«Nell’ipotesi in cui il dipendente pubblico chieda in giudizio il
risarcimento per danno da usura psicofisica, deducendo che tale danno sia stato
provocato dal frequente mancato godimento del riposo settimanale, reiterato
nell’arco di un notevole periodo complessivo di tempo, senza che egli abbia
fruito di riposo compensativo ed ancorché abbia percepito le previste
maggiorazioni retributive per lo svolgimento di attività lavorativa in giorno
festivo, deve ritenersi soddisfatto dal ricorrente l’onere di allegazione
concernente sia l’oggetto della domanda che le circostanze costituenti il
fattobase su cui essa si fonda, sicché il giudice possa far ricorso alle
presunzioni, basate sulle regole di esperienza, per ritenere provato il
fattoconseguenza del pregiudizio subìto dall’istante.
L’attribuzione patrimoniale rivendicata da un dipendente pubblico per danno
da usura psicofisica, derivante dalla perdita del riposo settimanale, ha natura
risarcitoria e non retributiva, non consistendo in una voce ordinaria o
straordinaria della retribuzione da corrispondersi periodicamente e destinata a
compensare l’eccedenza della prestazione lavorativa, bensì essendo diretta ad
indennizzare ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. il lavoratore per il predetto
danno correlato all’inadempimento contrattuale del datore di lavoro; pertanto,
essa si prescrive nell’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 cod.
civ., e non nel termine breve (quinquennale) di cui ai successivi artt. 2947, previsto
per il risarcimento del danno aquiliano, e 2948, n. 4, previsto per i crediti».
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