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sabato 25 maggio 2013

Vincolatività degli accordi sindacali per tutti i lavoratori

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 febbraio - 23 maggio 2013, n. 12722
Presidente Vidiri – Relatore Berrino

Si è affermato (Cass. sez. lav. n. 6044 del 18/4/2012) che "i contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato. (Nella specie, la S.C., affermando il principio, ha ritenuto applicabile l'accordo aziendale ad un lavoratore che, senza essere iscritto all'organizzazione stipulante, non risultava tuttavia affiliato ad un sindacato dissenziente e aveva anzi invocato l'accordo medesimo a fondamento delle sue istanze)". (Conforme a Cass. sez. lav. n. 10353 del 28/5/2004)
Invero, la tutela di interessi collettivi della comunità di lavoro aziendale e, talora, la inscindiblità della disciplina, che ne risulta, concorrono a giustificare - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte, le sentenze n. 17674/2002 e n.5953/99) - la efficacia soggettiva "erga omnes" dei contratti collettivi aziendali, cioè nei confronti di tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti.

sabato 18 maggio 2013

Promozione automatica e oneri probatori.


Cass. 11717 del 15 maggio 2013 fa il punto sul riparto degli oneri probatori nel caso in cui il lavoratori invochi l'art. 2013 c.c.. la Corte esclude l'applicabilità del principio della c.d. vicinanza (o prossimità) della prova, affermando che compete al lavoratore provare che il posto era vacante o che la sostituzione si è protratta oltre sei mesi e che il lavoratore sostituito era assente senza diritto alla conservazione del posto.

Di seguito il passaggio di maggiore interesse della sentenza.

Premesso che lo svolgimento di compiti propri di una qualifica superiore a quella rivestita, avvenuto contro la volontà de! datore di lavoro, non attribuisce il diritto alla cosiddetta promozione automatica ai sensi dell'art. 2103 (nuovo testo) cod. civ., non essendo a tal fine invocabile la norma dell'art. 2126 dello stesso codice, la quale, senza equiparare il contratto di lavoro invalido a quello valido, disciplina gli effetti del rapporto di lavoro invalido per il solo tempo in cui esso ha avuto corso (Cass. 619/89), occorre considerare, quanto all'ulteriore questione, che involge il profilo probatorio, quanto segue. Questa Corte ha affermato, con orientamento costante, che "il lavoratore che deduce il diritto alla promozione automatica ai sensi dell'art. 2103 cod. civ. ha l'onere di provare che il lavoratore sostituito era assente senza diritto alta conservazione del posto, configurandosi tale circostanza come fatto costitutivo del diritto alla promozione predetta", (v. . Cass. 10 novembre 1989 n. 4740, Cass. 10 aprile 1999 n. 3529, Cass. 6 aprile 2000 n. 4312).
Per andare in contrario avviso non può invece affermarsi il principio che nella materia in esame, riguardante la promozione automatica ex art. 2103 c.c., gravi sul datore di lavoro la prova che il lavoratore sostituito abbia diritto alla conservazione del suo posto di lavoro, né può giustificarsi tale assunto con il riferimento al criterio - da ricondurre al disposto dell'art. 24 Cost. - della "disponibilità" e della "prossimità" della circostanza da provare in capo al datore di lavoro, e ciò al fine di non rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio con conseguente indebolimento della tutela del diritto (cfr. al riguardo, in tali sensi, Cass. 1 luglio 2009 n. 15406).
Ed infatti con una simile tesi si finisce per pervenire non ad una interpretazione "adeguatrice" - come pure è stato talvolta sostenuto in dottrina - della norma di rito sulla ripartizione dell'onere della prova ma ad una opzione disapplicativa dell'art. 2697 c.c., che è derogabile soltanto con disposizioni da considerarsi speciali (cfr. al riguardo art. 5 L. 15 luglio 1966 n. 604), e ciò al fine di evitare che il sorgere di un soggettivismo interpretativo possa avere ricadute negative su una norma di rito, volta a costituire un referente certo ed affidabile per ciascuna delle parti processuali nell'esercizio del diritto di difesa.
Corollario di quanto sinora detto è che la norma dell'art. 2103 c.c. - che disciplina nella sua astratta fattispecie anche il riconoscimento del diritto alla definitiva assegnazione a mansioni superiori - induce ad affermare, nella ripartizione dell'onere della prova, che chi invoca tale diritto debba allegare e provare, nel caso concreto, che lo svolgimento delle mansioni sia avvenuto su posizioni lavorative prive di titolare, salva sempre a carico del datore di lavoro la prova contraria che l'assegnazione era funzionale, invece, alla sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Per concludere sul punto, correttamente, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto infondata la domanda della Martina stante la incertezza in ordine alla circostanza che l'assegnazione della stessa - per gli ulteriori giorni utili a realizzare il periodo di assegnazione richiesto - fosse avvenuta per la copertura di posti vacanti e non piuttosto per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto. Ed ulteriore incertezza è rimasta anche con riferimento alla riferibilità della destinazione della lavoratrice a diverse mansioni a disposizione datoriale.

CRISI AZIENDALI: UNA TABELLA CON LE SOLUZIONI POSSIBILI



Il nostro Ordinamento prevede una serie di interventi volti a sostenere il salario dei dipendenti di aziende in crisi o dei lavoratori espulsi dai processi produttivi, sinteticamente descritti in tabella.

Crisi aziendale
Effetti sul rapporto di lavoro
Trattamento per i lavoratori
Funzione
Temporanea, con previsione di ripresa produttiva
Sospensione totale o parziale
Cassa integrazione ordinaria (CIG)
- integrare la retribuzione persa dai lavoratori
- ridurre temporaneamente i costi del personale, non licenziare i lavoratori e impiegarli nuovamente una volta cessata la crisi
Di lunga durata e dall'esito incerto, con previsione di ripresa produttiva
Sospensione totale o parziale o riduzione d'orario
Cassa integrazione straordinaria (CIGS) (1)
Riduzione d'orario
Contratti di solidarietà difensivi (CDS) (2) (3)
- integrare la retribuzione persa dai lavoratori
- ridurre temporaneamente i costi del personale, non licenziare i lavoratori e impiegarli nuovamente una volta cessata la crisi
Esuberi di personale
Effetti sul rapporto di lavoro
Trattamento per i lavoratori
Funzione
Di carattere strutturale ed irreversibile (senza che si trovi perciò rimedio negli strumenti sopraindicati)
Licenziamento collettivo
Indennità di mobilità
Sostenere il reddito del lavoratore dopo la cessazione del rapporto
Licenziamento individuale o plurimo
ASPI o MiniASPI
Pensionamento anticipato
Pensione
-


1) Negli anni 2013-2016 possono essere concessi trattamenti di integrazione salariale e di mobilità in deroga alla normativa vigente. La concessione è disposta dal ministro del Lavoro (di concerto con quello delle Finanze) sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a 12 mesi (art. 2, c. 64, L. 92/2012).
2) I contratti e gli accordi collettivi di gestione di crisi aziendali che prevedono il ricorso agli ammortizzatori sociali devono essere depositati presso il ministero del Lavoro, secondo modalità indicate con decreto direttoriale (art. 2, c. 70 bis L. 92/2012; art. 46 bis, c. 1 lett. i), DL 83/2012 conv. in L. 134/2012).

LA REVOCA DELLE DIMISSIONI CON LA LEGGE FORNERO


Il comma 21 della Riforma Fornero, attribuisce ai lavoratori dimissionari una sorta di ius poenitendi codificando in maniera specifica il diritto di recesso.
Prima della novella, un’eventuale revoca delle dimissioni, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1328 c.c., doveva giungere nella sfera di conoscenza del datore di lavoro prima del recesso. Nell’ipotesi in cui, infatti, giungeva in un momento successivo era inidonea a ripristinare il rapporto non essendo sufficiente ad eliminare l’effetto estintivo che si era già prodotto; e tanto anche se la revoca veniva manifestata in costanza di preavviso (Trib. Reggio Calabria, Sez. lavoro, 20/04/2010 e Cass. civ., Sez. lavoro, 29/04/2011, n. 9575 - in banca dati “Platinum”, Utet, Wolters Kluwer Italia S.r.l., Milano). 
Nulla toglieva, però, che le parti una volta risolto il rapporto potessero eliminare l’effetto risolutivo prodotto dalle dimissioni attraverso un accordo pattizio ad hoc ovvero, ricostituire un nuovo contratto di lavoro.
Oggi, invece, la lavoratrice o il lavoratore dimissionario, nei sette giorni che il comma 19 gli concede per la convalida di cui al comma 17 ovvero per la sottoscrizione di cui al comma 18, iato temporale, questo, che può sovrapporsi con il periodo di preavviso, ha facoltà di revocare le dimissioni [o la risoluzione consensuale].
<>. Un’interpretazione letterale della norma, induce a ritenere che la forma scritta sia facoltativa: “può”, e non, “deve” essere comunicata per iscritto. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, comunque, con la richiamata circolare N° 18 del 2012 ritiene la forma scritta necessaria “al fine di evitare dubbi sulla effettiva volontà e quindi possibili contenziosi”.
L’esercizio del diritto di recesso, poi, fa rivivere il contratto di lavoro risolto per dimissioni [o per mutuo consenso] dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Per il periodo intercorrente tra il recesso e la revoca, ove il prestatore non abbia dato la propria prestazione non avrà diritto ad alcuna retribuzione mentre sarà obbligato alla restituzione di quanto eventualmente percepito per effetto delle dimissioni [o del recesso per mutuo consenso].

Ancora sul risarcimento del danno da usura psico-fisica: adunanza plenaria Consiglio di Stato del 19.4.13 n. 7

«Nell’ipotesi in cui il dipendente pubblico chieda in giudizio il risarcimento per danno da usura psicofisica, deducendo che tale danno sia stato provocato dal frequente mancato godimento del riposo settimanale, reiterato nell’arco di un notevole periodo complessivo di tempo, senza che egli abbia fruito di riposo compensativo ed ancorché abbia percepito le previste maggiorazioni retributive per lo svolgimento di attività lavorativa in giorno festivo, deve ritenersi soddisfatto dal ricorrente l’onere di allegazione concernente sia l’oggetto della domanda che le circostanze costituenti il fattobase su cui essa si fonda, sicché il giudice possa far ricorso alle presunzioni, basate sulle regole di esperienza, per ritenere provato il fattoconseguenza del pregiudizio subìto dall’istante.
L’attribuzione patrimoniale rivendicata da un dipendente pubblico per danno da usura psicofisica, derivante dalla perdita del riposo settimanale, ha natura risarcitoria e non retributiva, non consistendo in una voce ordinaria o straordinaria della retribuzione da corrispondersi periodicamente e destinata a compensare l’eccedenza della prestazione lavorativa, bensì essendo diretta ad indennizzare ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. il lavoratore per il predetto danno correlato all’inadempimento contrattuale del datore di lavoro; pertanto, essa si prescrive nell’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., e non nel termine breve (quinquennale) di cui ai successivi artt. 2947, previsto per il risarcimento del danno aquiliano, e 2948, n. 4, previsto per i crediti».

sabato 4 maggio 2013

Omissione o evasione contributiva? Il punto della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. sezione Lavoro, sentenza 7 marzo - 2 maggio 2013, n. 10265

I passaggi salienti della sentenza:

- la pendenza del procedimento avente ad oggetto l'accertamento ispettivo (accertamento negativo dell'obbligo contributivo) preclude l'iscrizione a ruolo dei contributi, ai sensi dell'art. 24, comma 3, del d.lgs n.46/99, con conseguente invalidità della cartella di pagamento eventuale.

- La S.C. ha affermato dapprima che in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l'omessa denuncia all'INPS di lavoratori, ancorché registrati nei libri paga e matricola, configura l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui all'art. 116, comma 8, lett. B), della legge n. 388 del 2000 e non la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" di cui alla lettera A) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l'omessa denuncia dei lavoratori all'INPS faccia presumere l'esistenza della volontà del datore di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi, e gravando sul medesimo l'onere di provare la sua buona fede, che non può reputarsi assolto in ragione della mera registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, che restano nell'esclusiva disponibilità del datore stesso e sono oggetto di verifica da parte dell'istituto previdenziale solo in occasione delle ispezioni (Cass. 10 maggio 2010 n. 11261). 

- Si è poi invece sostenuto, anche nel vigore della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che la mera mancata presentazione dei moduli indicanti la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare, configuri la fattispecie della omissione - e non già della evasione - contributiva, ricadente nella previsione della lettera a) dell'art. 116, comma 8, della medesima legge, qualora il credito dell'istituto previdenziale sia comunque evincibile dalla documentazione di provenienza del soggetto obbligato, quali i libri contabili e le denunce riepilogative annuali (Cass. 20 gennaio 2011 n. 1230).


- Successivamente la Corte ha affermato che l’omessa o infedele denuncia mensile all'INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui all'art. 116, comma 8, lett. B), della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" di cui alla lettera A) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l'omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi (cfr. Cass. 27 dicembre 2011 n. 28966). 

- L'orientamento è stato di recente ribadito da Cass. 25 giugno 2012 n. 10509, secondo cui l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS circa rapporti di lavoro e retribuzioni erogate integra "evasione contributiva" ex art. 116, comma 8, lett. b), della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave "omissione contributiva" di cui alla lettera a) della medesima norma.

- Il Collegio condivide tale più recente orientamento, correttamente basato sulla circostanza che l'omessa o infedele denuncia fa presumere l'esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti, salvo prova contraria del soggetto obbligato, anche alla luce del più favorevole regime di cui all'art. 116 L n. 388/00.


- Nel caso all'attenzione dell Corte l'azienda non ha omesso denunce obbligatorie o reso denunce o dichiarazioni non conformi al vero, ma ha fondato le dichiarazioni sulla scorta di un  contratto di riallineamento (che prevede minimi inferiori al dovuto)  successivamente dichiarato invalido. La Corte afferma che tale ipotesi (molto frequente) non configura evasione ma solo omissione contributiva, di cui all'art. 1, comma 217, lettera b), della L. n. 662/96.