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lunedì 16 settembre 2013

Natura delle Casse edili e delle contribuzioni - le attività di recupero dei contributi inevasi

Autorità:  Cassazione civile  sez. lav.
Data:  07 maggio 2012
Numero:  n. 6869


Giova premettere che le Casse edili, organismi di origine contrattuale e sindacale, a carattere paritetico (perchè gestiti unitariamente da rappresentanti dei sindacati dei lavoratori e da rappresentanti dei datori di lavoro), sono investite del compito di assicurare ai lavoratori del settore edile il pagamento di alcune voci retributive (ferie, festività, permessi, gratifica natalizia, le somme relative all'anzianità professionale, cd. Ape) che, per l'elevata mobilità che caratterizza il settore, e per la conseguente durata ridotta dei rapporti, risulterebbero di importo minimo, e dunque di problematica erogazione. L'iter legislativo che, dapprima, ha semplicemente incoraggiato l'iscrizione delle imprese alle Casse Edili, è arrivato poi secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 10, a sancire l'obbligatorietà della regolarità contributiva nei confronti di detti enti.
Esse, inoltre, forniscono anche prestazioni che, pur conservando natura in senso lato retributiva, hanno anche una connotazione previdenziale ed assistenziale, ad esempio, integrando i trattamenti di malattia ed infortunio, oppure sostenendo il reddito dei lavoratori durante fasi di sospensione del rapporto dovute a crisi.
Tali prestazioni sono finanziate dai datori di lavoro, versando gli accantonamenti per le prestazioni di natura retributiva, nonchè i contributi di competenza per il resto (con un limitato apporto anche dei lavoratori).
Discende che le somme che il datore ha l'obbligo di versare alla Cassa Edile quali accantonamenti destinati al pagamento delle somme dovute per ferie, gratifiche natalizie e festività infrasettimanali, costituiscono somme spettanti ai lavoratori a titolo retributivo.
Poichè il meccanismo normativamente previsto per il pagamento da parte del datore ed il conseguente diritto dei lavoratori integra una delegazione (ex artt. 1269 e segg. c.c.: Cass. 27 maggio 1998 n. 5257), questa Corte ha condivisibilmente ritenuto che la Cassa stessa non diventa obbligata nei confronti del lavoratore con il mero sorgere del rapporto di lavoro, bensì solo con il pagamento, da parte del datore, delle somme stesse (Cass. n. 14658/2003; Cass. n. 16014/2006).

In tal modo, per la stessa natura retributiva delle somme che il datore ha l'obbligo di versare alla Cassa Edile, e per il fatto che l'obbligazione della Cassa Edile non sorge con la mera costituzione del rapporto di lavoro, bensì solo con il pagamento, alla stessa, da parte del datore, deve affermarsi che, se ben può il lavoratore agire nei confronti del datore per il pagamento delle somme dovute per ferie festività e gratifiche natalizie, egualmente la Cassa ha l'obbligo di riscuotere le somme che il datore è tenuto a versare.

Nullità parziale di contratti a termine - Oneri di prova - L'utilizzo delle presunzioni


Di seguito riporto lo stralcio di una sentenza del Tribunale di Salerno, sezione Lavoro, GdL dott. Orio (n. 3457/2013), segnalatami gentilmente da un Collega, che, da quanto mi consta, fissa dei criteri del tutto originali rispetto all'ordinario orientamento.
Il giudizio verteva in tema di nullità di contratti a termine. L'azienda restava contumace e non produceva alcunchè, neppure il contratto di lavoro e, quindi, in alcun modo giustificava l'apposizione del termine.
Il Giudice afferma:

Quanto alla natura e tipologia del rapporto di lavoro, va innanzitutto precisato che manca in atti il contratto di assunzione formalizzato il 19/7/2008, di cui, come si è detto, v'è soltanto il certificato di avvenuta assunzione redatto dal Centro per l'Impiego, recante la dicitura "occupato dal 19/7/08 al 7/9/08 c/o XXX (Salerno) a tempo determinato part-time 24h. settimanali con la qualifica di chef de cuisine". Orbene, non v'è ragione per ritenere che l'accordo intercorso fra le parti sia stato elusivo delle disposizioni di cui alla legge 368/2001: in primo luogo è deduttivamente provata la forma scritta del contratto, stante la certificazione del Centro per l'Impiego che non avrebbe diversamente potuto attestare quanto risultante dagli atti dell'ufficio se si fosse trattato di un mero accordo verbale intercorso fra l'amministratore della società datrice ed il lavoratore; in secondo luogo, mancando l'atto non si può escludere che in esso, soprattutto perché redatto dopo una ispezione INAIL/INPS, sia stata preveduta una clausola di fine rapporto motivata da esigenze organizzative collegate alla stagionalità ovvero dalla necessità di soddisfare temporaneamente l'esigenza di garantire la preparazione e la somministrazione di pasti in un periodo di maggiore afflusso di clientela, il che è del tutto coerente con il periodo in cui l'xxx abbia effettivamente prestato la propria attività lavorativa presso il ristorante/pizzeria (dagli inizi del mese di giugno al 7 settembre); e d'altronde, sarebbe stato onere di parte fornire la dimostrazione della elusione normativa attraverso la contestazione delle ragioni che avevano motivato il datore di lavoro a stipulare un contratto a tempo determinato. Non è quindi fondata la domanda di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

giovedì 12 settembre 2013

Omesso versamento di contributi previdenzial - Perdita della pensione - Configurabilità del danno


Riporto stralcio della sentenza CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 settembre 2013, n. 20827
Ai sensi dell'art. 2116, primo comma, cod. civ. le prestazioni previdenziali sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l'imprenditore non ha versato i contributi. Il secondo comma aggiunge che, qualora le istituzioni di previdenza, per mancata o irregolare contribuzione, non siano tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni, l'imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore. Questa seconda disposizione deve essere intesa nel senso che, qualora le dette istituzioni non possano ricevere i contributi per essere il relativo credito estinto per prescrizione, non può trovare applicazione la disposizione del primo comma, e da ciò il danno a carico del lavoratore, che il datore di lavoro è tenuto a risarcire. E' da ricordare che, maturato il termine di prescrizione, come avvenuto nel caso di specie, il credito contributivo si estingue di diritto, ossia senza necessità dell'eccezione del debitore richiesta in via di regola dall'art. 2938 cod. civ. (vedi art. 3, comma 9, legge 8 agosto 1995, n. 335). Suole dirsi che in questo caso la prescrizione ha efficacia realmente estintiva del diritto soggettivo, e non soltanto preclusiva di ogni controversia su di esso. Affermato il diritto del lavoratore al risarcimento del danno da omessa contribuzione, si pone il problema del momento di decorrenza della sua prescrizione. Su tale questione la giurisprudenza di questa Corte non ha dato risposte sempre uniformi. Le oscillazioni derivano dalla difficoltà di bilanciare due contrapposti interessi: quello del lavoratore, protetto dall'art. 38 cpv. Cost., all'effettivo conseguimento del beneficio previdenziale o al ristoro del danno derivante dalla sua perdita, e quello del datoore di lavoro, protetto dall'art. 24 Cost, a resistere efficacemente in giudizio contro la pretesa risarcitoria del dipendente; diritto che può essere sacrificato, specie quanto alla raccolta e conservazione delle prove, dal troppo lungo indugio nell'esercizio di detta pretesa della controparte, che si avvantaggi di un protratto exordium praescriptionis. In un primo tempo questa Corte ritenne che la prescrizione iniziasse a decorrere dal giorno in cui, estinto il diritto dell'istituto assicuratore al versamento dei contributi, può considerarsi già avverato il danno per il lavoratore: in questo giorno inizierebbe perciò a decorrere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento (Cass. Sez. Un. 6 maggio 1975 n. 1744). A questa statuizione si è obiettato che, quando il danno da omessa contribuzione consista, come avviene quasi sempre e come è avvenuto nel caso di specie, nella perdita della pensione, esso non può considerarsi realizzato, e non è pertanto risarcibile, prima che il lavoratore abbia raggiunto nell'età pensionabile; da questo momento, e non prima, può pertanto decorrere la prescrizione, in aderenza alla lettera dell'art. 2935 cod. civ. (Cass. Sez. Un. 18 dicembre 1979 n. 6568). Questo orientamento ha prevalso ed è stato confermato successivamente (ex multis Cass. 15 aprile 1999 n. 3778, Cass. 25 febbraio 2004 n. 2774) per cui sono rimaste anche superate le pronunce che collocano l'esordio della prescrizione nel giorno in cui l'istituto assicuratore comunica il provvedimento negativo del beneficio (Cass. 4 giugno 1988 n. 3790) Tutto ciò dimostra l'infondatezza della prima censura: raggiunta dal lavoratore l'età pensionabile nel 1994 e trattandosi di risarcimento del danno contrattuale ossia di prescrizione ordinaria decennale, l'azione fu tempestivamente esercitata nel 2002.
La posticipazione della decorrenza della prescrizione nuoce, certamente e come si è detto, alle possibilità difensive del datore di lavoro il quale si trova esposto a pretese risarcitone anche a distanza di decenni dall'ultima omissione contributiva, dedotta da chi affermi di avere prestato lavoro.
La lunghezza del termine o la protrazione della sua decorrenza possono favorire una sorta di "abuso della prescrizione" da parte del titolare, che si avvantaggia nell'astenersi dall'esercizio del diritto ossia dalla cura dei suoi interessi, evitando, ad esempio, di chiedere il risarcimento del danno che aumenta con il trascorrere del tempo. L'ordinamento offre allora al soggetto passivo del diritto la possibilità di reagire attraverso l'invocazione dell'art. 1227 citato, che permette la diminuzione del risarcimento per concorso colposo nella produzione del danno.
Talvolta provvede la legislazione speciale, ad esempio nel diritto del lavoro attraverso una specifica disposizione contro il ritardo del lavoratore nell'esercizio di impugnazione giudiziale del licenziamento, sostituendo un breve termine di decadenza a quello di prescrizione (art. 32, comma 1 della legge 4 novembre 2010 n. 183, modificato dall'art. 1, comma 38 della legge 28 giugno 2012, n. 92).
Una volta maturata la prescrizione del credito contributivo spettante all'ente previdenziale, il prestatore di lavoro, che perderà in tutto o in parte il diritto alla prestazione pensionistica, dispone di un rimedio immediato, apprestato dall'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338.
Tale norma, al primo comma, attribuisce al datore di lavoro che abbia omesso di versare i contributi e non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione, il diritto di chiedere all'Istituto previdenziale di costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell'assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi. A norma del quinto comma il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore la costituzione di detta rendita, può sostituirsi al datore salvo il diritto al risarcimento del danno.

Pertanto, maturata la prescrizione del credito contributivo, il lavoratore è titolare delle seguenti posizioni soggettive: a) nei confronti dell'Istituto, del diritto alla costituzione della rendita vitalizia; b) nei confronti del datore di lavoro, del diritto a che questi versi all'Istituto la riserva matematica per la costituzione della rendita; e) in caso di inadempimento del datore, del diritto alla restituzione di quanto versato all'Istituto in esecuzione del quinto comma ora citato (Cass. 29 dicembre 1999 n. 14680). L'ingiustificata mancanza si esercizio di una di queste situazioni soggettive costituisce fatto colposo del lavoratore, che concorre ad aggravare il danno da omessa contribuzione, oppure difetto dell'ordinaria diligenza idonea ad elidere il danno stesso. Questi fatti possono diminuire il risarcimento oppure escluderlo, secondo una gravità della colpa ed un'entità delle conseguenze la cui valutazione è riservata al giudice di merito (cfr. art. 1227 citato, primo e secondo comma).