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mercoledì 24 agosto 2011

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - PARTE V - L'ESAME DELLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO - IL TESTO DI PROPOSTA APPROVATO

Il 22 ed il 23 agosto si sono tenute le due sedute della Commissione Lavoro del Senato aventi ad oggetto l'esame del provvedimento di conversione del D.L. 138/2011.

La Commissione, con l'importante (politicamente) sostegno del gruppo Unione di Centro, SVP e Autonomie (oltre a Lega e Responsabili), ha approvato lo schema di parere favorevole con osservazioni avanzato dal relatore che riporto di seguito.

"La Commissione lavoro, previdenza sociale, esaminati gli interventi in materia di lavoro e previdenza sociale contenuti nel decreto-legge n. 138 del 2011,
considerato che le misure contenute nel presente decreto in materia di mercato del lavoro e di relazioni industriali rappresentano indubitabilmente un quadro di interventi idoneo a stimolare lo sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività nell'arena internazionale, e a generare un'accelerazione nel recupero di più elevati livelli occupazionali;
valutato positivamente che, in particolare, i provvedimenti in esame delineano risposte coerenti rispetto alle sollecitazioni europee a procedere nella direzione di incrementare l'attrattività del nostro sistema produttivo per gli investimenti internazionali, attraverso il rafforzamento delle flessibilità organizzative, della collaborazione fra le parti sociali, del dinamismo gestionale, della semplicità e dell'affidabilità regolatoria;
rilevato, altresì, che l'indicazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione, che possono costituire oggetto delle specifiche intese di cui all'articolo 8, comma 2, è da intendersi come tassativa, trattandosi comunque di fattispecie derogatorie rispetto all'ordinaria disciplina normativa delle materie in questione,
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole, con le seguenti osservazioni.
Preliminarmente, si raccomanda che la contrattazione avente a oggetto azioni di flessibilità organizzativa family-friendly e di conciliazione tra famiglia e lavoro sia considerata, in relazione all'Avviso Comune del 7 marzo 2011, all'interno dell'area di operatività del presente decreto.
In coerenza con l'Avviso Comune sottoscritto dalle parti sociali il 9 dicembre 2009 e in sintonia con il dibattito svoltosi dinanzi alle Commissioni riunite Lavoro e Finanze del Senato nell'ambito dell'esame dei disegni di legge sulla partecipazione azionaria dei lavoratori (disegni di legge nn. 803, 964, 1307, 1531 e 2572), valuti la Commissione di merito l'inserimento, al comma 1 dell'articolo 8, di una specificazione aggiuntiva, affiancando a quelle già individuate un'ulteriore fattispecie di finalizzazione "all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori", ovvero di un'integrazione alla prevista fattispecie finalizzata alla qualità dei contratti di lavoro, precisando "anche attraverso l'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori".
Al fine di promuovere le intese di cui al comma 1 dell'articolo 8, pare opportuno l'inserimento del seguente comma: «2-bis. Le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge richiamate dal comma 2 e dalle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro e beneficiano dell'applicazione dell'imposta sostitutiva del 10 per cento sulle componenti accessorie della retribuzione ai sensi della normativa vigente.».
Inoltre, in merito alle disposizioni relative al comma 2, dell'articolo 8, si ribadisce che il licenziamento della lavoratrice in gravidanza è radicalmente nullo, e dunque sottratto a interventi di natura contrattuale.
Con riferimento all'articolo 9, comma 1, lettera a),in materia di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio e al regime delle compensazioni, al fine di evitare una antinomia interna all'articolo medesimo, si propone di sostituire le parole: «di ciascuna impresa» con le seguenti: «a livello di gruppo». Inoltre alla lettera b), capoverso 8-ter, del medesimo articolo, onde evitare che la compensazione territoriale in ambito regionale non operi in regime di autorizzazione, ma in via automatica, si propone di inserire infine il seguente periodo: «In tali ipotesi, la compensazione viene operata in via automatica.»

Si osserva altresì come la previsione del comma 24 dell'articolo 1, relativa alla collocazione delle festività civili e del Santo Patrono, affidi all'esercizio annuale della discrezionalità del Governo un intervento le cui potenzialità, in termini non soltanto di razionalizzazione dei flussi programmatori ma anche e soprattutto di incremento della produttività complessiva del nostro sistema industriale, sono formidabili e pertanto si raccomanda il suo utilizzo nella forma più ampia e strutturale, ricorrendo - secondo il modello delineato dall'Accordo Interconfederale del 26 gennaio 1977 - alla cogente e costante traslazione alla domenica successiva della fruizione delle festività infrasettimanali in esame.

Infine, a livello di correzioni formali del testo del decreto, si invita la Commissione di merito a modificare, all'articolo 12, comma 1, capoverso «Art. 603-ter», le parole: «di cui al primo comma» con le seguenti: «di cui al primo periodo» e le parole: «di cui al secondo comma» con le seguenti: «di cui al secondo periodo»".

Come avevo previsto si delinea quindi un intervento chiarificatore in ordine alla portata degli accordi aziendali di cui all'art. 8, prevedendo espressamente la possibilità che essi deroghino la legge e i CCNL.



Excursus dei lavori della Commissione.

Il 22.8.2011 ha preso la parola il Relatore del provvedimento, il senatore Castro (PDL.
Si tratta di un senatore alla prima legislatura, veneto, del 1954, tra l'altro ex D.G. dell'INAIL ed ex responsabile delle risorse umane della Zanussi, proveniente (per semplificare) dal mondo industriale del nord-est.
Questi i punti più interessanti, a mio avviso del suo intervento.
Castro parte, in primo luogo, dai commi 1 e 2 dell'articolo 8, concernenti i possibili contenuti dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti, a livello aziendale o territoriale, dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda. Afferma che la norma prevede che tali contratti possano definire specifiche intese, volte al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1 (maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività), e che, a tali fini, gli accordi possano ridefinire la regolazione delle materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione, materie di cui il comma 2 reca un'esemplificazione. Ancorché tale comma non contempli esplicitamente la possibilità di deroga alle norme di fonte pubblica, essa va tuttavia ritenuta implicita e compiuta, come si deduce dal fatto che, per la materia del recesso dal rapporto di lavoro, si fanno salve le norme sul licenziamento discriminatorio e sul licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio. Peraltro, nell'ambito delle materie lavoristiche oggetto del comma 2, nell'ordinamento figurano altre norme che sono e restano di natura inderogabile, a prescindere dalla presenza o meno di un esplicito richiamo nel comma stesso.
Sempre con riferimento al comma 1 di detto articolo, il relatore riterrebbe opportuno inserire nella disposizione una specificazione aggiuntiva, affiancando a quelle già individuate una ulteriore fattispecie di finalizzazione "all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori", ovvero integrare la fattispecie finalizzata alla qualità dei contratti di lavoro, "anche attraverso l'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori".

Sono poi intervenuti i membri appartenenti alla minoranza politica.
Riporto solo, e per la parte relativa all'art. 8, l'intervento del Prof. Ichino.
Il senatore ICHINO (PD) si sofferma in particolare sull'articolo 8, che giudica l'ultimo episodio di una strategia politica sconcertante: il tentativo di riformare la chiave di volta del diritto del lavoro, cioè la disciplina del licenziamento di cui all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, senza tuttavia farvi esplicito riferimento. Reputa pertanto deplorevole, sia da un punto di vista politico che morale, che il Ministro del lavoro, dopo aver indotto il Governo ad adottare una disposizione, dichiari alla stampa che in realtà il provvedimento non tocca in nessun modo l'articolo 18. Analogo metodo era invero stato seguito in occasione del collegato lavoro, che già tentò di smontare l'articolo 18 consentendo che la materia del licenziamento potesse essere devoluta dal contratto individuale ad un arbitro di fatto scelto dal datore di lavoro. Intervenne a correggere il tiro il Capo dello Stato, allorché, nel messaggio di rinvio alle Camere, pur non negando la legittimità di una riforma legislativa in materia, sottolineò che essa dovesse essere oggetto di una proposta esplicita, e non di modifiche presentate sotto mentite spoglie. La stessa sconcertante modalità è riaffiorata nel disegno di legge delega sullo Statuto dei lavori, mai presentato alle Camere, ma sottoposto alle parti sociali, e che si sostanzia in una delega in bianco al Governo. L'articolo 8 del decreto legge in esame finisce ora con l'affidare ad una contrattazione collettiva aziendale il diritto del lavoro nella sua interezza, che può risultare azzerato anche ignorando gli standard internazionali e i vincoli costituzionali interni. Basti pensare al collocamento in favore dei portatori di handicap. Potrà così verificarsi la scissione dello stesso tessuto produttivo in due tronconi: in uno la maggioranza resterà affidata alle confederazioni sindacali, e nell'altro maggioranze occasionali o manipolate consentiranno all'imprenditore di negoziare, e per di più senza la partecipazione della controparte interessata, ottenendo l'esenzione da qualsiasi norma inderogabile. Peraltro, la contrattazione potrà anche esentare il committente o l'appaltatore dalla solidarietà passiva nei confronti dell'INPS e dell'Erario. Si è dunque in presenza di una norma sgangherata e non meditata. La questione è cruciale: la materia dei licenziamenti investe il bene centrale, vale a dire la sicurezza economica e professionale delle persone, la tutela dell'"ultimo della fila", il più sfortunato, la cui difesa sostanzia lo stesso indice della civiltà in un Paese. Peraltro, allo stato, il diritto del lavoro tutela appena la metà dei lavoratori dipendenti che operano nell'impresa. In questo senso vanno anche quei pochi passaggi della lettera inviata dalle autorità della BCE al Governo che sono stati resi noti, che hanno evidenziato la necessità di interventi finalizzati a riformare il mercato del lavoro in Italia, conciliando la maggior flessibilità per le strutture produttive con una maggiore sicurezza per i lavoratori, nonché il superamento del dualismo tra lavoratori protetti e non protetti. Di questa importante questione non c'è traccia nell'articolo 8, che finisce col destrutturare il sistema delle relazioni industriali, con criteri che nulla hanno a che fare con l'Accordo interconfederale del giugno scorso.

Gli altri membri di opposizione intervenuti, tra questi l'ex. ministro Treu, evidenziano come l'art. 8 costituisca una surrettizia deroga all'art. 18 SdL.

Afferma il Senatore Treu.
"Con l'articolo 8, il Governo si è cacciato in un autentico pasticcio. Innanzitutto, è bene sgombrare il campo da un malinteso testuale: l'affermazione che i contratti collettivi di lavoro "possono" realizzare specifiche intese, di cui al comma 1, lungi dal sostanziare una sorta di autorizzazione, va letto insieme alla disposizione di cui al comma successivo: se ne deduce così che esso indica in realtà l'attribuzione di un potere, costituendo una delega alla contrattazione affinché delegifichi. Peraltro, se il parlare di associazioni dei lavoratori "comparativamente più rappresentative" rappresenta una formula vecchia e oramai desueta, il riferimento successivo alle "rappresentanze sindacali operanti in azienda" è non solo inedita, ma anche indeterminata, non contenendo alcun riferimento né all'essere le medesime elette, né all'essere rappresentative. Ci si trova pertanto di fronte ad un vero e proprio vulnus al concetto stesso di rappresentanza sindacale, così come da ultimo fissato nell'Accordo intersindacale del 28 giugno scorso. Rispetto ad una norma così pericolosa, non giovano i pur meritori tentativi interpretativi forniti dal relatore, risultando evidentemente difficile distinguere se l'uso derogatorio della disposizione venga o meno effettuato con finalità positive, proprio alla luce della dizione letterale del comma 1. Peraltro, in caso di dubbio in ordine alla rispondenza del comma 1 alla regolazione delle materie di cui al comma 2, risulterebbe difficile la determinazione dell'arbitro della questione. Quanto alle materie specificate appunto nel comma 2 dell'articolo 8, si tratta effettivamente di tutte quelle che regolano l'organizzazione del lavoro, e dunque anche di quelle sulla sicurezza. La disposizione appare pertanto anche costituzionalmente censurabile. Particolari perplessità desta poi in particolare la lettera e), riguardante le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, eccezion fatta per il licenziamento discriminatorio e quello della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
Si tratta dunque di una normativa senza precedenti, considerato che nella stessa proposta relativa al cosiddetto "Statuto dei lavori" si dichiarava di voler tenere fermi alcuni principi di base, affidando la flessibilizzazione della parte rimanente alla contrattazione collettiva. Beninteso, la storia del diritto del lavoro conosce norme del genere, ma attraverso una delega puntuale e con criteri precisi, mentre qui si è in presenza di una delega alla contrattazione, senza alcun limite e in assenza di criteri direttivi. Si tratta di un disegno mai immaginato neppure dai Governi più liberisti e che contiene peraltro ampie concessioni ad una filosofia pansindacale. Ne risulta una sorta di balcanizzazione del diritto del lavoro, in cui è lecito immaginare situazioni ampiamente differenziate tra regioni d'Italia - basti mettere a confronto l'Emilia Romagna con il Veneto - e situazioni variegatissime all'interno delle piccole e medie imprese. Dubita che ciò possa giovare all'ordinato svolgimento del sistema produttivo e si augura che tali considerazioni possano trovare accoglimento nel corso dell'esame del provvedimento".


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