La
posizione oggi prevalente in Giurisprudenza, a distanza di mesi dall’entrata in
vigore del nuovo rito, è nel senso di ricondurre ad unitaria trattazione con
rito Fornero le domande tese ad ottenere la tutela ex art. 18 SdL e, in via
gradata, la tutela ex L. n. 108/1990, oltre che domande fondate “sui medesimi fatti costitutivi”.
Sul punto ci
si limita a richiamare l’ordinanza già citata del Tribunale di Roma (Pres.
Sordi) del 28/11/2012, disponibile integralmente a questo link, che chiarisce il punto con lucidità e sistematicità
Del resto,
e come autorevolmente sostenuto da più parti, occorre ricordare come, secondo
la giurisprudenza formatasi nel previgente regime di tutela contro i
licenziamenti illegittimi, proposta dal lavoratore una domanda di
reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del
1970, tale petitum doveva ritenersi comprensivo di quello concernente il
riconoscimento della minore tutela di cui all’art. 8 della legge n. 604 del
1966, con la conseguenza che non violava il principio di corrispondenza fra il
chiesto e il pronunciato la sentenza con la quale il giudice, ritenendo carenti
le condizioni per l’operatività dell’invocata tutela reale, condannava il
datore di lavoro alla riassunzione del lavoratore o, in alternativa, a
corrispondergli l’indennità di cui al citato art. 8 (Cass., 9 settembre 1991,
n. 9460). In un’analoga prospettiva, si è affermato, in tema di inefficacia del
licenziamento, che, se il dipendente illegittimamente licenziato aveva chiesto
l’applicazione dell'art.18 della legge n. 300 del 1970, e quindi anche il
risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal giorno in cui
il licenziamento ha trovato attuazione, il giudice, accertato che non
sussistono i requisiti dimensionali per l’applicazione dell’art. 18, doveva accordare,
sussistendo i relativi presupposti, la tutela in tal caso applicabile
(dichiarazione di inefficacia del licenziamento e risarcimento del danno),
essendo tale tutela omogenea e di ampiezza minore rispetto a quella prevista
dall’art. 18 (Cass., 11 settembre 2003, n. 13375, in Foro it., 2003, I,
3321). Ovvero che non era ravvisabile mutamento della causa petendi nell’ipotesi
in cui il dipendente che aveva impugnato il licenziamento, deducendone la
illegittimità per mancanza di giustificato motivo, proponeva con ricorso
introduttivo domanda di tutela reale, mentre, in sede di precisazione delle
conclusioni, richiedeva quella obbligatoria, in quanto, in detta ipotesi, il mutamento
riguardava solo gli effetti ricollegabili alla tutela richiesta da ultimo, che
sono compresi in quelli cui dà luogo la tutela originariamente invocata (Cass.,
27 agosto 2003, n. 12579; Cass., 19 novembre 2001, n. 14486); così come doveva
ritenersi ammissibile la domanda, proposta per la prima volta in appello dal
lavoratore illegittimamente licenziato, diretta ad ottenere la riassunzione ex
art. 8 della legge n. 604 del 1966, ove in primo grado il lavoratore
medesimo avesse proposto la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro ex
art. 18, atteso che la prima doveva ritenersi compresa, come minus,
in quest’ultima (Cass., 11 settembre 1997, n. 8906, in Foro pad., 1998,
I, 10). Insomma, dalla pregressa giurisprudenza emerge con nettezza
l’impostazione secondo la quale la domanda di concessione della tutela
assicurata dall’art. 18 conteneva implicitamente anche quella di minore
intensità prevista dall’art. 8.
Del resto
se si ritenesse un questo caso necessaria una separazione della domanda
impugnatoria ex art. 18 SdL da quella finalizzata alla mera tutela obbligatoria,
avremmo il risultato concreto di due giudizi pendenti innanzi al medesimo
giudice che, per evidenti ragioni di connessione, andrebbero trattate
unitariamente, per evitare anche potenziali ed imbarazzanti conflitti di
giudicato.
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