In tal modo viene costituito un argine di matrice giurisprudenziale che si affianca a quello previsto, per limitate e ben precise ipotesi dalla novella dell'art. 18 SdL.
Di seguito la parte della sentenza di maggiore interesse.
Al riguardo va
rimarcato che, come ribadito di recente da Cass. 11 marzo 2010 n. 5862,
l'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte sulla interpretazione
dell'art. 1227 c.c. è pervenuta ad affermare i seguenti principi 1) tale
articolo contiene ai corami 1 e 2 due distinte norme che regolano fattispecie
diverse (Cass. 14 gennaio 1992 n. 320; Cass. 22 agosto 2003 n. 12352): il comma
1 regola il concorso del danneggiato nella produzione del fatto dannoso ed ha
come conseguenza una ripartizione di responsabilità, rappresentando un'ipotesi
particolare della più generale previsione del concorso di più autori del fatto
dannoso (art. 2055 c.c.), nel quale uno dei coautori è lo stesso danneggiato.
Il comma 2 contempla una situazione, del tutto diversa, di danno causato dal
solo debitore, e quindi non concerne problemi di nesso causale, ma solo di
estensione o di evitabilità del danno; si tratta di conseguenze dannose che si
sono effettivamente verificate, ma che il creditore avrebbe potuto evitare,
usando la ordinaria diligenza. 2) Quanto al contenuto dell'ordinaria diligenza
esigibile, l'art. 1227 c.c., comma 2, non si limita a prescrivere al
danneggiato un comportamento meramente negativo, consistente nel non aggravare
con la propria attività il danno già prodottosi, ma richiede un intervento
attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche ad evitare le
conseguenze dannose. La norma che onera il danneggiato ad uniformarsi ad un
comportamento attivo ed attento dell'altrui interesse, rientra tra le fonti di
integrazione del regolamento contrattuale, per cui la stessa
"evitabilità" del danno è coordinata con i principi di correttezza e
di buona fede oggettiva, contenuti nell'art. 1175 c.c., applicabile ad entrambe
le parti del rapporto obbligatorio e non al solo debitore, nel senso che
costituisce onere sia del debitore che del creditore di salvaguardare l'utilità
dell'altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un'apprezzabile sacrificio
a suo carico (Cass. 7 aprile 1983 n. 2468; Cass. 14 gennaio 1992 n. 320 cit.).
3) Il limite alla
esigibilità del comportamento attivo è costituito dalla "ordinaria" e
non "straordinaria" diligenza, nel senso che le attività che il
creditore avrebbe dovuto porre in essere al fine dell' evitabilità del danno,
non siano gravose o straordinarie, come esborsi apprezzabili di denaro,
assunzione di rischi, apprezzabili sacrifici (Cass. 15 luglio 1982 n. 4174;
Cass. 14 novembre 1978 n. 5243; Cass. 25 gennaio 1975 n. 304; Cass. 6 luglio
2002 n. 9850). In applicazione degli esposti principi alla materia in oggetto,
questa Corte ha affermato che il lavoratore, licenziato senza giusta causa,
deve collocare sul mercato la propria attività lavorativa per ridurre, ex art.
1127 c.c., il pregiudizio subito (ex multis Cass. 18.2.1980 n. 1208; Cass. 11
novembre 2002 n. 15838; Cass. 22 agosto 2003 n. 12352).
La
Corte di Appello ha fatto corretta applicazione di tale principio,in quanto ha
basato il proprio decisum sul rilievo secondo il quale non era risultato che,
dopo il licenziamento, il lavoratore si era iscritto nelle liste di
collocamento ovvero nelle liste dei disoccupati aspiranti ad un posto di
lavoro, né che, adoperandosi per la ricerca di esso, era rimasto nondimeno
privo di occupazione.
Siffatta argomentazione è conforme al principio secondo cui, in tema di
risarcimento del danno cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del
licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello stesso ex
art. 1227 c.c., comma 2, l'onere della ordinaria diligenza nella ricerca di una
nuova occupazione deve ritenersi assolto dal lavoratore con l'iscrizione nelle
liste di collocamento, mentre spetta al debitore provare ulteriori elementi
significativi della mancanza dell' ordinaria diligenza. (Cass. 11 maggio 2005
n. 9898 e Cass.11 marzo 2010 n. 5862 cit.).
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