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domenica 16 ottobre 2011

MODELLI DI CONTRATTI AZIENDALI REDATTI DAL PROF. ICHINO

In allegato possibili modelli di contratti suscettibili di essere stipulati validamente, a norma dell’accordo interconfederale 28 giugno 2011 e dell’articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138.
I modelli sono stati redatti e resi disponibili dal prof. Pietro ichino.
La seconda traccia è costruita sul modello del “progetto flexsecurity” delineato nel disegno di legge n. 1481/2009 ed è disponibile usando questo link in formato word editabile.


sabato 15 ottobre 2011

IL PART TIME NEL PUBBLICO IMPIEGO DOPO IL COLLEGATO LAVORO


Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica
Circolare 30 giugno 2011 n. 9
Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale – presupposti – rivalutazione delle situazioni di trasformazione gia’ avvenute alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008


clicca qui per il testo integrale della circolare

sabato 8 ottobre 2011

DANNO DA USURA PSICOFISICA: DIVERSI CRITERI IN CASO DI SOLO OBBLIGO DI REPERIBILITA'

La Suprema Corte è recentemente intervenuta sul tema del danno da usura psicofisica, molto attuale nella casistica giurisprudenziale (prevalentemente nell'ambito del pubblico impiego), chiarendo che nell'ipotesi in cui il lavoratore non presti effettivamente attività lavorativa nel giorno in cui avrebbe dovuto godere del riposo, ma abbia avuto semplicemente l'obbligo di rendersi reperibile, pur se il danno è ugualmente configurabile in astratto, i criteri per addivenire al risarcimento sono ben diversi e più rigorosi e, soprattutto, il lavoratore non gode della presunzione di danno (che è sempre da dedurre) invocabile nel primo caso.


Cassazione Civile,  07 settembre 2011, n. 18310


La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che la reperibilità prevista dalla disciplina collettiva si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell'obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio lavoro, in vista di un'eventuale prestazione lavorativa, e di raggiungere in breve lasso di tempo il luogo di lavoro per eseguirvi la prestazione richiesta.

Pertanto, non equivalendo all'effettiva prestazione lavorativa, il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso quindi comporta il diritto non ad un trattamento economico uguale a quello spettante per l'ipotesi di effettiva prestazione di lavoro in quel medesimo giorno bensì ad un trattamento inferiore proporzionato alla minore restrizione della libertà della lavoratore (27477/2008).

La suddetta configurazione della reperibilità esclude che si possa applicare alla fattispecie la giurisprudenza di questa Corte in tema di ristoro della prestazione lavorativa effettivamente resa nel settimo giorno consecutivo, facendo ricorso alla presunzione di sussistenza del danno che questa Corte ha affermato a proposito della maggiore gravosità del lavoro prestato nel giorno destinato riposo (vedi, fra le altre, Cass. 16398/2004). Il doversi tenere disponibile per una eventuale prestazione lavorativa è, infatti, cosa diversa dall'effettuazione in concreto di tale prestazione. L'obbligo di mera disponibilità non seguito dal godimento del riposo compensativo è del pari situazione diversa dalla prestazione di lavoro resa nel giorno destinato al riposo, e non vi è alcuna ragione per ritenere che esso sia di per sé idoneo ad incidere sul tessuto psicofisico del lavoratore così da configurare un danno in re ipsa. D'altra parte, il disagio patito per la reperibilità in giorno festivo non seguita da effettiva attività lavorativa è già monetizzato dalla contrattazione collettiva (vedi Cass. 27477/2008 cit. )

E' certo possibile che quel disagio assuma dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, trasformandosi in danno da usura psicofisica ma a tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere appieno il giorno festivo per il connesso impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto. Né è il datore di lavoro a dover dimostrare , diversamente che nel caso di reperibilità attiva, l'idoneità dei benefici contrattuali a fornire l'integrale ristoro il mancato recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, essendo invece quest'ultimo a dover provare che la mera reperibilità passiva non seguita da riposo compensativo sia stata produttiva di un danno.

In definitiva, il danno da usura psicofisica si iscrive secondo la più recente giurisprudenza di questa corte (11 novembre 2008 n. 26972) nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da fatto illecito o da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava, pertanto, l'onere della relativa specifica deduzione della prova eventualmente anche attraverso presunzioni semplici. Queste, peraltro, -è appena il caso di sottolinearlo- non possono consistere nella mera deduzione di avere reso la prestazione di reperibilità, poiché in tal caso si tornerebbe alla tesi del danno ex se , della quale si è mostrata l'erroneità. In conclusione, il ricorso principale va rigettato.

ART. 39 E PRINCIPIO DI EFFETTIVITA': TRIBUNALE DI TORINO 15.09.2011



Sintetica ma chiara la disamina che il Tribunale fa in premessa della collocazione sistematica ed ordinamentale di quello che viene definito, con locuzione sintetica, "ordinamento sindacale". 
L'analisi parte da una più profonda disamina delle caratteristiche del nostro sistema di fonti del diritto ed evidenzia le evoluzioni che esso ha avuto nel corso degli anni e del dibattito teoretico (da diritto vigente a diritto vivente). 
Le risultanze di tale processo vengono sistematicamente ignorate, o, peggio ancora, meccanicamente ed inconsapevolmente applicate in una prassi giudiziaria connotata da protagonisti ancorati (per formazione e forma mentis) ad una ottocentesca visione, rigida e formalistica, delle fonti di produzione normativa. 
In tal senso l'art. 39 cost. e, più in generale il diritto del lavoro, fungono senza dubbio da campo di pratica e, nel contempo, da leva di cambiamento dello status quo, imponendo la considerazione del conflitto sociale e della logica del compromesso quale sistema dinamico di produzione normativa e di nuove prospettive di cambiamento. ecco perchè ritengo che il diritto del lavoro, più di ogni altro ambito giuridico, contenga in potenza una  forte spinta di innovazione e cambiamento.
Alla inconscia ostilità per le fonti di produzione normativa "extra-statuali" è dovuta, a ben vedere, la pregiudiziale ostilità all'art. 8 della L. 148/2011, una sorta di horror vacui che ha quindi un fondamento culturale profondo e radicato, ma che è giunto il momento di superare non solo, ripeto, per meccanica applicazione di principi elaborati dalla più avanzata dottrina e giurisprudenza, ma anche per garantire una dinamicità del sistema di produzione normativa al passo con i nuovi scenari, avendo il potere legislativo dato ampia dimostrazione di non riuscire ad interpretare le nuove istanze in tempo utile (fatte le debite eccezioni). 




Art. 39 Cost., principio di effettività, ordinamento sindacale.
è convinzione consolidata tra gli studiosi di diritto del lavoro e di diritto sindacale, da quanto meno trent'anni, che, pur nella persistente inattuazione della seconda parte dell'art. 39 Cost., essa abbia nei fatti trovato un suo radicamento, che ha consentito di attribuire al Contratto Collettivo, nel corso del tempo, la posizione di reale fonte del diritto.
Questa comune convinzione ruota intorno a due capisaldi, il primo dei quali è rappresentato dal principio di effettività, che governa le relazioni industriali, ed il secondo è costituito dall'autonomia (seppur relativa) dell'ordinamento sindacale rispetto all'ordinamento statale.
Iniziamo dal principio di effettività, che com'è noto si è venuto formando nell'ambito degli studi giuridici alla fine del Settecento in Francia e ha poi trovato una precisa e definitiva formulazione negli anni '30 del Novecento da parte di Hans Kelsen (21).
Tale principio può così essere formulato (22):
se l'istituzione di un potere capace di porre norme, il cui ordinamento è di efficacia durevole in un ambito determinato, rappresenta dal punto di vista dei diritto positivo un'autorità che pone il diritto, ciò è dovuto al fatto che questa qualità gli è conferita dal generale riconoscimento o anche, ciò che lo stesso, dal fatto che questo riconoscimento lo autorizza a porre il diritto.
Si tratta di un principio che in certo modo tempera la visione tradizionale del diritto inteso come struttura formale costruita a gradi (23), in cui la fonte superiore legittima quella inferiore e così via.
La realtà degli ordinamenti giuridici contemporanei, infatti, ha evidenziato e fatto emergere, nel corso dei Novecento e nella complessità della società industriale avanzata, l'esistenza di ambiti di produzione normativa autonomi rispetto alle tradizionali fonti statali di produzione del diritto, governate dal principio di effettività e fondate sullo stabile riconoscimento da parte delle categorie professionali di riferimento.
In sostanza si tratta di considerazioni ricavate dall'esperienza concreta, la quale in linea di fatto segnala l'esistenza di corpi normativi diversi da quelli tradizionali, di origine statuale, che è possibile rilevare attraverso strumenti diversi da quelli strettamente giuridici e che rimandano all'osservazione sociologica del diritto.
Il primo autore che all'inizio del Novecento ha dato corpo e fondamento a questo tipo di osservazione è Eugen Ehrlich, fondatore della sociologia dei diritto, al quale si deve la locuzione "lebendes Recht" e cioè "diritto vivente", in contrapposizione a "geltendes Recht", vale a dire "diritto vigente", espressione cioè - in senso positivistico - della statualità delle norme giuridiche (24).
Da quella prima intuizione molte cose sono mutate, con il trascorrere del tempo, e possono essere oggi rappresentate richiamando il seguente passo dovuto a uno dei più acuti osservatori contemporanei delle trasformazioni degli assetti giuridici, Norberto Bobbio, il quale così scrive (25):
"non c'è dubbio che uno degli aspetti più interessanti della discussione intorno al diritto in questi anni è la messa in questione delle fonti tradizionali delle norme giuridiche, anche nei paesi continentali. Questa messa in questione va di pari passo con il rilievo sempre maggiore dato alle cosiddette fonti extralegislative (o addirittura extrastatuali). Che la fonte principale di diritto fosse nello Stato moderno la legge, cioè la norma tendenzialmente generale e astratta posta da un organo a ciò specificamente e in modo esclusivo delegato dalla costituzione, è stato uno dei dogmi del positivismo giuridico in senso stretto: uno degli aspetti attraverso cui si manifesta la crisi del positivismo giuridico è la crescente consapevolezza dell'emergere di altre fonti del diritto che minano il monopolio della produzione giuridica detenuto dalla legge in una società in rapida trasformazione e intensamente conflittuale, come la società capitalistica nell'attuale fase di sviluppo. Le regioni in cui il fenomeno della produzione giuridica extralegislativa si manifesta con maggiore evidenza sono appunto quelle che caratterizzano la società industriale, cioè il diritto dell'impresa e il diritto del lavoro e sindacale".
Tornando a questo punto al principio di effettività va detto che il suo utilizzo, nell'ambito del diritto sindacale, ha avuto un momento di indubbio riscontro e impulso intorno alla metà degli anni '80 del Novecento, allorché sulle riviste giuridiche specializzate si sviluppa il dibattito sui cd. "trentanovismo", con riferimento alla seconda parte dell'art. 39 Cost., alla sua perdurante inattuazione formale, ma anche alla presenza di C.C.N.L. stipulati da sindacati mag-gioritari, come previsto dal 3 comma di tale articolo.
Tale dibattito, introdotto da un articolo dai titolo "Il Trentanovismo è nelle cose" (26) cui sono poi seguiti interventi e replica (27), contribuisce in certo modo a consolidare una nuova prospettiva, senza dubbio da un'angolatura empirica e sociologica, da cui considerare l'ordinamento sindacale e delineare così le sue reali regole di funzionamento.
La prospettiva nuova porta, in progresso di tempo, a ritenere, per comune e consolidata convinzione,
[a] l'ordinamento sindacale come originario, in quanto prescinde dal riconoscimento di quello statale, fondandosi esso sulla reciproca legittimazione e cioè sul reciproco riconoscimento tra organizzazioni sindacali dei prestatori e dei datori di lavoro, costituente la Grundnorm del medesimo (28),
[b] il Contratto Collettivo e le sue norme quali vere e proprie fonti del diritto, come tali dotate, al pari della legge, di efficacia obbligatoria per le categorie di riferimento.
Di tale ultima situazione, indicata sub [b], fa fede la testimonianza autorevole di Norberto Bobbio, che così scrive (29):
"In una società industriale di tipo conflittualistico, il contratto collettivo diventa per un'enorme massa di persone una fonte di regole d'importanza assai più vitale che non la maggior parte delle leggi e leggine emanate dagli organi legislativi".
Questo stato di cose in ordine alla portata del Contratto Collettivo è altresì riscontrabile, seppur sotto traccia, attraverso un attento esame della complessiva giurisprudenza della Corte Costituzionale, come dimostrato da un'autorevole relazione tenuta il 24 maggio 2006 in un convegno organizzato congiuntamente dall'Accademia dei Lincei e dalla Corte Costituzionale (30).
Quanto poi alle regole di funzionamento dell'ordinamento sindacale, va detto che la loro peculiare caratteristica è di essere completamente diverse da quelle statuali, le quali ultime, come è noto, sì fondano sulla distinzione tra norme che regolano la produzione del diritto e norme oggetto di produzione normativa, talché queste ultime trovano la loro legittimazione nelle prime e non sono concepibili se non attraverso un procedimento controllato e definito, destinato a renderle valide solo in quanto rispettano il previsto sistema di produzione normativa.
Le norme che contrassegnano e costituiscono l'ordinamento sindacale, invece, scaturiscono propriamente dalle relazioni industriali e cioè dal conflitto sociale e dai rapporti di forza che questo genera; questo stato di cose fa sì che tali regole debbano essere inquadrate e sussunte nella categoria che nella teoria generale del diritto è conosciuta e definita come "fatto normativo" (31) o "norma extra ordinem" (32), la cui caratteristica è di autoqualificarsi come normative, nei mentre vengono prodotte; in sostanza le regole così venute ad esistenza esprimono al tempo stesso, per così dire, la norma prodotta e la norma sulla produzione (33).
La conseguenza di ciò non sono di non poco momento, nel senso che a dar conto del funzionamento dell'ordinamento sindacale e cioè della sua capacità di assicurare la regolarità dell'osservanza delle sue regole altro non può essere che il riconoscimento che i soggetti interessati e destinatari delle stesse le attribuiscono nel tempo.
Questo tipo di situazione non è percepibile allorché il riconoscimento risulta stabile nel tempo; mentre, viceversa, nel caso in cui accadimenti esterni tendano ad alterare la permanenza di esso, ci si approssima allora a contesti in cui - e a decidere le cose non possono che essere ancora una volta i rapporti di forza che contrassegnano le relazioni industriali - è possibile un mutamento delle norme in vigore fino a quel momento, sol che esse trovino in un nuovo riconoscimento la loro fonte di legittimazione.
Anche lo stesso principio di gerarchia delle fonti normative, che è indubbiamente riscontrabile all'interno dell'ordinamento sindacale (si pensi, ad esempio, ai rapporti tra Accordo Governo-Parti Sociali, contenente le regole sulla contrattazione nazionale, e contrattazione subordinata a tali regole o tra Accordo Interconfederale che disciplina la contrattazione collettiva e Contratto Collettivo o tra Contratto Collettivo Nazionale di settore e Contratto Aziendale interno allo stesso), presenta peraltro portata ed efficacia durevole nel tempo, sino a che le parti sociali, ai diversi livelli, si riconoscono in questo sistema di regole.
La situazione ora descritta è sicuramente riconducibile ad un sistema normativo che presenta una struttura di tipo scalare, in cui la fonte superiore legittima quella inferiore e così via; peraltro si tratta di principio di gerarchia delle fonti che ha una sua validità fondata esclusivamente sul riconoscimento ad opera delle parti sociali.
Con la conseguenza che, ove tale riconoscimento venga meno, per essere la pregressa regolamentazione sostituita dalle parti contrapposte che avevano posto in essere quella precedente, la situazione normativa sarà allora destinata ad assestarsi su equilibri, se del caso, anche assai diversi rispetto a quelli per l'innanzi esistenti.
Ed è ovvio che solo il principio di effettività potrà poi dar conto della capacità di quelle nuove norme di regolare i rapporti sociali; solo alla prova dei fatti è invero possibile stabilire ed inferire se un mutamento normativo intervenuto nell'ambito dell'ordinamento sindacale sia o meno legittimo, essendo il criterio di legittimazione un criterio di ordine meramente fattuale.

ART. 28 SDL - SENT. TRIBUNALE TORINO 15 SETTEMBRE 2011

La sentenza del Tribunale di Torino che ha deciso in ordine alla validità degli accordi separati Fiat a Pomigliano, contiene spunti di riflessione anche su altre importanti questioni sia di carattere procedurale che sostanziale. Il primo riguarda l'ambito applicativo dell'art. 28 SDL. In particolare si discute se il comportamento sindacale possa essere fatto valere a emzzo del ricorso ordinario ex art. 414 cpc da parte di soggetto (sindacato nazionale e non sua articolazione territoriale) formalmente ed espressamente non ammessa alla tutela ex art. 28 SdL.


La risposta del Tribunale, molto argomentata, si conclude come di seguito:


A conclusione di questo excursus si può quindi delineare la fattispecie ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori nei termini che seguono, Siamo in presenza, innanzitutto, di enunciato normativo che contiene aspetti sostanziali, che rimandano ad altre norme, e aspetti di carattere processuale, che definiscono una procedura d'urgenza. Le due situazioni non sono necessariamente connesse, con la conseguenza che può essere ammesso alla tutela sostanziale anche un soggetto che non ha viceversa accesso all'art. 28 Stat. Lav., inteso come procedimento speciale; la normativa di carattere sostanziale quindi offre una tutela, anche in ragione del rinvio da essa operato ad altre norme, ad una pluralità di soggetti, i quali, se lesi, avranno a disposizione unicamente il procedimento ordinario e cioè a cognizione piena. In sostanza si può dire che la tecnica normativa utilizzata dal legislatore statutario con l'art. 28 Stat. Lav. è, propriamente, quella del "caso particolare" (20), il quale peraltro contiene elementi espressivi di problematiche che trascendono quel caso particolare. Il caso particolare è di per sé insuscettibile di essere ampliato dall'interprete oltre l'orizzonte delimitato dalia norma, non essendo consentita alcuna interpretazione estensiva. Viceversa la parte di essa, che è espressione di problematiche che trascendono il caso particolare, trova il luogo della sua definizione in altre parti dell'ordinamento (nelle norme costituzionali, in quelle statutarie, in altre norme di rango legislativo e financo nelle norme di carattere collettivo); e sono queste parti che consentono il collegamento con il giudizio ordinario, così da rendere configurabile un procedimento ex art. 28 Stat. Lav., inteso come denuncia di condotta antisindacale, in tutti i casi in cui difettino le condizioni per dare corso al procedimento ex art. 28 Stat. Lav., inteso come insieme delle particolari condizioni che consentono l'accesso alla tute sommaria. In questo quadro, conclusivamente, potrà allora azionare il procedimento ordinario ex art. 28 Stat. Lav. il soggetto che non si trova nelle condizioni per utilizzare il procedimento speciale previsto dall'art. 28 Stat. Lav., come ad es. può avvenire ove faccia difetto l'attualità della condotta, la nazionalità dell'associazione, la natura di organismo locate del denunciante o altro.


Quanto evidenziato nel paragrafo 3. (L'art. 28 Stat. Lav.: norma sostanziale e norma processuale) ci consente inoltre di mettere a fuoco e chiarire le peculiarità dell'enunciato normativo contenuto nell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che possono essere rappresentate nei termini che seguono:
[1] tale norma ha un contenuto sostanziale e un contenuto processuale,
[2] gli aspetti sostanziali della norma non sono definiti dalla norma stessa, se non in rapporto al bene giuridico leso e cioè alla finalità che la condotta oggetto di denuncia obbiettivamente persegue e comporta,
[3] la reale definizione degli aspetti sostanziali, che concernono la lesione della libertà sindacale, trova la propria specifica definizione in altre norme, contenute nella Costituzione, nello Statuto dei Lavoratori, in altre leggi e infine negli accordi sindacali,
[4] questo insieme di norme costituisce il presupposto della tutela offerta dall'art. 28 cit., trattandosi di norme che autonomamente definiscono beni giuridici e regole di condotta e cioè situazioni ritenute dalla legge meritevoli di tutela e, come tali, idonee di per sé a formare oggetto di possibili doglianze e di richieste di intervento da parte del giudice,
[5] in tale contesto la parte processuale dell'art. 28 cit. descrive e delinea un "caso particolare" e cioè una procedura sommaria e urgente, ancorata a speciali condizioni, insuscettibile come tale di interpretazione ed estensione analogica,
[6] le organizzazioni sindacali (ed enti assimilati o assimilabili), che non sono in condizione di poter accedere allo strumento dell'art. 28 cit., inteso quale particolare procedimento sommario e urgente, non avendone i requisiti, possono utilizzare strumento processuale diverso e cioè quello ordinario, al fine di ottenere una tutela ex art. 28 cit., inteso quale norma sostanziale, denunciando condotte datoriali antisindacali e richiedendo gli adeguati provvedimenti del caso.

sabato 1 ottobre 2011

RETRIBUZIONI ARRETRATE - LA CONDANNA DEL DATORE DI LAVORO E' AL LORDO

Cassazione civile sez. III del 28 settembre 2011 n. 19790 ha recentemente chiarito un punto controverso in moltissimi giudizi (direi la quasi totalità) aventi ad oggetto la richiesta di condanna al pagamento delle differenze retributive. La Corte ha affermato: in caso di inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di versare i contributi nei termini previsti dalla legge, quest'ultimo resta obbligato in via esclusiva, senza possibilità di rivalersi nei confronti del lavoratore; infatti, la norma che consente al datore di lavoro di operare le ritenute contributive sulla retribuzione del lavoratore (L. 4 aprile 1952, n. 218, art. 19) è di stretta interpretazione e, limitando il diritto di ritenuta del datore di lavoro sulla retribuzione soltanto nel caso di tempestivo pagamento della contribuzione relativa al medesimo periodo, non consente detta forma di recupero ove i contributi siano pagati parzialmente o in ritardo, dovendosi ricomprendere in tale ultima ipotesi il caso (ricorrente nella specie) del ritardato pagamento della retribuzione unitamente ai contributi ad essa riferibili (tra le altre, v. Cass. 17 febbraio 2009, n. 3782); analogamente, quanto alle ritenute fiscali, il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire (Cass. 7 luglio 2008, n. 18584; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3375); del resto, il lavoratore le vedrà assoggettate, secondo il criterio c.d. di cassa e non, di competenza, a tassazione soltanto una volta che le avrà percepite, facultato oltretutto a scegliere modalità di applicazione di aliquote più favorevoli in rapporto al carattere eccezionale della fonte di reddito nel caso concreto; ne consegue che, allorchè il datore di lavoro sia inadempiente agli obblighi di versamento delle ritenute previdenziali e fiscali, quanto alle previdenziali egli non ha più titolo di rivalersi nei confronti del lavoratore, mentre, quanto alle fiscali, soccorrerà il consueto meccanismo della tassazione dei redditi arretrati, sui quali incomberà al lavoratore, dopo averli materialmente percepiti e dichiarati, corrispondere, su liquidazione del competente ufficio, le relative imposte: pertanto, legittimamente l'esecuzione ha luogo per l'importo dovuto, al lordo cioè di dette ritenute, tanto previdenziali che fiscali. clicca qui per la sentenza completa