CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 ottobre 2012, n. 18286
sabato 27 ottobre 2012
Lavoro autonomo - Compenetrazione delle attività - Unica prestazione di lavoro subordinata
LAVORO RESO NEL SETTIMO GIORNO
Corte
di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 luglio – 25 ottobre 2012, n. 18284
...Il lavoro prestato oltre il settimo giorno determina "non solo, a causa della prestazione lavorativa nel giorno di domenica, la limitazione di specifiche esigenze familiari, personali e culturali alle quali il riposo domenicale è finalizzato, bensì una distinta ulteriore "sofferenza": la privazione della pausa destinata al recupero delle energie psico - fisiche (il fondamento di questa esigenza di recupero è da ricercare in una cadenza che - anche ove non si ritenga di risalire alla Torah - è inscritta, come fatto lungamente protrattosi nel tempo, nella nostra coscienza e nella nostra biologia)" (Cass. n. 2610 del 4.2.2008).
Nell'ipotesi di protrazione del lavoro oltre il sesto giorno, l'indicata "sofferenza" del lavoratore esige tuttavia un compenso dell'oggettivo onere che, anche per il suo "valore marginale", la prestazione esige. Poiché l'onerosità è nella stessa prestazione in quanto effettuata dopo il sesto giorno consecutivo di lavoro, il relativo compenso non è (quantomeno non integralmente) dato da un riposo compensativo riconosciuto dopo il settimo giorno (in quanto tale riposo non coincide con il riposo nel settimo giorno) (cfr. Cass. n. 2610 del 2008 cit.).
In ordine alla natura giuridica che questo compenso assume, è stato escluso che esso costituisca un indennizzo o un risarcimento, dovendo piuttosto riconoscersi la sua natura retributiva (Cass. n. 2610 del 2008; conf., Cass. n. 12318 del 7.6.2011), con soluzione qui condivisa e ribadita.
È da escludere che il compenso abbia natura di indennizzo (come invece ritenuto da Cass. 16 luglio 2002 n. 10334) poiché questo presuppone generalmente l'assenza d'uno specifico precostituito rapporto fra le parti nell'ambito del quale l'evento sorge, mentre la "sofferenza" di cui si discute è diretta conseguenza dello specifico rapporto lavorativo. Ugualmente, è da escludere che il compenso costituisca il risarcimento d'un danno (come ritenuto da Cass. 11 aprile 2007 n. 8709), stante la legittimità (in quanto normativamente prevista) della continuativa protrazione della prestazione nel settimo giorno. Il compenso non è nemmeno retribuzione di lavoro straordinario (per tale conclusione, Cass. 19 maggio 2004 n. 9521), trovando causa non nell'onerosità della protrazione dell'orario giornaliero, bensì nella distinta particolare onerosità della prestazione effettuata dopo il sesto giorno consecutivo di lavoro (v. Cass. n. 2610 del 2008, conf. Cass. n. 12318 del 7.6.2011).
In conclusione, il compenso ha natura di retribuzione dell'onerosità della specifica prestazione.
Tale compenso può essere previsto dalla stessa norma collettiva e, ove la norma collettiva non lo preveda, questo deve essere determinato dal giudice, attraverso integrazione della norma (che, avendo per oggetto la specificazione delle legittime "conseguenze" del contratto, ha il suo fondamento nell'art. 1374 cod. civ.), sulla base d'una motivata valutazione che tenga conto dell'onerosità della prestazione lavorativa, e di eventuali forme di compensazione normativamente previste per istituti affini, quale il compenso del lavoro domenicale, od altro (Cass. n. 2610 del 2008).
Nella particolare fattispecie, la contrattazione collettiva del settore non aveva previsto alcuna maggiorazione né per il lavoro domenicale né per l'attività lavorativa prestata nel settimo giorno nel periodo fino al 30.4.1987 e successivamente, con l'entrata in vigore del nuovo CCNL, aveva previsto una maggiorazione pari al 20% della paga oraria per il solo lavoro domenicale (art. 76).
La Corte di appello ne ha dato atto, come pure ha riferito della inesistenza di altre clausole che prevedessero una qualche forma di remunerazione indiretta volta compensare il disagio del lavoro prestato di domenica e nel settimo giorno di lavoro.
Se la normativa collettiva successiva ha ritenuto di individuare nella suddetta maggiorazione un valido criterio remunerativo per la prestazione di lavoro domenicale (non coincidente con il riposo settimanale), la medesima ratio è ravvisabile nella prestazione lavorativa del c.d. settimo giorno. In entrambi i casi il compenso è diretto a remunerare la particolare "onerosità" o "penosità" del lavoro prestato, in un caso, con sacrificio degli interessi personali e familiari connessi alla mancata fruizione della domenica, nell'altro con il sacrificio di chi si trovi costretto a differire il riposo settimanale oltre la normale cadenza di sei giorni lavorativi, per effetto della prestazione resa nel settimo giorno, ma pur sempre con successiva fruizione del riposo compensativo.
D'altra parte anche nel precedente giurisprudenziale richiamato (Cass. n. 2610/2008 cit.) e qui condiviso, è stato espressamente osservato che, ove la normativa collettiva non lo preveda, questo specifico compenso può essere individuato alla stregua di eventuali forme di compensazione normativamente previste per istituti affini, indicando tra questi il compenso per lavoro domenicale.
Il parametro costituito dal compenso previsto per il lavoro domenicale è stato, dunque, già indicato da questa Corte quale valido criterio da assumere per una valutazione equitativa del quid pluris dovuto al lavoratore per il disagio insito nella prestazione lavorativa resa nel settimo giorno.
...Il lavoro prestato oltre il settimo giorno determina "non solo, a causa della prestazione lavorativa nel giorno di domenica, la limitazione di specifiche esigenze familiari, personali e culturali alle quali il riposo domenicale è finalizzato, bensì una distinta ulteriore "sofferenza": la privazione della pausa destinata al recupero delle energie psico - fisiche (il fondamento di questa esigenza di recupero è da ricercare in una cadenza che - anche ove non si ritenga di risalire alla Torah - è inscritta, come fatto lungamente protrattosi nel tempo, nella nostra coscienza e nella nostra biologia)" (Cass. n. 2610 del 4.2.2008).
Nell'ipotesi di protrazione del lavoro oltre il sesto giorno, l'indicata "sofferenza" del lavoratore esige tuttavia un compenso dell'oggettivo onere che, anche per il suo "valore marginale", la prestazione esige. Poiché l'onerosità è nella stessa prestazione in quanto effettuata dopo il sesto giorno consecutivo di lavoro, il relativo compenso non è (quantomeno non integralmente) dato da un riposo compensativo riconosciuto dopo il settimo giorno (in quanto tale riposo non coincide con il riposo nel settimo giorno) (cfr. Cass. n. 2610 del 2008 cit.).
In ordine alla natura giuridica che questo compenso assume, è stato escluso che esso costituisca un indennizzo o un risarcimento, dovendo piuttosto riconoscersi la sua natura retributiva (Cass. n. 2610 del 2008; conf., Cass. n. 12318 del 7.6.2011), con soluzione qui condivisa e ribadita.
È da escludere che il compenso abbia natura di indennizzo (come invece ritenuto da Cass. 16 luglio 2002 n. 10334) poiché questo presuppone generalmente l'assenza d'uno specifico precostituito rapporto fra le parti nell'ambito del quale l'evento sorge, mentre la "sofferenza" di cui si discute è diretta conseguenza dello specifico rapporto lavorativo. Ugualmente, è da escludere che il compenso costituisca il risarcimento d'un danno (come ritenuto da Cass. 11 aprile 2007 n. 8709), stante la legittimità (in quanto normativamente prevista) della continuativa protrazione della prestazione nel settimo giorno. Il compenso non è nemmeno retribuzione di lavoro straordinario (per tale conclusione, Cass. 19 maggio 2004 n. 9521), trovando causa non nell'onerosità della protrazione dell'orario giornaliero, bensì nella distinta particolare onerosità della prestazione effettuata dopo il sesto giorno consecutivo di lavoro (v. Cass. n. 2610 del 2008, conf. Cass. n. 12318 del 7.6.2011).
In conclusione, il compenso ha natura di retribuzione dell'onerosità della specifica prestazione.
Tale compenso può essere previsto dalla stessa norma collettiva e, ove la norma collettiva non lo preveda, questo deve essere determinato dal giudice, attraverso integrazione della norma (che, avendo per oggetto la specificazione delle legittime "conseguenze" del contratto, ha il suo fondamento nell'art. 1374 cod. civ.), sulla base d'una motivata valutazione che tenga conto dell'onerosità della prestazione lavorativa, e di eventuali forme di compensazione normativamente previste per istituti affini, quale il compenso del lavoro domenicale, od altro (Cass. n. 2610 del 2008).
Nella particolare fattispecie, la contrattazione collettiva del settore non aveva previsto alcuna maggiorazione né per il lavoro domenicale né per l'attività lavorativa prestata nel settimo giorno nel periodo fino al 30.4.1987 e successivamente, con l'entrata in vigore del nuovo CCNL, aveva previsto una maggiorazione pari al 20% della paga oraria per il solo lavoro domenicale (art. 76).
La Corte di appello ne ha dato atto, come pure ha riferito della inesistenza di altre clausole che prevedessero una qualche forma di remunerazione indiretta volta compensare il disagio del lavoro prestato di domenica e nel settimo giorno di lavoro.
Se la normativa collettiva successiva ha ritenuto di individuare nella suddetta maggiorazione un valido criterio remunerativo per la prestazione di lavoro domenicale (non coincidente con il riposo settimanale), la medesima ratio è ravvisabile nella prestazione lavorativa del c.d. settimo giorno. In entrambi i casi il compenso è diretto a remunerare la particolare "onerosità" o "penosità" del lavoro prestato, in un caso, con sacrificio degli interessi personali e familiari connessi alla mancata fruizione della domenica, nell'altro con il sacrificio di chi si trovi costretto a differire il riposo settimanale oltre la normale cadenza di sei giorni lavorativi, per effetto della prestazione resa nel settimo giorno, ma pur sempre con successiva fruizione del riposo compensativo.
D'altra parte anche nel precedente giurisprudenziale richiamato (Cass. n. 2610/2008 cit.) e qui condiviso, è stato espressamente osservato che, ove la normativa collettiva non lo preveda, questo specifico compenso può essere individuato alla stregua di eventuali forme di compensazione normativamente previste per istituti affini, indicando tra questi il compenso per lavoro domenicale.
Il parametro costituito dal compenso previsto per il lavoro domenicale è stato, dunque, già indicato da questa Corte quale valido criterio da assumere per una valutazione equitativa del quid pluris dovuto al lavoratore per il disagio insito nella prestazione lavorativa resa nel settimo giorno.
ESENZIONE DAL CONTRIBUTO UNIFICATO PER CONTROVERSIE DI LAVORO: IL NUOVO LIMITE REDDITUALE E' DI 32.298,99
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 maggio 2002, n.
115 (in Suppl. ordinario n. 126 alla Gazz. Uff., 15 giugno, n. 139). - Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia. (T.U. SPESE DI GIUSTIZIA) (Testo A) (1).
Art. 9, comma 1-bis
Nei processi per controversie di previdenza ed assistenza
obbligatorie, nonche' per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti
di pubblico impiego le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini
dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione,
superiore a tre volte l'importo previsto dall'articolo 76, sono soggette,
rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di
cui all'articolo
13, comma 1, lettera a), e comma 3, salvo che per i processi dinanzi alla
Corte di cassazione in cui il contributo e' dovuto nella misura di cui all'articolo
13, comma 1 .
Ministero della Giustizia, decreto 2 luglio 2012; G.U. 25
ottobre 2012, n. 250
Adeguamento dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese
dello Stato.
L'importo di euro 10.628,16, indicato nell'art. 76, comma 1,
del D.P.R. n. 115/02, così come adeguato con decreto del 20 gennaio 2009, e'
aggiornato in euro 10.766,33.
Pertanto il nuovo limite di reddito valido per l’esenzione è portato
ad € 32.298,99.
lunedì 22 ottobre 2012
RICONOSCIUTA LA MALATTIA PROFESSIONALE PER TUMORE DA UTILIZZO PROLUNGATO DEL CELLULARE
Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 12.10.2012 n° 17438
In caso di malattia professionale non tabellata la prova della causa di
lavoro deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, ammettendo la
possibilità dell’origine professionale della malattia insorta quando si
ravvisi, nel caso concreto, un rilevante grado di probabilità.
Nel caso di
specie, il lavoratore aveva agito in giudizio deducendo che, in conseguenza
dell'uso lavorativo protratto, per dodici anni e per 5-6 ore al giorno, di telefoni
cordless e cellulari all'orecchio sinistro, aveva contratto una grave patologia
tumorale; le prove acquisite e le indagini medico legali avevano permesso di
accertare, nel corso del giudizio, la sussistenza dei presupposti fattuali
dedotti, in ordine sia all'uso nei termini indicati dei telefoni nel corso
dell'attività lavorativa, sia all'effettiva insorgenza di un "neurinoma
del Ganglio di Gasser" - tumore che colpisce i nervi cranici, in
particolare il nervo acustico e, più raramente, come nel caso di specie, il
nervo cranico trigemino-, con esiti assolutamente severi nonostante le terapie,
anche di natura chirurgica, praticate. (1)
(*) Riferimenti normativi: artt. 3 e 139, d.P.R. n. 1124/1965.
(1) Cfr. ex multis, Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 13 aprile 2002, n. 5352 eCass. Civ., sez. lavoro, sentenza 26 giugno 2009, n. 15080.
(1) Cfr. ex multis, Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 13 aprile 2002, n. 5352 eCass. Civ., sez. lavoro, sentenza 26 giugno 2009, n. 15080.
martedì 16 ottobre 2012
Cassa Integrazione e mancato superamento periodo di prova
Direzione generale dell’Inps - messaggio del 12
ottobre 2012, n. 166606.
Nel documento è stato affrontato il quesito se si
possa applicare ai lavoratori in CIGS, assunti a tempo indeterminato e
licenziati per mancato superamento del periodo di prova, l’ipotesi di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 1 L. 604/1966, che
consente al lavoratore licenziato di rientrare nel programma di cassa
integrazione.
Al riguardo si è innanzitutto osservato che la giurisprudenza di legittimità considera distintamente le due fattispecie del recesso dal rapporto di lavoro durante il periodo di prova, rispetto al licenziamento dal rapporto definitivo, ritenendo che le norme sulla stabilità del posto di lavoro contenute nella L. 604/1966 siano applicabili solo ai lavoratori la cui assunzione sia divenuta definitiva, mentre non possono in alcun modo regolare la fattispecie dell’assunzione in prova, giustificata, invece, dall’obiettiva necessità di valutare in concreto le capacità lavorative del soggetto (Corte cost. sentt. n. 204/1976; 172/1996; 541/2000). Peraltro, muovendo da tali premesse, la Consulta è giunta ad affermare che il contratto di lavoro nel periodo di prova, non seguito da assunzione, si configura come contratto a tempo determinato (Corte cost. sent. 541/2000).
Pertanto, considerate le conclusioni
a cui è pervenuto il giudice di legittimità delle
leggi, stante l’inapplicabilità della normativa del licenziamento per
giustificato motivo (oggettivo o soggettivo, o giusta causa) di cui all’art. 1
L. 604/1966 ai casi di recesso del datore di lavoro per mancato superamento del
periodo di prova, ne consegue che, dovendosi configurare il contratto di lavoro
nel periodo di prova come contratto a tempo determinato, ad esso devono
riconnettersi tutti gli effetti tipici del contratto a termine. Ne deriva che
tutti i beneficiari del trattamento di cassa integrazione che non abbiano
superato il periodo di prova previsto dal nuovo contratto di lavoro a tempo
indeterminato, possono rientrare nel programma di cassa integrazione salariale
ed usufruire della relativa indennità, analogamente ai lavoratori che si
rioccupano con contratto a tempo determinato, con relativa applicazione delle
disposizioni di cui alla circolare INPS n. 130/2010
Al riguardo si è innanzitutto osservato che la giurisprudenza di legittimità considera distintamente le due fattispecie del recesso dal rapporto di lavoro durante il periodo di prova, rispetto al licenziamento dal rapporto definitivo, ritenendo che le norme sulla stabilità del posto di lavoro contenute nella L. 604/1966 siano applicabili solo ai lavoratori la cui assunzione sia divenuta definitiva, mentre non possono in alcun modo regolare la fattispecie dell’assunzione in prova, giustificata, invece, dall’obiettiva necessità di valutare in concreto le capacità lavorative del soggetto (Corte cost. sentt. n. 204/1976; 172/1996; 541/2000). Peraltro, muovendo da tali premesse, la Consulta è giunta ad affermare che il contratto di lavoro nel periodo di prova, non seguito da assunzione, si configura come contratto a tempo determinato (Corte cost. sent. 541/2000).
Pertanto, considerate le conclusioni
Compatibilità fra integrazioni salariali e attività di lavoro autonomo o subordinato
Circolare INPS n. 130 del 4 ottobre 2010
Con la Circolare n. 130 del 4 ottobre 2010, che sostituisce, con alcune integrazioni la circolare n. 107 del 5 agosto 2010, l’INPS interviene sul tema della compatibilità delle integrazioni salariali con l’attività di lavoro autonomo o subordinato e la cumulabilità del relativo reddito.
In particolare, come chiarisce la Circolare in oggetto, l’attività lavorativa che può essere svolta pur continuando a percepire il trattamento di cassa integrazione guadagni è quella che sarebbe stata compatibile con il rapporto di lavoro, sospeso, che ha originato l’integrazione, come potrebbe verificarsi, ad esempio, in caso di lavoro a tempo parziale.
Per quanto riguarda le fattispecie di compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali con le prestazioni di lavoro accessorio di tipo occasionale rese negli gli anni 2009 e 2010, trova applicazione un diverso meccanismo. In tali casi, ai fini della corretta applicazione della norma di cui al comma 1bis dell’articolo 70 del Decreto Legislativo n. 276/2003, si rende necessario che la quota di contribuzione IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti), pari a 1,30 euro per ogni buono lavoro del valore di 10 euro, affluisca alla gestione a carico della quale è posto l’onere dell’accredito figurativo correlato alle prestazioni integrative o di sostegno al reddito.
Con la Circolare n. 130 del 4 ottobre 2010, che sostituisce, con alcune integrazioni la circolare n. 107 del 5 agosto 2010, l’INPS interviene sul tema della compatibilità delle integrazioni salariali con l’attività di lavoro autonomo o subordinato e la cumulabilità del relativo reddito.
In particolare, come chiarisce la Circolare in oggetto, l’attività lavorativa che può essere svolta pur continuando a percepire il trattamento di cassa integrazione guadagni è quella che sarebbe stata compatibile con il rapporto di lavoro, sospeso, che ha originato l’integrazione, come potrebbe verificarsi, ad esempio, in caso di lavoro a tempo parziale.
Per quanto riguarda le fattispecie di compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali con le prestazioni di lavoro accessorio di tipo occasionale rese negli gli anni 2009 e 2010, trova applicazione un diverso meccanismo. In tali casi, ai fini della corretta applicazione della norma di cui al comma 1bis dell’articolo 70 del Decreto Legislativo n. 276/2003, si rende necessario che la quota di contribuzione IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti), pari a 1,30 euro per ogni buono lavoro del valore di 10 euro, affluisca alla gestione a carico della quale è posto l’onere dell’accredito figurativo correlato alle prestazioni integrative o di sostegno al reddito.
domenica 14 ottobre 2012
CONTRIBUTO UNIFICATO: LEGGE DI STABILITA' E NOVITA' PER IL 2013
Nella
bozza di DDL approvata dal Consiglio dei Ministri la scorsa settimana vi sono,
tanto per cambiare, nuovi aumenti del contributo unificato, alcuni manifesti,
altri subdolamente nascosti in meccanismi sanzionatori.
E’
opportuno tenere presente queste modifiche per accelerare eventualmente la proposizione
di azioni giudiziarie.
Il
testo approvato dal CDM (che ovviamente dovrà passare al vaglio del
Parlamento), prevede innanzitutto l’introduzione di un nuovo meccanismo sanzionatorio
in caso di soccombenza giudiziale in grado di appello.
Il
contributo unificato viene usato come deterrente.
Quando
l'impugnazione, anche se proposta in via incidentale, è respinta integralmente
oppure dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è
tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale.
Un
obbligo che, precisa la disposizione, nasce al momento del deposito del
provvedimento del giudice che ha accertato i presupposti per infliggere
l’aumento.
Quindi
il discrimine temporale per l’applicazione del nuovo meccanismo, dovrebbe
spostarsi alla data di pubblicazione dei provvedimenti. Ciò significa che
verrebbero coinvolti anche i procedimenti in corso, dovendosi avere riguardo al
momento del decisum. E’ da approfondire comunque l’aspetto dell’immediata
applicabilità ai procedimenti in corso.
Ed
ancora. Viene introdotta un’altra norma che penalizza (anche in questo caso,
tanto per cambiare) gli Avvocati in prima battuta ed i loro Clienti
(eventualmente) in seconda battuta: i compensi (ove non sono però comprese le
spese, ma solo gli onorari) liquidati dai giudici, e messi a carico della parte
soccombente (ex art. 91 cpc), non potranno essere superiori all’importo della
causa promossa.
Ciò
significa ridurre ulteriormente i compensi (ovviamente la finalità è quella di
salvaguardare grossi Enti o Società coinvolti in filoni come l’Enel, le
Compagnie telefoniche, etc).
Altre
novità per il comparto della giustizia riguardano il varo di tariffe forfettarie per le intercettazioni
telefoniche e il premio agli uffici giudiziari più virtuosi (sul punto siamo
curiosi di verificare se verranno redatte “classifiche” per consentire,
finalmente, di esporre al pubblico ludibrio gli Uffici Giudiziari inefficienti
e popolati da personale dalla salute estremamente cagionevole e da incalliti
frequentatori di bar, corridoi e conventicole personali. Speriamo bene!
Inoltre
è previsto un nuovo ed indiscriminato aumento del contributo unificato per
tutti i tipi di procedimenti in ambito di giustizia amministrativa, già a
livelli assurdi.
C’è
poco da sperare nel Parlamento, per cui, come già accaduto lo scorso anno, è
molto probabile un’approvazione tout court da parte del Parlamento.
I NUOVI INCENTIVI PER LE STABILIZZAZIONI E LE NUOVE ASSUNZIONI
Sterzata del Governo in favore
dell'occupazione. Con un decreto interministeriale Lavoro/Economia, sono stati
stanziati poco più di 230 milioni per le assunzioni di giovani (fino a 29 anni)
e di donne di qualsiasi età. Si tratta di una misura straordinaria, a contenuto
meramente economico. A essere premiate saranno le stabilizzazioni e/o le
assunzioni che garantiscano una durata minima lavorativa di almeno 12 mesi,
effettuate dalla data di entrata in vigore del Dm di regolamentazione e fino al
31 marzo 2013 (si legga anche il Sole 24 Ore dello scorso 6 ottobre).
Sarà necessario, tuttavia, tenere in considerazione la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato; conseguentemente, gli incentivi saranno riconosciuti nel rispetto delle previsioni di cui al regolamento (CE) 1998/2006, relativo agli aiuti di importanza minore "de minimis". Gli incentivi sono modulati in ragione del diverso intervento realizzato in favore dell'occupazione.
Sarà necessario, tuttavia, tenere in considerazione la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato; conseguentemente, gli incentivi saranno riconosciuti nel rispetto delle previsioni di cui al regolamento (CE) 1998/2006, relativo agli aiuti di importanza minore "de minimis". Gli incentivi sono modulati in ragione del diverso intervento realizzato in favore dell'occupazione.
In
particolare, è riconosciuto un importo pari a 12mila euro in caso di
trasformazione a tempo indeterminato di un contratto a termine (compresi i
contratti di inserimento di cui al Dlgs 276/03), ovvero per ogni
stabilizzazione di collaborazioni (co.co.co/pro) o di associazioni in
partecipazione con apporto di lavoro.
Le trasformazioni/stabilizzazioni
dovranno realizzarsi con la stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, anche part-time, purché di durata non inferiore alla metà
dell'orario previsto dal Ccln per i lavoratori full time. I nuovi rapporti di
lavoro dovranno riferirsi a contratti ancora in essere o cessati da non più di
sei mesi dalla entrata in vigore del decreto ministeriale che regolamenterà la
materia. Ogni datore di lavoro può trasformare o stabilizzare al massimo 10
lavoratori fruendo dunque complessivamente di 120mila euro di aiuti (fatti
salvi il de minimis e la disponibilità delle risorse). Le operazioni dovranno
essere realizzate nel periodo che va dalla data di pubblicazione del Dm fino al
31 marzo 2013 e dovranno riguardare giovani fino a 29 anni e donne di qualsiasi
età.
Da rilevare che il testo del decreto concede l'incentivo, pari a 12mila euro, in misura generalizzata non eseguendo alcun riproporzionamento per i lavoratori a tempo parziale. Inoltre, il provvedimento nulla dice sul mantenimento dei rapporti di lavoro premiati che potrebbero, quindi, cessare subito dopo aver ottenuto il bonus. A premio anche le assunzioni (massimo 10 per ogni datore di lavoro) di giovani e donne a tempo determinato, purché a incremento della base occupazionale degli ultimi 12 mesi. Sono previsti i seguenti importi: 3mila euro per contratti di durata non inferiore a 12 mesi; 4mila per quelli che superano i 18 mesi e 6mila per i contratti che vanno oltre i 24 mesi. Nella sua massima espansione, compatibilmente con la disponibilità di fondi e nel rispetto del "de minimis", un datore potrebbe beneficiare di 180mila euro.
La gestione degli incentivi è affidata all'Inps, a cui i datori di lavoro interessati dovranno inoltrare istanza telematica sulla scorta delle indicazioni che saranno fornite dall'Istituto. Le risorse a disposizione, (196.108.953,00 euro per il 2012 e 36.000.000 euro per il 2013), sono contingentate; conseguentemente, ogni richiesta sarà contraddistinta da un numero di protocollo che terrà conto dell'ordine cronologico di trasmissione delle istanze.
Poiché le assunzioni/stabilizzazioni che danno diritto al bonus possono spalmarsi su un periodo di oltre 5 mesi, è poco ipotizzabile il ricorso al click day. Verosimilmente l'ammissione all'incentivo avverrà in base all'ordine cronologico di presentazione dell'istanza (modalità da definire) che dovrà essere inoltrata al più presto dopo aver eseguito l'assunzione. Gli incentivi saranno erogati dall'Inps – nei limiti delle risorse stanziate – in un'unica soluzione, decorsi sei mesi, rispettivamente, dalle trasformazioni o stabilizzazioni, ovvero dalle assunzioni incrementali a tempo determinato di giovani e donne. Per la pratica attuazione delle misure, si attendono adesso le istruzioni dell'Inps che, tuttavia, non potranno intervenire prima della pubblicazione in gazzetta del provvedimento ministeriale.
Da rilevare che il testo del decreto concede l'incentivo, pari a 12mila euro, in misura generalizzata non eseguendo alcun riproporzionamento per i lavoratori a tempo parziale. Inoltre, il provvedimento nulla dice sul mantenimento dei rapporti di lavoro premiati che potrebbero, quindi, cessare subito dopo aver ottenuto il bonus. A premio anche le assunzioni (massimo 10 per ogni datore di lavoro) di giovani e donne a tempo determinato, purché a incremento della base occupazionale degli ultimi 12 mesi. Sono previsti i seguenti importi: 3mila euro per contratti di durata non inferiore a 12 mesi; 4mila per quelli che superano i 18 mesi e 6mila per i contratti che vanno oltre i 24 mesi. Nella sua massima espansione, compatibilmente con la disponibilità di fondi e nel rispetto del "de minimis", un datore potrebbe beneficiare di 180mila euro.
La gestione degli incentivi è affidata all'Inps, a cui i datori di lavoro interessati dovranno inoltrare istanza telematica sulla scorta delle indicazioni che saranno fornite dall'Istituto. Le risorse a disposizione, (196.108.953,00 euro per il 2012 e 36.000.000 euro per il 2013), sono contingentate; conseguentemente, ogni richiesta sarà contraddistinta da un numero di protocollo che terrà conto dell'ordine cronologico di trasmissione delle istanze.
Poiché le assunzioni/stabilizzazioni che danno diritto al bonus possono spalmarsi su un periodo di oltre 5 mesi, è poco ipotizzabile il ricorso al click day. Verosimilmente l'ammissione all'incentivo avverrà in base all'ordine cronologico di presentazione dell'istanza (modalità da definire) che dovrà essere inoltrata al più presto dopo aver eseguito l'assunzione. Gli incentivi saranno erogati dall'Inps – nei limiti delle risorse stanziate – in un'unica soluzione, decorsi sei mesi, rispettivamente, dalle trasformazioni o stabilizzazioni, ovvero dalle assunzioni incrementali a tempo determinato di giovani e donne. Per la pratica attuazione delle misure, si attendono adesso le istruzioni dell'Inps che, tuttavia, non potranno intervenire prima della pubblicazione in gazzetta del provvedimento ministeriale.
Il Sole 24 Ore
LE DIMISSIONI INCENTIVATE DAL DATORE DI LAVORO
Il
datore di lavoro può favorire le dimissioni volontarie dei
lavoratori erogando un incentivo
economico a favore di coloro i quali presentino le dimissioni stesse
entro un certo termine da lui stabilito.
In questo caso, però, la presentazione delle dimissioni rappresenta solo una proposta con riserva di accettazione da parte del datore di lavoro: il rapporto di lavoro si estingue nel momento in cui quest'ultimo, anche con comportamento concludente (per esempio liquidando le spettanze del lavoratore), aderisce a tale proposta (Cass. 22 gennaio 1994 n. 600).
Tale strumento è frequentemente utilizzato quando vi sia del personale in esubero e si voglia agevolare l'esodo volontario di uno o più dipendenti senza ricorrere alle procedure di licenziamento.
Le dimissioni incentivate, pur essendo riferibili ad una iniziativa del datore di lavoro, sono caratterizzate dalla volontà del lavoratore di risolvere il rapporto e pertanto non sono equiparabili al licenziamento per riduzione del personale. Ciò comporta che al lavoratore non spetta il diritto di precedenza in caso di nuove assunzioni (Cass. 24 marzo 2004 n. 5940), né i trattamenti di disoccupazione o di mobilità e che le sue dimissioni non rientrano nel computo del numero minimo di licenziamenti necessario ad integrare la fattispecie del licenziamento collettivo (Cass. 1° marzo 2003 n. 3068).
In questo caso, però, la presentazione delle dimissioni rappresenta solo una proposta con riserva di accettazione da parte del datore di lavoro: il rapporto di lavoro si estingue nel momento in cui quest'ultimo, anche con comportamento concludente (per esempio liquidando le spettanze del lavoratore), aderisce a tale proposta (Cass. 22 gennaio 1994 n. 600).
Tale strumento è frequentemente utilizzato quando vi sia del personale in esubero e si voglia agevolare l'esodo volontario di uno o più dipendenti senza ricorrere alle procedure di licenziamento.
Le dimissioni incentivate, pur essendo riferibili ad una iniziativa del datore di lavoro, sono caratterizzate dalla volontà del lavoratore di risolvere il rapporto e pertanto non sono equiparabili al licenziamento per riduzione del personale. Ciò comporta che al lavoratore non spetta il diritto di precedenza in caso di nuove assunzioni (Cass. 24 marzo 2004 n. 5940), né i trattamenti di disoccupazione o di mobilità e che le sue dimissioni non rientrano nel computo del numero minimo di licenziamenti necessario ad integrare la fattispecie del licenziamento collettivo (Cass. 1° marzo 2003 n. 3068).
1) Se il datore di lavoro, con il proprio
comportamento, ingenera falso
affidamento sulla corresponsione di incentivi all'esodo, viene viziato
il processo formativo della volontà di rassegnare le dimissioni (Trib. Ravenna 6 dicembre 2001).
2) Se il lavoratore dà le dimissioni prima del termine concordato (ad
esempio, per poter ottenere in anticipo la pensione di anzianità),
l'obbligazione contrattuale sorta tra l'azienda e il lavoratore stesso deve
ritenersi nulla. In tal caso, infatti, le dimissioni del lavoratore fanno
venire meno la causa per la quale è stata formulata la proposta di incentivo
all'esodo (Cass. 29 marzo 2007 n. 7732).
lunedì 8 ottobre 2012
RIPOSI E PERMESSI PER DIPENDENTI PUBBLICI IN PART TIME CON FIGLI DISABILI
Il Dipartimento della Funzione Pubblica con nota, prot. DFP n. 0036667 del 12 settembre 2012, ha fornito un parere in merito a quanto previsto dall'art. 42 comma 5 e ss., del D.L.vo n. 151 del 2001 (Riposi e permessi per i figli con handicap grave) relativamente al personale in regime di part time verticale.
Oggetto: congedo ex art. 42, comma 5 e ss., del d.lgs. n. 151 del 2001 - personale in regime di part time verticale.
Si fa riferimento alla mail del 10 aprile 2012, successivamente sollecitata, con la quale codesta Amministrazione ha chiesto chiarimenti in merito all'applicazione dell'art. 42, comma 5 e ss., del d.lgs. n. 151 del 2001, al personale dipendente con rapporto di lavoro di part- time verticale.
Nel merito si rappresenta quanto segue.
Il CCNL comparto ministeri del 16 maggio 2001, integrativo del CCNL del 16 febbraio 1999, all'art. 23 (applicabile alle agenzie fiscali in virtù di quanto disposto dall'art. 100 del CCNL comparto agenzie fiscali del 28 maggio 2004) ha disciplinato la fruizione dei congedi e permessi per il personale a tempo parziale. In tale clausola si prevede che al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale si applicano gli istituti normativi previsti dal medesimo contratto, in quanto compatibili, spettanti al personale con rapporto di lavoro a tempo pieno, tenendo conto della ridotta durata della prestazione. Il comma 11 del citato art. 23 stabilisce che le ferie, le festività soppresse e le altre assenze previste dalla legge e dal contratto nel caso di part-time verticale spettano in numero proporzionato alle giornate di lavoro prestate nel corso dell'anno, individuando specifiche deroghe. Tra queste deroghe non è menzionato il caso del congedo di cui all'art. 42, commi 5 ss., del d.lgs. n. 151 del 2001 e, pertanto, ad avviso dello scrivente, in caso di part-time verticale la sua durata deve essere riproporzionata in osservanza della regola generale espressa nella clausola, precisandosi che tale modalità applicativa continua a verificarsi sin quando perdura la situazione che l'ha originata, ossia sino a quando il dipendente fruisce del part-time verticale. Tale calcolo andrà effettuato sulla base delle giornate lavorative del dipendente per tutto il periodo in cui il lavoratore presta la sua opera in regime di part time, la cui durata è fissata in precedenza.
Nel caso di ritorno a tempo pieno, il periodo di congedo già fruito andrà poi riproporzionato (rapportandolo alla situazione di rapporto di lavoro a tempo pieno) e così detratto dal complessivo periodo biennale per conoscere il periodo di congedo residuo, ancora fruibile dal dipendente.
Per quanto riguarda la rilevanza dei periodi non lavorativi (ossia dei periodi durante i quali, in virtù dell'articolazione del part-time verticale la prestazione non deve essere resa), considerato che in generale i congedi possono essere fruiti in corrispondenza dei periodi in cui è dovuta la prestazione, ad avviso dello scrivente, il conteggio dovrebbe comprendere solo i mesi o le giornate coincidenti con quelli lavorativi. Le festività, le domeniche e le giornate del sabato (nel caso di articolazione dell'orario su 5 giorni alla settimana) ricadenti nel periodo non lavorativo dovrebbero essere escluse dal conteggio, con eccezione di quelle immediatamente antecedenti e seguenti il periodo se al termine del periodo stesso non si verifica la ripresa del servizio ovvero se il dipendente ha chiesto la fruizione del congedo in maniera continuativa.
mercoledì 3 ottobre 2012
Cosa si intende per "lavoratore notturno"
Riporto uno stralcio della recente pronuncia della Suprema Corte volta a configurare l'esatta nozione di lavoratore notturno come individuato dal D.Lgs. n. 532/1999. In particolare la Corte chiarisce che per calcolare gli 80 giorni occorre riferirsi non all'anno solare ma all'anno "lavorativo".
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 aprile – 1° ottobre 2012, n. 37903
Presidente Mannino – Relatore Andronio
La decisione impugnata, infatti, dopo avere individuato nell'art. 2, comma 1, lettera b), n. 2), del d.lgs. n. 532 del 1999 - il quale prevede che “in difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno” - la disposizione applicabile al caso in esame, interpreta erroneamente tale disposizione. In particolare, alle pagine 3 e 4 della sentenza impugnata si legge, che Va.Mo. ha svolto “nel solo anno compreso tra aprile 2007 e marzo 2008”, almeno 82 giorni di lavoro notturno e V.M. ha svolto “nel solo anno compreso tra ottobre 2007 e luglio 2008” almeno 111 giorni di lavoro notturno.
Tali riferimenti - che, come anticipato al precedente punto 3.1., devono essere ritenuti corretti in punto di fatto - si fondano, in punto di diritto, sull'implicito assunto per cui l'anno cui riferirsi per calcolare se il limite di 80 giorni sia stato superato può essere individuato in qualsiasi intervallo temporale di 365 giorni, con la conseguenza che, nel caso di specie, detto limite dovrebbe ritenersi, appunto, superato. Si tratta di un'interpretazione che si pone in conflitto con la lettera e con la ratio della disposizione, perché trascura del tutto la durata complessiva del rapporto di lavoro, non consentendo, ad esempio, la concentrazione delle giornate di lavoro notturno alla fine dell'anno lavorativo e all'inizio dell'anno lavorativo successivo. Né la disposizione censurata può essere intesa nel senso che Tanno cui fa riferimento sia Tanno solare, perché tale interpretazione - non tenendo conto dell'effettiva durata del rapporto di lavoro - avrebbe l'inconveniente di consentire, per rapporti di lavoro iniziati in prossimità della fine dell'anno solare, un cumulo di giornate di lavoro notturno nella fase finale dell'anno e nella fase iniziale dell'anno successivo: sarebbe, in altri termini, possibile svolgere 160 giorni sostanzialmente consecutivi di lavoro notturno, a condizione di ripartirli fra i mesi finali dell'anno in cui il rapporto di lavoro è sorto e i mesi iniziali dell'anno successivo.
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