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venerdì 11 gennaio 2013

I LICENZIAMENTI CONDIZIONATI - LE CONDIZIONI FISSATE DALLA SUPREMA CORTE

La Corte affronta il tema dei licenziamenti cc.dd. "condizionati" concludendo per la loro liceità purchè venga formulata la riserva della condizione sospensiva e purchè il secondo licenziamento sia fondato su ragioni non conosciute all'atto della prima risoluzione e diverse da quelle su cui era stata fondata la prima risoluzione.
Le specificazioni operate sono illogiche se riferite all'ipotesi ordinaria in cui il licenziamento viene supportato da una serie di motivazioni poste in via subordinata l'una rispetto all'altra (a catena). E' infatti evidente che in tal caso il datore di lavoro sia già a conoscenza delle motivazioni addotte a sostegno della subordinata ipotesi risolutiva. Ciò conduce e ritenere che, diversamente dalla premessa operata, la Corte ritenga illegittima la motivazione "multipla e a catena" di tipo contestuale (ipotesi graduate), essendo così da ritenersi potenzialmente valide solo le risoluzioni operate separatamente ed in un secondo momento.



(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 106/13; depositata il 4 gennaio)


Sostiene la società ricorrente che, una volta accertata la illegittimità del primo licenziamento (individuale) intimato in regime di tutela reale, i giudici di merito non potevano astenersi dal valutare anche la legittimità del secondo licenziamento (collettivo), intimato espressamente come condizionato, nella sua efficacia, all’eventuale illegittimità del primo licenziamento.
La Corte d’appello infatti ha ritenuto (sulla scorta di un orientamento giurisprudenziale di questa Corte) inefficace il licenziamento collettivo perché - a suo dire - non può risolversi un rapporto già risolto in ragione dell’efficacia del licenziamento individuale.
In proposito deve considerarsi che inizialmente questa Corte (Cass., sez. lav., 18 maggio 2005, n. 10394: 9 marzo 2006. n. 5125) ha affermato che il licenziamento intimato, nell’ambito della tutela reale, per giusta causa o per giustificato motivo è efficace finché non intervenga sentenza di annullamento ex art. 18 della legge n. 300 del 1970; ne consegue che un secondo licenziamento, intimato prima dell’annullamento. è privo di oggetto, attesa l’insussistenza del rapporto di lavoro.
Successivamente però questa Corte si è diversamente orientata. Infatti Cass., sez. lav., 6 marzo 2008. n. 6055, ponendosi in critico confronto con l’orientamento precedente, ha affermato che “la continuità e la permanenza del rapporto giustifica l’irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ove basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente, in mancanza di tempestiva impugnazione, deriverà l’effetto estintivo del rapporto”. Ciò perché, nell’area della c.d. tutela reale, il primo licenziamento, in quanto illegittimo, “non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato determinando unicamente una sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma a causa del ritenuto del datore di ricevere la prestazione stessa, sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegrazione del giudice, non venga ripristinata la situazione materiale antecedente al licenziamento".
Conformemente a tale pronuncia Cass., sez. lav., 20 gennaio 2011, n. 1244. ha ribadito che il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo; sicché entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente.
Questo ulteriore sviluppo della giurisprudenza di questa Corte - al quale può qui darsi continuità - induce pero a qualche puntualizzazione.
Una volta che il datore di lavoro ha intimato il licenziamento comunicando il suo recesso dal rapporto, questo deve considerarsi risolto fino a quando, ove si verta in regime di tutela reale, non intervenga una pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 della legge n. 300 del 1970. Non di meno, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, è possibile nel regime della tutela reale che dopo un primo licenziamento individuale sia intimato un secondo licenziamento, parimenti individuale, per un diverso motivo condizionato, nell’efficacia, alla (eventuale) dichiarazione di illegittimità del primo.
Però, oltre all’espressa condizione sospensiva dell’efficacia del secondo recesso, occorre che si tratti di un motivo non solo diverso da quello che posto a fondamento del primo licenziamento, ma anche sopravvenuto, nel senso di non noto in precedenza al datore di lavoro, il quale, tenuto a comunicare i motivi del licenziamento a seguito dell’interpello (ex art. 2 l. n. 604 del 1966) del lavoratore licenziato, se indica a fondamento del recesso una specifica ragione giustificatrice, rinuncia implicitamente a far valere altre ragioni giustificatrici a lui note che parimenti potrebbero, in astratto, esser posi e a fondamento del recesso e non può successivamente intimare un secondo licenziamento fondato su una di tali diverse ragioni, ove anche con efficacia sospensivamente condizionata alla declaratoria di illegittimità del primo licenziamento. Sicché, ad es., nel caso di plurime inadempienze dei lavoratore il datore di lavoro non può allegarne una a giustificazione del licenziamento disciplinare per poi procedere, con contestazioni a catena, ad intimare ulteriori licenziamenti, pur condizionati nell’efficacia in modo sequenziale, fondandoli su altri addebiti già noti in precedenza (cfr.,mutatis mutandis, la giurisprudenza costituzionale che ha stigmatizzato il possibile uso distorto delle contestazioni a catena nel processo penale al fine del rispetto dei termini di custodia cautelare: C. cost. n. 408 del 2005).
Inoltre in ogni caso, dopo un primo licenziamento individuale, il secondo licenziamento non può essere collettivo (né può consistere nel collocamento in mobilità) perché quest’ultimo è ex lege procedimentalizzato in termini tali da non consentire che ci sia un lavoratore licenziato sub condicione. In particolare la necessaria comparazione delle situazioni dei lavoratori destinatari del licenziamento collettivo è ontologicamente incompatibile con la (seppur in ipotesi temporanea) inefficacia sospensivamente condizionata del recesso di uno di essi.
Nella specie il secondo licenziamento è di natura collettiva rispetto al primo recesso individuale (a carattere disciplinare) ed inoltre si fonda su un presupposto (esubero di personale) già noto e sussistente al tempo del primo licenziamento. Quindi correttamente la Corte d’appello ha ritenuto tamquam non esset tale secondo licenziamento di natura collettiva.

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