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE CHE RIFIUTI IMMOTIVATAMENTE IL TRASFERIMENTO

E ` fondato sotto il profilo della proporzionalità`, ed e` conseguentemente legittimo, il licenziamento del lavoratore che rifiuti senza valida giustificazione di dare corso al provvedimento di trasferimento che sia stato adottato da parte del datore di lavoro per accertati motivi di compatibilità` ambientale.
Osserva la Cassazione che il ricorrente avrebbe potuto ottemperare al trasferimento e impugnare nel frattempo il provvedimento, invece egli ha opposto un ostinato rifiuto a riprendere l’attivita` lavorativa, con conseguente ingiustificatezza di tale diniego, data la legittimita` del trasferimento.

Cassazione, sez. lav., 13 maggio 2013, sentenza
n. 11414 - Pres. Napoletano - Rel.
Blasutto - P.M. (Conf.) Fresa - C.A. c.
M.A. Spa

sabato 10 maggio 2014

IL BONUS DI 80 EURO IN BUSTA PAGA - A CHI SPETTA E COME

Il bonus Irpef per lavoratori dipendenti e assimilati sarà riconosciuto in busta paga, a partire da maggio, senza dover fare alcuna domanda.
Il credito, riservato a chi guadagna fino a 26mila euro, sarà infatti erogato direttamente dai datori di lavoro in tutti i casi in cui l’imposta lorda dell’anno è superiore alle detrazioni per lavoro dipendente.
Chi ha tutti i requisiti per ricevere il bonus ma non ha un sostituto d’imposta, ad esempio perché il rapporto di lavoro si è concluso prima del mese di maggio, potrà comunque richiederlo nella dichiarazione dei redditi per il 2014.


Tutto è chiarito  nella circolare n. 8/E,  con cui l’Agenzia delle Entrate fornisce le istruzioni per applicare il credito introdotto dal Dl n. 66/2014 per la riduzione del cuneo fiscale nel 2014.

Chi beneficia del bonus
I contribuenti che hanno diritto al credito sono i soggetti che nel 2014 percepiscono redditi da lavoro dipendente (e alcuni redditi assimilati) - al netto del reddito da abitazione principale - fino a 26 mila euro, purché l’imposta lorda dell’anno sia superiore alle detrazioni per lavoro dipendente.
Il bonus spetta invece se l’imposta lorda è azzerata da altre categorie di detrazioni, ad esempio quelle per carichi di famiglia.

Importo del credito
Il credito complessivo di 640 euro, 80 euro mensili a partire da maggio, vale per i redditi fino a 24mila euro.
Se il reddito supera i 24mila il bonus si riduce gradualmente fino a 26 mila.
Il bonus (che non concorre alla formazione del reddito) andrà ai lavoratori dipendenti e assimilati la cui imposta lorda sia superiore all’importo della propria detrazione per lavoro dipendente. Inoltre, per espressa previsione del Decreto legge, il credito “è rapportato al periodo di lavoro nell’anno”. Per questo motivo il credito dovrà essere calcolato in relazione alla durata del rapporto di lavoro, considerando il numero di giorni lavorati nell’anno.

La tempistica per il 2014
I sostituti d’imposta riconosceranno il credito spettante ai beneficiari a partire dalle retribuzioni erogate nel mese di maggio. Nel caso in cui ciò non sia possibile per ragioni tecniche legate alle procedure di pagamento degli stipendi, i sostituti riconosceranno il credito a partire dalle retribuzioni del mese di giugno, ma dovranno comunque assicurare al lavoratore tutto il credito spettante nel corso del 2014.

Il bonus va anche ai contribuenti senza sostituto d’imposta
I soggetti titolari nel corso dell’anno 2014 di redditi di lavoro dipendente, le cui remunerazioni sono erogate da un soggetto che non è sostituto di imposta, tenuto al riconoscimento del credito in via automatica, e tutti i soggetti il cui rapporto di lavoro si è concluso prima del mese di maggio, potranno chiedere il credito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2014, utilizzarlo in compensazione, oppure richiederlo a rimborso.

Cosa fare nel caso di credito non spettante
I contribuenti che non hanno i requisiti per il ricevere il bonus, ad esempio perché hanno un reddito complessivo superiore a 26mila euro per via di altri redditi (oltre a quelli erogati dal sostituto d’imposta), devono comunicarlo al sostituto che recupererà il credito nelle successive buste paga. Se un contribuente ha comunque percepito un credito in tutto o in parte non spettante dovrà restituirlo nella dichiarazione dei redditi.

martedì 15 aprile 2014

RIFORMA RENZI IN PILLOLE: CONTRATTI A TERMINE E APPRENDISTATO

L'obbligo di indicare le ragioni giustificatrici per il ricorso al contratto a tempo determinato viene meno del tutto, introducendo in via generale, a partire dal 21 marzo scorso, il contratto c.d. acausale, non più, quindi, limitato al primo rapporto. In particolare, in base alle nuove disposizioni, è ora possibile stipulare un contratto a termine di durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe, per lo svolgimento di qualsiasi mansione nel rispetto del 20% dell’organico complessivo; tale limite quantitativo può essere modificato dalla contrattazione collettiva, mentre per le imprese che occupano fino a cinque dipendenti, è sempre possibile ricorrere a tale tipologia contrattuale (si ricorda, inoltre, che sono esenti da limitazioni quantitative, i contratti a termine per le aziende nella fase di avvio di nuova attività, i contratti legati alla stagionalità ed alle ragioni sostitutive, quelli per gli “over 55” e per gli spettacoli teatrali, cinematografici e televisivi, secondo quanto prevede l’art. 10, 7° comma D.Lgs. n. 368/2001).
L’acausalità è poi estesa anche alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Ancora, nella novellata disciplina, il numero delle proroghe ammesse cresce sino ad un massimo di 8 nell’arco di 36 mesi, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato. Il decreto non modifica invece la disciplina dei rinnovi. Pertanto, una volta finito un contratto a termine, è possibile stipularne un altro, a condizione che sia rispettato un intervallo minimo (cd. stop and go) di 10 o 20 giorni tra il vecchio e il nuovo contratto e che la somma di tutti i periodi di lavoro a termine non superi comunque il periodo massimo di 36 mesi.


Passando all’apprendistato, il Jobs act prevede il ricorso alla forma scritta per il solo contratto e patto di prova (e non, come attualmente previsto, anche per il relativo piano formativo individuale) e l’eliminazione delle vigenti previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti era necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo. Inoltre, fatta salva l'autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo. Per il datore di lavoro viene, infine, eliminato l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica che diventa, quindi, un elemento discrezionale.

mercoledì 2 aprile 2014

Conversione dei contratti a termine anche nel pubblico impiego?

Corte di Giustizia UE , sez. VIII, ordinanza 12.12.2013 n° C-50/13
L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla Direttiva n. 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella italiana prevista dal decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante sul lavoratore stesso, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.

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n.d.r.
Ovviamente il limite, peraltro di matrice costituzione, che impedisce la conversione è l'accesso al pubblico impiego tramite concorso. La soluzione, quindi, non è scontata.

giovedì 20 marzo 2014

lle rinunce o transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 2113 c.c.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 3 febbraio – 18 marzo 2014, n. 6265
Presidente Mammone – Relatore Fernandes
Fatto e diritto
La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 3 febbraio 2014, ai sensi dell'art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'art. 380 bis c.p.c.:
"La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 1° agosto 2011, confermava la decisione del Tribunale di Treviso di rigetto della domanda proposta da T.M. nei confronti della Again s.r.l. e intesa ad ottenere la declaratoria della nullità dell'accordo di transazione sindacale intercorso tra le parti il 20.12.2006, della illegittimità del licenziamento intimatole il 31.7.2006 e la condanna della convenuta società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno ex art. 18 Stat. Lav..
Rilevava la Corte, richiamando la giurisprudenza di legittimità sul punto, che l'accordo di transazione sindacale stipulato il 21.12.2006 tra le parti non poteva essere oggetto di impugnativa ex art. 2113 c.c. avendo ad oggetto la controversia relativa all'impugnazione del licenziamento intimato alla T., lite alla quale con il menzionato accordo si era inteso porre fine, e, quindi, non avente ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti collettivi. Pertanto, erano irrilevanti le questioni dedotte nell'appello - e correttamente rigettate dal primo giudice - relative alla acquisizione o meno della prova in giudizio dell'autenticità della sottoscrizione del rappresentante sindacale e della effettività della assistenza fornita alla lavoratrice.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la T. affidato a due motivi.
La Again s.r.l. è rimasta intimata.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 2113 c.c..
Si evidenzia che le sentenze di questa Suprema Corte richiamate nella impugnata sentenza si riferivano a rinunzie o transazioni non stipulate in sede sindacale e, dunque, a fattispecie diverse da quella in esame. Ed infatti, nel caso di conciliazioni poste in essere ai sensi dell'art. 411 c.p.c. il rispetto della forma prescelta era doveroso e, quindi, la presenza del rappresentante sindacale doveva essere effettiva così come autentiche e contestuali dovevano essere le sottoscrizioni del verbale. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 191 e 183 c.p.c. per non aver la Corte di merito ammesso le istanze istruttorie articolate in primo grado e nuovamente formulate in appello ed intese ad accertare i denunciati vizi della transazione, omettendo sul punto qualsiasi motivazione.
Il primo motivo è infondato.
Questa Corte, sulla scorta del principio che le rinunce o transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 2113 c.c. (orientamento questo consolidato, ex multis Cass. 22105 del 19/10/2009; Cass. n. 4780 del 28/03/2003), ha avuto modo di precisare che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 2113 cod. civ., e pertanto rimangono irrilevanti, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex art. 2113 cod. civ., gli eventuali vizi formali del procedimento di formazione della conciliazione sindacale. (Cass. n. 5940 del 24/03/2004).
Ne consegue che tutti i vizi formali contenuti nella transazione in questione non possono assumere rilevanza alcuna.
Il rigetto, per le ragioni esposte, del primo motivo comporta l'assorbimento del secondo.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell'art. 375, n. 5, cod. proc. civ..".
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Orbene, il Collegio, condivide il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e, quindi, rigetta il ricorso.
Non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo la Again s.r.l. rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.


lunedì 24 febbraio 2014

Matteo Renzi: le attese riforme in materia di lavoro (job act).


Tratto da:  www.pietroichino.it.


Le prime difficoltà incontrate da Matteo Renzi nella formazione della sua squadra di governo hanno suscitato qualche perplessità in più di un commentatore, ingenerando il dubbio che, dopo avere alzato progressivamente la posta, il neo-premier non abbia in realtà buone carte da mettere sul tavolo. Ora sulla sua prima promessa, quella del Jobs Act entro marzo, lo stesso Renzi ha la possibilità di mostrare che le cose non stanno così. Non è affatto irrealistico ipotizzare questa successione di mosse:
- primo Consiglio dei Ministri dopo la fiducia: approvazione del disegno di legge-delega sul Codice semplificato del lavoro (il testo della delega, in cinque articoli, è già pronto);
- entro metà marzo: decreto-legge sulla sperimentazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezioni crescenti, con riduzione del cuneo fiscale e contributivo;
- entro marzo: approvazione del disegno di legge-delega almeno in una Camera; emanazione dei decreti sull’utilizzazione delle risorse le politiche del lavoro che devono consentire l’avvio immediato della sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione e il nuovo regime di complementarietà tra Centri per l’Impiego pubblici e servizi privati;
- entro giugno o luglio: emanazione del decreto delegato contenente il Codice semplificato (anche qui l’impianto è già pronto e suscettibile di messa a punto relativamente rapida).
La ragion d’essere di questo nuovo Governo dovrebbe consistere proprio nella sua capacità di eseguire rapidamente anche operazioni ambiziose come questa. Se Renzi si mostrerà capace di farlo, diraderà tutte le nubi che circondano il suo esordio. E stupirà il mondo intero, presentandosi per il semestre di presidenza italiana dell’UE con una credibilità straordinaria. Guai se, invece, proprio il capitolo del lavoro dovesse costituire il primo inciampo, il primo motivo di delusione delle attese straordinarie che lo hanno portato a Palazzo Chigi.

IL CODICE SEMPLIFICATO DEL LAVOROIl progetto mira a sostituire l’intera legislazione di fonte esclusivamente nazionale in materia di rapporti di lavoro e sindacali (a esclusione, dunque, della normativa attuativa di direttive europee) con 70 articoli brevi, di facile lettura e facile traducibilità in inglese, inseriti nel corpo del Codice civile al posto di quelli oggi in vigore o abrogati dedicati rispettivamente alle stesse materie. Esso si articola nel nuovo Codice semplificato dei rapporti di lavoro: disegno di legge 7 agosto 2013 n. S-1006 (Libro V del Codice civile, Del Lavoro, artt. 2082-2134 e 2239-2245) (alla Camera: AC 1891, 11 dicembre 2013), e nel nuovo Codice semplificato dei rapporti sindacali: disegno di legge 31 luglio 2013 n. S-986 (Libro V del Codice civile, Del Lavoro, artt. 2063-2074). I due disegni di legge costituiscono una nuova versione, aggiornata in relazione al dibattito svoltosi nell’ultimo quadriennio, rispettivamente del disegno di legge 11 novembre 2009 n. S-1873 sui rapporti individuali di lavoro  e del disegno di legge 11 novembre 2009 n. S-1872 sui rapporti sindacali. Quanto al contenuto, il Codice semplificato si caratterizza per una riforma della protezione della sicurezza economica e professionale del lavoratore ispirata al principio della flex-security, come raccomandato dall’UE; per ogni altro aspetto esso si limita a riprodurre sostanzialmente la disciplina attuale in forma più semplice e meno intrusiva. Si segnala, peraltro, che lo stesso “formato” del testo legislativo potrebbe essere anche posto al servizio di diverse eventuali scelte di politica legislativa: per esempio quella di lasciare sostanzialmente inalterata la disciplina attuale dei licenziamenti e della Cassa integrazione guadagni; oppure quella di adottare in materia di licenziamenti soluzioni intermedie tra la disciplina attuale e quella proposta nel d.d.l. n. 1006.


di Pietro Ichino.

giovedì 20 febbraio 2014

Rito Fornero. Il Caso Schettino e la pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata (dott. Rocco) approdano alle Sezioni Unite


Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza interlocutoria 3 - 18 febbraio 2014, n. 3838
Presidente Mammone – Relatore Blasutto

Riporto la sentenza integrale a questo link ed una sintesi nel prosieguo.

"Il provvedimento del Tribunale di Torre Annunziata ha statuito sulla sola competenza ed è stato impugnato con regolamento necessario ex art. 42 c.p.c., affinché questa Corte - cui, per la funzione istituzionale di organo regolatore della giurisdizione e della competenza, spetta il potere di adottare decisioni dotate di efficacia esterna (panprocessuale) - determini in modo definitivo quale sia il giudice competente per la causa (Cass. n.6657/99, 13768/2005,14405/08), con pronuncia che non consente di porre ulteriormente in discussione, eventualmente anche sotto profili diversi, le questioni di competenza.
13. Come risulta documentalmente, Costa Crociere s.p.a. ha attivato dinanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Genova, con ricorso ex art. 1, comma 48, legge n. 92/2012, depositato il 18 ottobre 2012, un giudizio di accertamento della validità e legittimità del licenziamento intimato a S.F. il 19 luglio 2012.
Il lavoratore, costituendosi in giudizio, ha eccepito - per quanto interessa in questa sede - la carenza di interesse ad agire della società e l'"inuulizzabilità, per la stessa, del rito Fornero"; ha altresì proposto domanda riconvenzionale, condizionata e subordinata, avente ad oggetto: l'accertamento della inesistenza e/o nullità e/o inefficacia e/o illegittimità e/o ingiustificatezza del licenziamento; domanda di reintegrazione nel posto di lavoro e di condanna della società al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra. La medesima domanda ha formato oggetto della domanda proposta in via principale dal medesimo S. in data 26 novembre 2013 dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata con ricorso ex art. 1, comma 48, legge n. 92/2012.
Risulta inoltre che la soc. Costa Crociere, sempre davanti al Tribunale di Genova, ha proposto "cautelativamente" altro ricorso ex art. 414 c.p.c. in data 22 ottobre 2012, di contenuto identico a quello proposto ex art. 1, comma 48 legge n. 92/2012. In tale giudizio, il resistente S. ha eccepito l'inammissibilità dell'avverso ricorso e, in subordine, la litispendenza e/o la continenza tra la stessa causa e quella anteriormente proposta da Costa Crociere ex art. 1, comma 48 legge n. 92/2012 al Tribunale di Genova il 18 ottobre 2012.


Si pongono, dunque, nella vicenda all'esame questioni di interferenza tra le azioni esperite da ciascuna delle parti a mezzo del rito speciale di cui all'art. 1, commi 47, 48 e 49 legge n. 92/2012 e tra queste e quella proposta dal datore di lavoro con il rito ordinario di cui all'art. 414 c.p.c.. In tale contesto, ad avviso del Collegio, sembra avere carattere logico pregiudiziale la questione della ammissibilità o proponibilità o "fruibilità" dell'azione di mero accertamento proposta da parte datoriale a mezzo del c.d. rito Fornero, dalla cui risoluzione dipende anche l'esito dell'ulteriore questione interpretativa concernente l'ammissibilità in fase sommaria della domanda riconvenzionale proposta dal lavoratore ai sensi dei citati commi 47, 48 e 49 legge n 92/2012.
16. Il Giudice del provvedimento impugnato ha ritenuto sussistere un'ipotesi di litispendenza tra il giudizio innanzi a sé proposto e quello pendente dinanzi al Tribunale di Genova e, ai sensi dell'art. 39, primo comma, c.p.c., ha disposto la cancellazione della causa dal ruolo. Nel pervenire a tale soluzione, ha affermato che l'identità deve essere ravvisata nella sovrapponibilità delle due domande al momento della decisione, alla stregua di una valutazione che include necessariamente (solo così potendosi ravvisare identità di domande) quella proposta in via riconvenzionale. 


Va inoltre osservato che il provvedimento impugnato, nel pervenire alla declaratoria di litispendenza, ha superato positivamente la questione dell'ammissibilità delle questioni preliminari di rito nella fase sommaria, questione anch'essa allo stato controversa.

mercoledì 19 febbraio 2014

LO STRAORDINARIO "FUORI BUSTA" - ASPETTI SANZIONATORI

MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI - Nota 06 febbraio 2014, n. 2642
Quesito sul lavoro straordinario "fuori busta"
In relazione al quesito in oggetto si rappresenta quanto segue.
Le disposizioni per le quali si chiede l'applicabilità, in sede di ordinanza ingiunzione, del principio di specialità, ai sensi dell’art. 9 della L. n. 689/1981, sono:

- l’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003 secondo il quale "il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro (...)";

- gli artt. 1 e 3 della L. n. 4/1953 secondo i quali "è fatto obbligo ai datori di lavoro di consegnare, all’atto della corresponsione della retribuzione, ai lavoratori dipendenti, con esclusione dei dirigenti, un prospetto di paga in cui devono essere indicati il nome, cognome e qualifica professionale del lavoratore, il periodo cui la retribuzione si riferisce, gli assegni familiari e tutti gli altri elementi che, comunque, compongono detta retribuzione, nonché, distintamente, le singole trattenute (...)" e "il prospetto di paga deve essere consegnato al lavoratore nel momento stesso in cui gli viene consegnata la retribuzione".

La problematica concerne pertanto la verifica se una delle due disposizioni possa considerarsi per l'appunto "speciale" rispetto all'altra.
Ai sensi dell'art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003, il trasgressore incorre nella sanzione di cui all’art. 18-bis, comma 6, dello stesso Decreto qualora ometta di computare "a parte" il lavoro straordinario e o non corrisponda "maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro".
Quanto all’illecito di cui alla L. 4/1953 è invece necessario che il prospetto paga sia "infedele" e non dia conto delle "singole trattenute".
In relazione alle finalità delle citate disposizioni va invece evidenziato che, mentre quella del 2003 vuole consentire al lavoratore una verifica sia sulle ore di lavoro straordinario effettivamente svolto che sulla retribuzione dello stesso secondo i parametri della contrattazione collettiva, la disposizione del 1953 vuole consentire una verifica su tutta la retribuzione e sulle trattenute effettuate.
Inoltre la disciplina del 2003, indicando un obbligo di computabilità "a parte" del lavoro straordinario sembra evidentemente presupporre che lo stesso sia stato comunque "computalo" nel totale della retribuzione corrisposta.
Ciò premesso, nel caso di specie la condotta appare più grave nel momento in cui le maggiorazioni in questione non siano state neanche computate nell'ambito del totale retributivo corrisposto come avviene per i cd. fuori busta il che comporta l'applicazione delle sanzioni previste dalla L. n. 4/1953, non a caso più severe rispetto a quelle legate alla violazione dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003.
Da tale ragionamento appare dunque corretta l’applicazione della sanzione prevista per la violazione degli artt. 1 e 3 della L. n. 4/1953 mentre va verificata l'applicabilità della sanzione legata alla violazione dell'art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003 in relazione alla "residua" illiceità della condotta, con particolare riferimento alla corresponsione di maggiorazioni retributive inferiori a quelle comunque previste dalla contrattazione collettiva.
In altri termini, in caso di fuori busta si ritiene che trovino applicazione le sanzioni di cui alla Legge del 1953 e, qualora gli importi corrisposti siano inferiori a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, anche la sanzione di cui al D.Lgs. n. 66/2003.


martedì 18 febbraio 2014

LICENZIAMENTO PER SOPRAVVENUTA INFERMITA' PERMANENTE

La sopravvenuta infermità permanente (o quanto meno la cui durata temporale sia indeterminata o indeterminabile), se comporta l'inidoneità (anche parziale: Cass. 14 dicembre 1999 n. 14065) del lavoratore a svolgere le mansioni assegnategli, può costituire un GMO di licenziamento, per impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Perché il licenziamento sia legittimo devono sussistere le seguenti condizioni:
- stato di malattia tale da non consentire una prognosi definitiva di durata (Cass. 27 agosto 1993 n. 9067);
- assenza in capo al datore di lavoro di un apprezzabile interesse alle prestazioni lavorative (anche ridotte) del dipendente (Cass. 20 maggio 1993 n. 5713);
- impossibilità di adibire il dipendente a mansioni equivalenti o anche inferiori, compatibili con il suo stato fisico (Cass. SU 7 agosto 1998 n. 7755; Cass. 18 aprile 2011 n. 8832;Cass. 23 aprile 2010 n. 9700:. Resta fermo che ricollocamento del lavoratore deve avvenire senza alterare o imporre modifiche all'assetto organizzativo dell'azienda (Cass. 13 settembre 2012 n. 15348; Trib. Bassano del Grappa 12 ottobre 2010 n. 88).
Il datore di lavoro può intimare il licenziamento (art. 1464 c.c.) senza attendere necessariamente il compimento del periodo di comporto (Cass. 14 dicembre 1999 n. 14065).
La legittimità del licenziamento deve essere valutata al momento dell'intimazione, non rilevando l'eventuale successivo recupero da parte del lavoratore della propria idoneità fisica (Cass. 24 gennaio 2005 n. 1373).
L'onere di provare l'impossibilità di reimpiego in altre mansioni ricade sul datore di lavoro, mentre al lavoratore non può addossarsi altro onere che quello di allegazione della nuova possibilità di lavoro (Cass. 6 luglio 2011 n. 14872).

1) L'accertamento dell'inidoneità sopravvenuta può provenire dal medico competente previsto dalla normativa in materia di sicurezza (D.Lgs. 81/2008) o dalla Commissione medica istituita presso l'ASL (organo competente secondo la legge: art. 5 L. 300/70). D'altra parte anche il giudizio di inidoneità espresso dalla competente commissione medica non è vincolante per il giudice (Cass. 25 luglio 2011 n. 16195), che può giungere a conclusioni diverse tramite il proprio CTU.
2) L'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte è riconosciuta anche quando il datore di lavoro dimostri che una diversa utilizzazione in altra unità o reparto dell'azienda può essere attuata solo con un maggiore onere economico (Cass. 19 giugno 1993 n. 6814) o modificando le proprie scelte organizzative (Cass. 7 marzo 2005 n. 4827).
3) Qualora per evitare il licenziamento sia possibile solo l'assegnazione a mansioni inferiori, il lavoratore deve essersi dichiarato disponibile ad accettare la variazione dell'attività assegnatagli (Cass. 6 marzo 2007 n. 5112).

La legittimazione attiva del lavoratore nelle azioni contro gli istituti previdenziali


L’obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie ha per soggetto attivo l’istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore di tali contributi nella sua interezza, mentre il lavoratore è unicamente il beneficiario della prestazione previdenziale e resta estraneo a tale rapporto obbligatorio (Cass., n. 4083/1976).

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 dicembre 2013 – 14 febbraio 2014, n. 3491


"La fattispecie di assicurazione sociale va infatti scomposta in due rapporti, tra loro autonomi: quello previdenziale, intercorrente fra il lavoratore e l'ente pubblico, e quello contributivo, che lega quest'ultimo al datore di lavoro. Vi è poi il sottostante rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, che ha ad oggetto l'obbligo di costituire la provvista, ossia di pagare i contributi agli enti previdenziali.
Tale regime si ricava dalla previsione dell'art. 2115 c.c., che al primo comma prevede la distribuzione tra datore di lavoro e lavoratore dell'onere economico per la contribuzione alle istituzioni previdenziali e assistenziali ed al secondo comma precisa che il datore di lavoro è responsabile del versamento dei contributi, ossia assume la veste di debitore verso l'ente assicuratore, anche per la parte a carico del lavoratore, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali. Costituisce applicazione di tale regime l'art. 19 della L. 218 del 1952 ("Riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti"), secondo il quale "il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario è nullo.
Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce
".

Questa Corte ha da tempo preso atto della scomposizione dei diversi rapporti, con l'affermazione secondo la quale "l'obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie ha per soggetto attivo l'istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore di tali contributi nella loro interezza, mentre il lavoratore è unicamente il beneficiario della prestazione previdenziale e resta estraneo a tale rapporto obbligatorio" (Sez. 1, Sentenza n. 4083 del 08/11/1976).
7. La legittimazione ad agire secondo la previsione dell'art. 81 c.p.c. è una condizione dell'azione che presuppone di norma l'astratta riferibilità del diritto sul piano normativo a colui che agisce, secondo lo schema regolatore del diritto oggetto del giudizio.
Dall'assenza di titolarità di diritti ed obblighi per coloro che restano al di fuori dei diversi rapporti sopra delineati (contributivo, previdenziale, di provvista) discende che la legittimazione ad agire in giudizio sussiste solo in relazione ai rapporti in cui ciascuno è parte; sulle questioni che attengono agli altri rapporti si determina invece il difetto di legittimazione processuale (e salva la possibilità di intervenire ad adiuvandum), sia pure per ottenere pronunce di mero accertamento. È proprio in ragione del fatto che il rapporto contributivo si instaura solo tra il datore di lavoro e l'ente di previdenza o assistenza, anche per la parte di contributi che sono dovuti dal lavoratore, che questa Corte ha chiarito che il datore di lavoro è l'unico legittimato a chiedere all'ente previdenziale la restituzione dei contributi indebitamente versati e che in tale caso il lavoratore potrà agire nei confronti del datore di lavoro per la restituzione della sua quota (Cass. Sez. L, n. 8888 del 14/04/2010, n. 13936 del 25/9/2002, n. 12842 del 27/12/1993).
In applicazione degli stessi principi si è affermato inoltre che il lavoratore non ha azione verso gli enti previdenziali per costringerli all'azione di recupero dei contributi, dovendo a tal fine agire per il versamento nei confronti del datore di lavoro (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6911 del 26/05/2000).
Nel caso in esame, i lavoratori non potevano quindi agire in via autonoma nei confronti dell'Inps per l'accertamento del rapporto di lavoro subordinato, né tantomeno potevano chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, essendo loro attribuiti nel caso di omissione contributiva solo il rimedio previsto dall'art. 2116 c.c. e la facoltà di richiedere all'INPS la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 L. 1338/1962 pari alla quota di pensione che sarebbe spettata in relazione ai contributi omessi (Sez. L, n. 26990 del 07/12/2005). Sussisteva quindi il loro difetto di legittimazione processuale, sicché il processo deve concludersi con una decisione in rito in quanto l'azione non poteva essere proposta"

sabato 1 febbraio 2014

CONTRIBUTO UNIFICATO E CONTROVERSIE IN MATERIA DI ASSISTENZA E PREVIDENZA

Nel settore dell'assistenza obbligatoria a favore dei lavoratori — anche in assenza di un esplicito richiamo nella disposizione speciale, di cui all'art. 13, comma 6-bisdel d.P.R. n. 115/2002 — è comunque applicabile l'esenzione, disposta dall'art. 9, comma 8 della legge n. 488/1999, ora trasfuso nell'art. 10, comma 1, del T.U. n. 115/2002, secondo cui « Non è soggetto a contributo unificato il processo già esente, secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore, dall'imposta di bollo.... »: imposta non dovuta, appunto, in materia di rapporti di lavoro e assicurazioni sociali obbligatorie, nonché in genere in materia assistenziale, secondo l'allegato B al d.P.R. 26.10.1972, n. 642 (disciplina dell'imposta di bollo), nonché in base al ricordato art. 10 della legge n. 533/1973 (esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro).

Riforma Tar Campania, Napoli, sez. III, n. 1188/2007).

Autorità: Consiglio di Stato    sez. VI
Data:
20/06/2013
Numero:
3357
Parti
Ist. naz. della previd. soc.  C.  M. S.a.s.   
Fonti
Foro Amministrativo - C.d.S. (Il) 2013, 6, 1707 (s.m)