CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 aprile 2013, n.
18762
La sentenza in commento fa il punto in ordine ad una fattispecie ricorrente: il datore di lavoro porta in compensazione con l'INPS gli importi dovuti ad un dipendente a titolo di indennità di malattia (o a titolo di assegni familiari) salvo poi non corrisponderli effettivamente al lavoratore.
La Corte chiarisce che si configura il reato di truffa se l'azienda opera la compensazione facendo risultare un debito insussistente, cioè non rispondente ad una anticipazione non solo semplicemente non effettuata ma da non effettuare.
Nel caso in cui l'azienda dovesse indicare (questa l'ipotesi più frequente) correttamente l'esistenza di un'anticipazione che effettivamente avrebbe dovuto operare in favore di un dipendente, salvo poi non avergli di fatto corrisposto le indennità che, in effetti, sono a carico dell'INPS e che l'azienda si limita ad anticipare, si realizza l'ipotesi dell'appropriazione indebita che va coltivata non già dall'INPS ma dalla parte lesa, cioè dal lavoratore.
Di seguito il passaggio centrale della motivazione.
La
Corte, fermandosi all'esame della verifica della sussistenza dell'elemento
oggettivo del reato il cui difetto è coerente con la formula di proscioglimento
adottata (il fatto non sussiste), rileva che nel caso di specie nei modelli DM
10 (prospetti con i quali mensilmente il datore di lavoro denuncia all'I.N.P.S.
le retribuzioni mensili corrisposte ai dipendenti, ì contributi dovuti e
l’eventuale conguaglio delle prestazioni anticipate per conto dell'ente, delle
agevolazioni e degli sgravi; il versamento dei contributi dovuti sulla base dei
dati indicati sul modello DM10 viene effettuato con il modello F24) la falsa
rappresentazione riguardava non l'esistenza del debito portato a conguaglio, ma
solo l'anticipazione delle relative somme al lavoratore.
Non può
prescindersi inoltre dal considerare che le somme dovute per assegni familiari
e indennità di malattia in favore del lavoratore costituiscono un debito
dell'l.N.P.S. e non del datore di lavoro che, in forza dell'art. 1
D.L.n.633/79, è tenuto ad anticiparle salvo conguaglio.
Questa
Corte ha già affermato che allorché il datore di lavoro si limiti ad esporre
dati e notizie false in sede di denunce obbligatone, è configurabile il reato
di cui all'art. 37 della legge 24 novembre 1981 n. 689 (qualora dal fatto
derivi un'evasione contributiva per un importo mensile superiore a L.
5.000.000) e non il diverso reato di truffa, per il quale, oltre alle false
dichiarazioni, devono sussistere artifici e/o raggiri di altra natura (Cass.
sez.III 27 dicembre 2000 n. 12169, P.M, in proc.Doti) che, in ipotesi,
potrebbero ravvisarsi ove all'I.N.P.S. fosse simulata la situazione air origine
del debito portato a conguaglio.
Allorché,
invece, la discordanza tra la situazione rappresentata all'I.N.P.S. e quella
reale riguardi solo l'effettiva erogazione di somme che l'ente previdenziale è
tenuto a corrispondere al lavoratore tramite il datore dì lavoro e quest'ultimo
sostanzialmente riconosca il suo obbligo di corrisponderle (pur non avendole di
fatto, ancora, corrisposte) nei confronti dei l'ente previdenziale il datore di
lavoro sicuramente realizza -o, quanto meno, pone in essere atti idonei a
realizzare-l'ingiusto profitto del conguaglio delle prestazioni che assume di
aver anticipato, ma non determina alcun danno. Il lavoratore, infatti, non
potrebbe che rivolgersi al datore di lavoro per ottenere quanto gli spetta
avendo l'I.N.P.S., attraverso il conguaglio, adempiuto il suo obbligo. Sotto
questo profilo il reato di truffa non sussiste. Nel delitto di truffa, mentre
il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità,
incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente
economico, l'elemento del danno deve infatti avere necessariamente contenuto
patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto
potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la "cooperazione
artificiosa della vittima" che, indotta in errore dall'inganno ordito
dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione - la perdita definitiva
del bene da parte della stessa (Cass. Sez.Un.16 dicembre 1998 n. 1,
Cellammare). Nei caso di specie l'I.N.P.S., indicato nell'imputazione quale
soggetto passivo del reato di truffa, non risulta aver risentito per effetto
della condotta dell'imputata uno specifico ed effettivo danno di indole
patrimoniale ovvero un reale depauperamento economico, nella forma del danno
emergente o del lucro cessante.
Nella
condotta ascritta all'imputata potrebbe invece eventualmente configurarsi il
reato di appropriazione indebita nei confronti del lavoratore da parte del
datore di lavoro che trattenga le somme indebitamente portate a conguaglio in
relazione a prestazioni di cui si è sostanzialmente riconosciuto debitore per
conto dell'ente previdenziale e corrispondenti a somme di denaro determinate
nel loro ammontare e già fatte figurare come erogate al lavoratore.
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