A questo link il testo approvato che dovrà essere promulgato dal capo dello Stato e poi pubblicato in GU prima di divenire concretamente efficace.
giovedì 28 giugno 2012
RIFORMA FORNERO: IL TESTO DEFINITIVO
La Camera dei Deputati, nella seduta del 27 giugno 2012, ha approvato il Disegno di Legge di Riforma del mercato del lavoro.
venerdì 22 giugno 2012
Ricostituzione del trattamento pensionistico anche nell'ipotesi di omesso versamento dei contributi da parte dei datori di lavoro
Corte di Cassazione, sez. VI-L Civile , sentenza 14 marzo – 19 giugno 2012, n. 10119
Presidente Battimiello – Relatore La Terza
Presidente Battimiello – Relatore La Terza
Fatto e diritto
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Brescia confermando la statuizione di primo grado, rigettava la domanda proposta da P.L. contro l’Inps di condanna alla ricostituzione del trattamento pensionistico assumendo la lavoratrice che dovevano essere computati, nel trattamento medesimo, i contributi non versati dagli ex datori di lavoro, da calcolare sui maggiori importi delle retribuzioni percepite nel corso degli anni e non denunciate ai fini previdenziali. La Corte territoriale confermava il rigetto delle istanze istruttorie a sostegno della domanda ed affermava che il diritto alle prestazioni previdenziali sorge solo in presenza dei presupposti di legge e quindi il diritto non sussiste in mancanza di contribuzione.
Avverso detta sentenza la soccombente ricorre con due motivi.
L'Inps resiste con controricorso;
Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta fondatezza del ricorso;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, perché la Corte territoriale ha omesso di fare applicazione del principio di automaticità delle prestazioni, di cui all'art. 2126 c.c., per cui le prestazioni previdenziali spettano anche quando i contributi non siano stati regolarmente versati, purché i medesimi fossero comunque dovuti.
Il medesimo principio vale non solo per l'insorgenza del diritto a pensione ma anche per la sua misura.
Ed infatti (Cass. n. 3108 del 03/03/2001) per l'assicurazione generale per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti gestita dall'INPS l'automaticità delle prestazioni è prevista nei limiti di cui all'art. 27 del R.D.L. n. 636 del 1939, come modificato dall'art. 40 della legge n. 153 del 1969 e dall'art. 23 "ter" del D.L. n. 267 del 1972, come convertito nella legge n. 485 del 1972. Pertanto, quando il giudice abbia accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro per il quale doveva essere effettuata la contribuzione, devesi ritenere soddisfatto il requisito contributivo nei limiti della prescrizione decennale (attualmente quinquennale) dei contributi, decorrente dal giorno in cui gli stessi dovevano essere versati.
Nello stesso senso si è affermato (Cass. n. 5263 del 27/08/1986) che “Il principio dell'automaticità della Costituzione del rapporto assicurativo e delle conseguenti prestazioni previdenziali pur in mancanza del versamento dei relativi contributi, principio che trova applicazione anche in tema di pensione d'invalidità, presuppone il duplice requisito sia dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, che deve essere provato dal lavoratore mediante elementi certi, sia del mancato decorso della prescrizione decennale talché il pagamento tardivo di tali contributi possa essere effettuato dal datore di lavoro volontariamente (ex art. 55 RDL 4 ottobre 1935 n. 1827) oppure coattivamente su richiesta dell'INPS”.
Ha quindi errato la sentenza impugnata nel non ammettere le prove richieste dalla lavoratrice sulla esistenza del rapporto di lavoro e sulle maggiori retribuzioni percepite, giacché il principio dell'automatismo consente al lavoratore di ottenere una pensione che tenga conto anche dei contributi dovuti e non versati sulla maggiore retribuzione percepita, ma ciò solo nell'ambito del periodo di prescrizione dei contributi medesimi, e purché il lavoratore alleghi e dimostri sia i periodi lavorativi, sia la più alta retribuzione percepita, su cui avrebbero dovuto esser versati i contributi.
L'accoglimento del secondo motivo, concernente la mancata ammissione delle prove determina l'assorbimento del primo.
La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, ad altro Giudice che si designa nella Corte d'appello di Brescia in diversa composizione.
Avverso detta sentenza la soccombente ricorre con due motivi.
L'Inps resiste con controricorso;
Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta fondatezza del ricorso;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, perché la Corte territoriale ha omesso di fare applicazione del principio di automaticità delle prestazioni, di cui all'art. 2126 c.c., per cui le prestazioni previdenziali spettano anche quando i contributi non siano stati regolarmente versati, purché i medesimi fossero comunque dovuti.
Il medesimo principio vale non solo per l'insorgenza del diritto a pensione ma anche per la sua misura.
Ed infatti (Cass. n. 3108 del 03/03/2001) per l'assicurazione generale per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti gestita dall'INPS l'automaticità delle prestazioni è prevista nei limiti di cui all'art. 27 del R.D.L. n. 636 del 1939, come modificato dall'art. 40 della legge n. 153 del 1969 e dall'art. 23 "ter" del D.L. n. 267 del 1972, come convertito nella legge n. 485 del 1972. Pertanto, quando il giudice abbia accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro per il quale doveva essere effettuata la contribuzione, devesi ritenere soddisfatto il requisito contributivo nei limiti della prescrizione decennale (attualmente quinquennale) dei contributi, decorrente dal giorno in cui gli stessi dovevano essere versati.
Nello stesso senso si è affermato (Cass. n. 5263 del 27/08/1986) che “Il principio dell'automaticità della Costituzione del rapporto assicurativo e delle conseguenti prestazioni previdenziali pur in mancanza del versamento dei relativi contributi, principio che trova applicazione anche in tema di pensione d'invalidità, presuppone il duplice requisito sia dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, che deve essere provato dal lavoratore mediante elementi certi, sia del mancato decorso della prescrizione decennale talché il pagamento tardivo di tali contributi possa essere effettuato dal datore di lavoro volontariamente (ex art. 55 RDL 4 ottobre 1935 n. 1827) oppure coattivamente su richiesta dell'INPS”.
Ha quindi errato la sentenza impugnata nel non ammettere le prove richieste dalla lavoratrice sulla esistenza del rapporto di lavoro e sulle maggiori retribuzioni percepite, giacché il principio dell'automatismo consente al lavoratore di ottenere una pensione che tenga conto anche dei contributi dovuti e non versati sulla maggiore retribuzione percepita, ma ciò solo nell'ambito del periodo di prescrizione dei contributi medesimi, e purché il lavoratore alleghi e dimostri sia i periodi lavorativi, sia la più alta retribuzione percepita, su cui avrebbero dovuto esser versati i contributi.
L'accoglimento del secondo motivo, concernente la mancata ammissione delle prove determina l'assorbimento del primo.
La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, ad altro Giudice che si designa nella Corte d'appello di Brescia in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione.
Recesso ante tempus in un contratto a termine - disciplina applicabile - Cass. n. 4688 del 31 maggio 2012
Riporto di seguito una sentenza recente della S.C. riguardante un'ipotesi molto diffusa: il recesso ante tempus in un contratto a termine.
La Suprema Corte, come noto, ha ripetutamente affermato, in caso di recesso ante tempus il seguente principio:
Nel contratto a termine il recesso ante tempus , in mancanza di una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c., è illegittimo per violazione del termine contrattuale e obbliga il recedente al risarcimento integrale del danno, da liquidarsi secondo le regole comuni di cui all'art. 1223 c.c., sicché il lavoratore ha diritto alla retribuzione fino alla scadenza del termine, con detrazione - ove il datore di lavoro ne fornisca la prova, ciò che non è avvenuto nella fattispecie - di quei guadagni che il lavoratore abbia eventualmente conseguito da un'occupazione successiva al licenziamento o avrebbe potuto conseguire se non fosse stato negligente nel reperire altra occupazione (Cass. n. 16849/03; Cass. n. 14637/99; Cass. n. 2822/97).
Ovviamente tale disciplina opera in caso di contratto a termine valido. Quando invece il contratto a termine è parzialmente nullo per illegittima apposizione del termine, si pone il problema di quale disciplina applicare nel caso di immotivato recesso prima della scadenza.
La Suprema Corte con la sentenza che riporto in stralcio, ritiene, diversamente dai giudici di merito, che non si applichi la disciplina prevista per i contratti a termine parzialmente nulli, bensì quella ordinaria prevista per i rapporti a tempo indeterminato, trattandosi di una risoluzione non motivata dalla scadenza del termine nullo.
Nel caso di specie, poi, il lavoratore, difronte all'invito del datore di riprendere l'attività, aveva anche esercitato l'opzione per le 15 mensilità.
La Corte ritiene che in questo caso non vada applicata l'ordinaria regola secondo la quale le 15 mensilità vanno cumulate con la retribuzione/risarcimento spettante ex art. 18 fino al pagamento concreto dell'indennità, in quanto l'opzione era stata esercitata a seguito di invito alla ripresa dell'attività lavorativa alla quale, stante il rifiuto, aveva fatto seguito licenziamento supportato da giusta causa.
Ciò che colpisce, anche se non è ben chiarito dalla parte motivazionale, è che sembrerebbe applicabile l'art. 18 e non le ordinarie regole derivanti dal recesso ante tempus (di cui sopra) a prescindere dalla nullità parziale del contratto a termine.
Cioè sembrerebbe che in ogni ipotesi di recesso ante tempus vada applicata la tutela prevista per i contratti a tempo indeterminato.
Di seguito uno stralcio della sentenza.
Cassazione Sezione Lavoro n. 8688 del 31 maggio 2012, Pres. Miani Canevari, Rel. Bronzini)
Svolgimento del processo
Così il Giudice di appello ha ricostruito i fatti, definendoli incontestati: il (...) è stato assunto dalla (...) con un contratto a termine dal 16.5.2005 al 31.12.2005 senza alcuna indicazione delle ragioni legittimanti in termine; la (...) con comunicazione del 28.11.2005 anticipava la conclusione del rapporto; il lavoratore con lettera del 16.12.2005 allegava la nullità del contratto, la sua trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato ed offriva la prestazione. Il 10.2.2006 la (...) invitava il (...) a riprendere il lavoro, ricevendo da controparte come risposta la manifestazione di opzione per le 15 mensilità ex. Art. 18 L. 300/70. Veniva quindi intimato licenziamento per giusta causa, essendosi il (...) assentato dal lavoro senza un giustificato motivo. Il primo giudice riteneva che, stante la conversione del rapporto in un rapporto a tempo indeterminato, il primo recesso fosse privo di giusta causa e comportasse - stante la sua pronta revoca - un risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità globali di fatto. Sull’appello delle parti la Corte di appello di Brescia con sentenza del 18-6-2009, in accoglimento dell’appello incidentale della (...) veniva condannata la detta società al solo risarcimento delle retribuzioni maturate dall’atto di offerta delle prestazioni (18.1.2006) al 14.2.2006, data in cui la prestazione era stata accettata con l’invito a riprendere servizio.
La Corte territoriale osservava che non era applicabile l’art. 18 L. 300/70 in quanto era operante il regime proprio della conversione di contratti con illegittimità apposizione del termine in rapporti a tempo indeterminato. Le retribuzioni relative al rapporto a termine erano state percepite e quindi l’unico risarcimento dovuto era quello pari alle retribuzioni dal momento di messa in mora sino all’invito a riprendere il lavoro, mentre appariva legittimo il secondo recesso, giustificato dal rifiuto del lavoratore di riattivare il rapporto non in buona fede, in quanto tale rifiuto era in contrasto con la stessa offerta del lavoratore. Il danno ulteriore, rispetto alla retribuzioni come sopra riconosciute, poteva essere evitato con l’ordinaria diligenza da parte dello stesso lavoratore.
L’inquadramento giuridico della vicenda operato dai Giudici di appello non appare corretto; risulta dall’esposizione della sentenza impugnata che il recesso (il primo) è stato comunicato il 28.11.2005, e quindi prima della scadenza del termine che era il 31.12.2005. Conseguentemente si tratta di un licenziamento privo di giustificazione (che non risulta mai allegata) in un rapporto a termine cui è applicabile pacificamente (trattandosi di recesso ante tempus) la disciplina ordinaria prevista dall’art. 18 L.300/70 (non essendo in discussione il requisito dimensionale). Pertanto il riferimento operato nella sentenza impugnata alla giurisprudenza concernente le conseguenze della trasformazione di un contratto a termine illegittimo in un contratto a tempo indeterminato è inconferente perché siamo di fronte ad una risoluzione del rapporto non alla scadenza del contratto stipulato a tempo, ma prima della scadenza convenuta e senza la sussistenza di alcuna giustificazione. Pertanto essendo il primo recesso stato regolarmente impugnato ed avendo il lavoratore esercitato l’opzione - in luogo del diritto alla reintegrazione - in favore dell’indennità prevista allo stesso art. 18 L. 300/70 spetta il diritto del ricorrente alla detta indennità pari al 15 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, con gli accessori di legge, nonché alle retribuzioni non corrisposte (emerge dalla motivazione della sentenza che le altre retribuzioni, anche per il periodo in cui il rapporto non ha avuto esecuzione, sono state corrisposte) dal momento della messa in mora del 18.1.2006 sino al momento in cui il rapporto, come si dirà più in avanti si è sciolto per non aver accettato il lavoratore la riammissione in servizio (quindi le retribuzioni dal 18.1.2006 all’8.3.2006), comportamento peraltro conseguente all’esercitato diritto di opzione ex art. 18 L. n. 300/70. Ulteriori danni, trattandosi - come detto di un recesso da un contratto a termine, non risultano provati; né può limitarsi il risarcimento al momento in cui il (...) è stato inviato a riprendere il rapporto in quanto legittimamente, come detto, lo stesso ha esercitato il diritto ad ottenere l’indennità di 15 mensilità. Solo con il secondo recesso il rapporto si è sciolto in sostanza per volontà di entrambe le parti e sino a tale momento, non essendo stata corrisposta la chiesta indennità ex art. 18 L. 300/70, è proseguito l’obbligo contributivo per il datore di lavoro.
....
Con il sesto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, quarto e quinto comma L. 300/70: era illegittimo anche secondo il licenziamento e spettavano le retribuzioni sino al momento del pagamento dell’indennità conseguente all’esercizio del diritto di opzione.
Il motivo è infondato. Infatti, dopo l’impugnazione del primo recesso, il datore di lavoro ha disposto la riammissione in servizio del lavoratore; quest’ultimo ha esercitato il diritto di opzione come già ricordato e non essendosi il (...) presentato in azienda è stato intimato un secondo recesso. Tuttavia lo scioglimento del rapporto è stato in sostanza accettato dal lavoratore che ha richiesto il diritto all’indennità ex art. 18 L. 300/70 conseguente al primo recesso, richiesta incompatibile con la volontà di prosecuzione del rapporto e, quindi, indipendentemente dalla legittimità o meno del secondo atto di recesso, il rapporto si è sciolto per una convergente volontà delle partì, ivi compresa quella del (...) che non può logicamente pretendere di cumulare il risarcimento derivante da un primo recesso ritenuto illegittimo con quello di un secondo licenziamento di cui assume ai tempo stesso l'Illegittimità per avere egli stesso ritualmente esercitato la facoltà riconosciuta dall'ordinamento dì sostituire il diritto alla reintegrazione con l'indennità prevista. Se, seguendo il ragionamento del lavoratore, il rapporto era stato da lui stesso concluso per esercizio del diritto all'opzione, allora non possono derivare danni dal secondo atto di recesso. Né appare applicabile alla fattispecie la giurisprudenza richiamata nel ricorso in cassazione ( cfr. cass. n. 6735/2010; contra cass. n. 3775/09) sul momento di estinzione dell'obbligo retributivo dei datore di lavoro (per la prevalente giurisprudenza di legittimità da identificarsi con il pagamento dell'indennità sostitutiva), stante la peculiarità del caso in esame, in cui il datore dì lavoro ha comunque riammesso il lavoratore in servizio senza esito ed il nuovo recesso, come detto, è stato accettato nei fatti dal (...) Tale giurisprudenza appare, infatti, riferirsi al più ordinario caso di un recesso impugnato dal lavoratore, con il diritto alla reintegrazione che viene sostituito con l'indennità dì cui all'art. 18 L. 300/70 per esercizio del diritto all'opzione (con un rapporto quindi che prosegue sino ai momento in cui- con il pagamento dell'indennità- deve ritenersi estinto) e non appare sovrapponibile alfa più complessa situazione di cui si è sin qui parlato in cui gli atti di recesso sono stati due, il secondo dei quali in sostanza non contestato in sé e per sé.
Svolgimento del processo
Così il Giudice di appello ha ricostruito i fatti, definendoli incontestati: il (...) è stato assunto dalla (...) con un contratto a termine dal 16.5.2005 al 31.12.2005 senza alcuna indicazione delle ragioni legittimanti in termine; la (...) con comunicazione del 28.11.2005 anticipava la conclusione del rapporto; il lavoratore con lettera del 16.12.2005 allegava la nullità del contratto, la sua trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato ed offriva la prestazione. Il 10.2.2006 la (...) invitava il (...) a riprendere il lavoro, ricevendo da controparte come risposta la manifestazione di opzione per le 15 mensilità ex. Art. 18 L. 300/70. Veniva quindi intimato licenziamento per giusta causa, essendosi il (...) assentato dal lavoro senza un giustificato motivo. Il primo giudice riteneva che, stante la conversione del rapporto in un rapporto a tempo indeterminato, il primo recesso fosse privo di giusta causa e comportasse - stante la sua pronta revoca - un risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità globali di fatto. Sull’appello delle parti la Corte di appello di Brescia con sentenza del 18-6-2009, in accoglimento dell’appello incidentale della (...) veniva condannata la detta società al solo risarcimento delle retribuzioni maturate dall’atto di offerta delle prestazioni (18.1.2006) al 14.2.2006, data in cui la prestazione era stata accettata con l’invito a riprendere servizio.
La Corte territoriale osservava che non era applicabile l’art. 18 L. 300/70 in quanto era operante il regime proprio della conversione di contratti con illegittimità apposizione del termine in rapporti a tempo indeterminato. Le retribuzioni relative al rapporto a termine erano state percepite e quindi l’unico risarcimento dovuto era quello pari alle retribuzioni dal momento di messa in mora sino all’invito a riprendere il lavoro, mentre appariva legittimo il secondo recesso, giustificato dal rifiuto del lavoratore di riattivare il rapporto non in buona fede, in quanto tale rifiuto era in contrasto con la stessa offerta del lavoratore. Il danno ulteriore, rispetto alla retribuzioni come sopra riconosciute, poteva essere evitato con l’ordinaria diligenza da parte dello stesso lavoratore.
L’inquadramento giuridico della vicenda operato dai Giudici di appello non appare corretto; risulta dall’esposizione della sentenza impugnata che il recesso (il primo) è stato comunicato il 28.11.2005, e quindi prima della scadenza del termine che era il 31.12.2005. Conseguentemente si tratta di un licenziamento privo di giustificazione (che non risulta mai allegata) in un rapporto a termine cui è applicabile pacificamente (trattandosi di recesso ante tempus) la disciplina ordinaria prevista dall’art. 18 L.300/70 (non essendo in discussione il requisito dimensionale). Pertanto il riferimento operato nella sentenza impugnata alla giurisprudenza concernente le conseguenze della trasformazione di un contratto a termine illegittimo in un contratto a tempo indeterminato è inconferente perché siamo di fronte ad una risoluzione del rapporto non alla scadenza del contratto stipulato a tempo, ma prima della scadenza convenuta e senza la sussistenza di alcuna giustificazione. Pertanto essendo il primo recesso stato regolarmente impugnato ed avendo il lavoratore esercitato l’opzione - in luogo del diritto alla reintegrazione - in favore dell’indennità prevista allo stesso art. 18 L. 300/70 spetta il diritto del ricorrente alla detta indennità pari al 15 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, con gli accessori di legge, nonché alle retribuzioni non corrisposte (emerge dalla motivazione della sentenza che le altre retribuzioni, anche per il periodo in cui il rapporto non ha avuto esecuzione, sono state corrisposte) dal momento della messa in mora del 18.1.2006 sino al momento in cui il rapporto, come si dirà più in avanti si è sciolto per non aver accettato il lavoratore la riammissione in servizio (quindi le retribuzioni dal 18.1.2006 all’8.3.2006), comportamento peraltro conseguente all’esercitato diritto di opzione ex art. 18 L. n. 300/70. Ulteriori danni, trattandosi - come detto di un recesso da un contratto a termine, non risultano provati; né può limitarsi il risarcimento al momento in cui il (...) è stato inviato a riprendere il rapporto in quanto legittimamente, come detto, lo stesso ha esercitato il diritto ad ottenere l’indennità di 15 mensilità. Solo con il secondo recesso il rapporto si è sciolto in sostanza per volontà di entrambe le parti e sino a tale momento, non essendo stata corrisposta la chiesta indennità ex art. 18 L. 300/70, è proseguito l’obbligo contributivo per il datore di lavoro.
....
Con il sesto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, quarto e quinto comma L. 300/70: era illegittimo anche secondo il licenziamento e spettavano le retribuzioni sino al momento del pagamento dell’indennità conseguente all’esercizio del diritto di opzione.
Il motivo è infondato. Infatti, dopo l’impugnazione del primo recesso, il datore di lavoro ha disposto la riammissione in servizio del lavoratore; quest’ultimo ha esercitato il diritto di opzione come già ricordato e non essendosi il (...) presentato in azienda è stato intimato un secondo recesso. Tuttavia lo scioglimento del rapporto è stato in sostanza accettato dal lavoratore che ha richiesto il diritto all’indennità ex art. 18 L. 300/70 conseguente al primo recesso, richiesta incompatibile con la volontà di prosecuzione del rapporto e, quindi, indipendentemente dalla legittimità o meno del secondo atto di recesso, il rapporto si è sciolto per una convergente volontà delle partì, ivi compresa quella del (...) che non può logicamente pretendere di cumulare il risarcimento derivante da un primo recesso ritenuto illegittimo con quello di un secondo licenziamento di cui assume ai tempo stesso l'Illegittimità per avere egli stesso ritualmente esercitato la facoltà riconosciuta dall'ordinamento dì sostituire il diritto alla reintegrazione con l'indennità prevista. Se, seguendo il ragionamento del lavoratore, il rapporto era stato da lui stesso concluso per esercizio del diritto all'opzione, allora non possono derivare danni dal secondo atto di recesso. Né appare applicabile alla fattispecie la giurisprudenza richiamata nel ricorso in cassazione ( cfr. cass. n. 6735/2010; contra cass. n. 3775/09) sul momento di estinzione dell'obbligo retributivo dei datore di lavoro (per la prevalente giurisprudenza di legittimità da identificarsi con il pagamento dell'indennità sostitutiva), stante la peculiarità del caso in esame, in cui il datore dì lavoro ha comunque riammesso il lavoratore in servizio senza esito ed il nuovo recesso, come detto, è stato accettato nei fatti dal (...) Tale giurisprudenza appare, infatti, riferirsi al più ordinario caso di un recesso impugnato dal lavoratore, con il diritto alla reintegrazione che viene sostituito con l'indennità dì cui all'art. 18 L. 300/70 per esercizio del diritto all'opzione (con un rapporto quindi che prosegue sino ai momento in cui- con il pagamento dell'indennità- deve ritenersi estinto) e non appare sovrapponibile alfa più complessa situazione di cui si è sin qui parlato in cui gli atti di recesso sono stati due, il secondo dei quali in sostanza non contestato in sé e per sé.
domenica 17 giugno 2012
ANNULLAMENTO DELLE DIMISSIONI RASSEGNATE SOTTO MINACCIA DI LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
(Cassazione Sezione Lavoro n. 8298 del 25 maggio 2012, Pres. Miani Canevari, Rel. Bandini). |
Le dimissioni del lavoratore, rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa, sono suscettibili di essere annullate per violenza morale solo qualora venga accertata - e il relativo onere probatorio è carico del lavoratore che deduca l'invalidità dell'atto di dimissioni - l'inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento per insussistenza dell'inadempimento addebitato al dipendente. Deve ritenersi che, in detta ipotesi, il datore di lavoro, con la minaccia del licenziamento, persegua un risultato non raggiungibile con il legittimo esercizio del proprio diritto di recesso; al contempo l'apprezzamento del giudice di merito circa l'esistenza e l'idoneità della minaccia a coartare la volontà di una persona si traduce in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato.
sabato 16 giugno 2012
FALLIMENTO DEL DATORE DI LAVORO – CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ – SOSPENSIONE DEL RAPPORTO LAVORATIVO – CONSEGUENZE
In caso di fallimento del datore di lavoro, ove vi sia cessazione dell'attività aziendale, il rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione, in quanto il diritto alla retribuzione – salvo il caso di licenziamento dichiarato illegittimo – non sorge in ragione dell'esistenza e del protrarsi del rapporto, ma presuppone, per la natura sinallagmatica del contratto, la corrispettività delle prestazioni. Ne consegue che, per effetto della dichiarazione di fallimento e fino alla data della dichiarazione del curatore ex art. 77, comma secondo, l. fall., non essendovi un obbligo retributivo per l'assenza di prestazione lavorativa, non è configurabile un credito contributivo previdenziale.Cassazione civile - Sezione lavoro - Sentenza n. 7473 del 14 maggio 2012 |
CONTRIBUTO UNIFICATO ED A.T.P. IN MATERIA PREVIDENZIALE
Riporto di seguito un articolo apparso su Diritto e Giustizia relativo all'oggetto.
Anche per tali procedure si pone il problema della quantificazione del contributo unificato e se sia dovuto o meno l’importo per le anticipazioni forfetarie dai privati all’erario nel processo civile[1], il pagamento dei diritti di copia e l’imposta di registro.
La normativa[2], che anche in materia previdenziale ed assistenziale ha introdotto l’obbligo, con riferimento al reddito della parte, del pagamento del contributo unificato non ha inciso sulla normativa generale[3] che vede l’esenzione di tali procedura da ogni altro tipo di spese.
Continuerà quindi a non essere dovuto l’importo forfettario (8 euro) di cui al richiamato art. 30 testo unico spese di giustizia[4], l’esenzione dai diritti di copia[5] e il provvedimento conclusivo della procedura non sarà soggetto ad imposta di registro.
Relativamente al pagamento del contributo unificato in materia previdenziale ed assistenziale va evidenziato come lo stesso sia dovuto solo se si supera il reddito per come disposto dall’art. 37, d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, che nell’aggiungere all’art. 9, testo unico spese di giustizia, il comma 1-bis quantifica il reddito stesso nella somma non superiore a tre volte l’importo previsto dall’art. 76 testo unico spese di giustizia.[6]
Un recente, e contestabile, indirizzo ministeriale[7] ha stabilito che «il richiamo all’articolo 76 del testo unico spese di giustizia deve intendersi nella sua interezza» disponendosi che ai fini del reddito personale di cui all’art. 9, comma 1-bis, testo unico spese di giustizia si deve tenere conto dei redditi «conseguiti da ogni componente della famiglia».
Venendo alla quantificazione dell’importo dovuto per l’accertamento tecnico preventivo in materia lo stesso è dovuto nella misura ridotta della metà ai sensi dell’ art. 13, punto 3, d.p.r. n. 115/02.
Ma misura ridotta in riferimento a cosa? Ricordiamo che l’art. 13 per i processi in materia assistenziale e previdenziale non modula il contributo unificato in base al valore della domanda ma individua un contributo fisso di € 37.
Quindi il dubbio è relativo a se il contributo ridotto alla metà vada calcolato con riferimento all’importo fisso di euro 37 per come previsto in materia di previdenza ed assistenza ex art. 13, punto 1, lett. a), d.p.r. n. 115/2002 o in generale sul valore del giudizio per come dichiarato dalla parte che presenta il ricorso.
Nelle materie in cui si sconta il contributo unificato a misura fissa, vedi ad esempio esecuzione mobiliare o immobiliare, materia di lavoro, impiego pubblico e nello stesso procedimento, nel merito, assistenziale e previdenziale la quantificazione di quanto dovuto a seguito ad esempio di intervento in giudizio, chiamata di terzo, domanda riconvenzionale viene stabilito dall’applicazione testuale dell’art. 14 testo unico spese di giustizia ai sensi del quale «La parte di cui al comma 1, quando modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l'aumento del valore della causa, e' tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta».[8]
Ma l’ipotesi oggetto del presente lavoro non rientra tra le fattispecie sopra richiamate essendo una procedura speciale e per lo più obbligatoria e tendente a sgravare sensibilmente il ruolo previdenziale ed assistenziale che grava, e pesantemente, nelle cancellerie lavoro e previdenza dei tribunali italiani.
Infatti l’art. 445-bis c.p.c. ai sensi della legge introduttiva tende a «deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848».
La finalità di deflazionare i procedimenti e di contenerne la durata non può, a parere dello scrivente, salvo diversa ed espressa previsione della legge, gravare economicamente sulla parte specie in materie come quella assistenziale e previdenziale che hanno sempre avuto un trattamento tributario favorevole.
Inoltre appare contrario a logica e ragionevolezza imporre, nella stessa materia, al procedimento speciale, disposto obbligatoriamente dalla legge, una tassazione più elevata di quella prevista per il procedimento di ordinario nel merito.
In attesa di un auspicabile intervento ministeriale appare rispondere a criteri di logica stabilire che gli accertamenti tecnici preventivi in materia previdenziale e assistenziale scontano il contributo unificato ridotto alla metà rispetto all’importo di 37 € (37:2 = 18,50) se non esenti per limiti reddituali ex art. 9, c 1-bis, DPR n. 115/02.
di Gaetano Walter Caglioti - Dirigente del Tribunale di Vibo Valentia
Anche per tali procedure si pone il problema della quantificazione del contributo unificato e se sia dovuto o meno l’importo per le anticipazioni forfetarie dai privati all’erario nel processo civile[1], il pagamento dei diritti di copia e l’imposta di registro.
La normativa[2], che anche in materia previdenziale ed assistenziale ha introdotto l’obbligo, con riferimento al reddito della parte, del pagamento del contributo unificato non ha inciso sulla normativa generale[3] che vede l’esenzione di tali procedura da ogni altro tipo di spese.
Continuerà quindi a non essere dovuto l’importo forfettario (8 euro) di cui al richiamato art. 30 testo unico spese di giustizia[4], l’esenzione dai diritti di copia[5] e il provvedimento conclusivo della procedura non sarà soggetto ad imposta di registro.
Relativamente al pagamento del contributo unificato in materia previdenziale ed assistenziale va evidenziato come lo stesso sia dovuto solo se si supera il reddito per come disposto dall’art. 37, d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, che nell’aggiungere all’art. 9, testo unico spese di giustizia, il comma 1-bis quantifica il reddito stesso nella somma non superiore a tre volte l’importo previsto dall’art. 76 testo unico spese di giustizia.[6]
Un recente, e contestabile, indirizzo ministeriale[7] ha stabilito che «il richiamo all’articolo 76 del testo unico spese di giustizia deve intendersi nella sua interezza» disponendosi che ai fini del reddito personale di cui all’art. 9, comma 1-bis, testo unico spese di giustizia si deve tenere conto dei redditi «conseguiti da ogni componente della famiglia».
Venendo alla quantificazione dell’importo dovuto per l’accertamento tecnico preventivo in materia lo stesso è dovuto nella misura ridotta della metà ai sensi dell’ art. 13, punto 3, d.p.r. n. 115/02.
Ma misura ridotta in riferimento a cosa? Ricordiamo che l’art. 13 per i processi in materia assistenziale e previdenziale non modula il contributo unificato in base al valore della domanda ma individua un contributo fisso di € 37.
Quindi il dubbio è relativo a se il contributo ridotto alla metà vada calcolato con riferimento all’importo fisso di euro 37 per come previsto in materia di previdenza ed assistenza ex art. 13, punto 1, lett. a), d.p.r. n. 115/2002 o in generale sul valore del giudizio per come dichiarato dalla parte che presenta il ricorso.
Nelle materie in cui si sconta il contributo unificato a misura fissa, vedi ad esempio esecuzione mobiliare o immobiliare, materia di lavoro, impiego pubblico e nello stesso procedimento, nel merito, assistenziale e previdenziale la quantificazione di quanto dovuto a seguito ad esempio di intervento in giudizio, chiamata di terzo, domanda riconvenzionale viene stabilito dall’applicazione testuale dell’art. 14 testo unico spese di giustizia ai sensi del quale «La parte di cui al comma 1, quando modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l'aumento del valore della causa, e' tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta».[8]
Ma l’ipotesi oggetto del presente lavoro non rientra tra le fattispecie sopra richiamate essendo una procedura speciale e per lo più obbligatoria e tendente a sgravare sensibilmente il ruolo previdenziale ed assistenziale che grava, e pesantemente, nelle cancellerie lavoro e previdenza dei tribunali italiani.
Infatti l’art. 445-bis c.p.c. ai sensi della legge introduttiva tende a «deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848».
La finalità di deflazionare i procedimenti e di contenerne la durata non può, a parere dello scrivente, salvo diversa ed espressa previsione della legge, gravare economicamente sulla parte specie in materie come quella assistenziale e previdenziale che hanno sempre avuto un trattamento tributario favorevole.
Inoltre appare contrario a logica e ragionevolezza imporre, nella stessa materia, al procedimento speciale, disposto obbligatoriamente dalla legge, una tassazione più elevata di quella prevista per il procedimento di ordinario nel merito.
In attesa di un auspicabile intervento ministeriale appare rispondere a criteri di logica stabilire che gli accertamenti tecnici preventivi in materia previdenziale e assistenziale scontano il contributo unificato ridotto alla metà rispetto all’importo di 37 € (37:2 = 18,50) se non esenti per limiti reddituali ex art. 9, c 1-bis, DPR n. 115/02.
lunedì 11 giugno 2012
Riforma Fornero: schema del DDL approvato al Senato
Disegno di legge recante
Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
Ammortizzatori sociali
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Stanziamenti previsti pari a 1,8
miliardi di euro. La nuova ASPI (dal 2017) potrà essere anche incassata
in un'unica soluzione ai fini di avviare un'attività autonoma.
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Apprendistato
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Diventa la via ordinaria per
l'ingresso nel mondo del lavoro con una durata minima di 6 mesi. Limite del
50% per aziende con meno di 10 lavoratori.
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Articolo 18
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Maggior flessibilità in uscita; il
reintegro è stato reintrodotto (non automatico, deciderà il giudice, anche
nei casi di licenziamento economico). La procedura di conciliazione non
può essere bloccata in caso di malattia del lavoratore ma solo per gravidanza
o infortunio.
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Co.co.pro.
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Salario base calcolato sulla media
dei contratti collettivi.
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Conciliazione obbligatoria
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Il tentativo di conciliazione
dovrà concludersi entro 20 giorni dalla convocazione delle parti.
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Contratto a termine
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Primo rapporto di 12 mesi (al
massimo) con aliquota aggiuntiva pari all'1,4%.
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Dimissioni in bianco
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Il periodo entro il quale le
dimissioni devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero
passa da 1 a 3 anni di vita del bambino. Nuove norme per contrastare il
fenomeno.
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Indennizzo per licenziamento
disciplinare illegittimo
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Indennità risarcitoria
onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità
dell’ultima retribuzione (nel precedente testo la "finestra" era
15-27 mensilità).
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Partita IVA
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Considerate "vere" quelle che superano i
18mila euro l'anno. Presunzione del carattere coordinato continuativo nei
casi in cui si verifichino almeno 2 delle seguenti condizioni:
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Pubblico impiego
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Delega per sostituire l'attuale
art. 2 (Rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni)
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Processo del lavoro
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Rito sprint:
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Tempo determinato
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Durata massima di 36 mesi. In caso di riproposizione
al lavoratore devono passare almeno 90 giorni (prima erano 20) oppure 60 nel
caso di contratto inferiore o pari a 6 mesi.
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Ticket gratuito
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Ripristinato per disoccupati e familiari.
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FALLIMENTO ED OBBLIGO CONTRIBUTIVO
In caso di fallimento del datore di lavoro, ove vi sia cessazione dell'attività aziendale, il rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione, in quanto il diritto alla retribuzione – salvo il caso di licenziamento dichiarato illegittimo – non sorge in ragione dell'esistenza e del protrarsi del rapporto, ma presuppone, per la natura sinallagmatica del contratto, la corrispettività delle prestazioni. Ne consegue che, per effetto della dichiarazione di fallimento e fino alla data della dichiarazione del curatore ex art. 77, comma secondo, l. fall., non essendovi un obbligo retributivo per l'assenza di prestazione lavorativa, non è configurabile un credito contributivo previdenziale. Cassazione civile - Sezione lavoro - Sentenza n. 7473 del 14 maggio 2012 |
sabato 2 giugno 2012
RIFORMA FORNERO: IL TESTO APPROVATO AL SENATO
La riforma del mercato del lavoro, che sarà all’esame della Camera dalla settimana prossima, ha ottenuto l’ok del Senato.
novità nel ddl approvato dal Senato:
1) salario base per i co.co.pro.. Il salario di base per i contratti a progetto sarà calcolato sulla base della media delle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi. In più, si rafforza l'attuale una tantum per i parasubordinati come misura sperimentale per 3 anni. Ad esempio, chi ha lavorato 6 mesi potrà avere oltre 6mila euro.
2) Articolo 18. Non ci sarà più il reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici: in alcuni casi è prevista un'indennità risarcitoria. Inoltre, la procedura di conciliazione non potrà più essere bloccata dalla malattia del lavoratore. Uniche eccezioni saranno maternità o infortuni sul lavoro.
Il licenziamento discriminatorio intimato rimane sempre nullo, mentre nei casi dei licenziamenti disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) ci sarà minor discrezionalità del giudice nella scelta del reintegro, che sarà deciso solo sulla base dei casi previsti dai contratti collettivi e non più anche dalla legge.
3) Durata del contratto a termine. La durata del primo contratto a termine, che può essere stipulato senza che sia specificata la causale, passerà da 6 mesi ad 1 anno. Le pause obbligatorie fra uno e l'altro salgono dagli attuali 10 giorni per un contratto di meno di 6 mesi a 20 giorni e a 30 per uno di durata superiore.
4) Apprendistato. Per quanto riguarda gli apprendisti, sarà sempre possibile assumerne uno nuovo, ma i contratti in media dovranno durare almeno 6 mesi e cambia il rapporto con le maestranze qualificate.
5) Partite Iva. Saranno considerate "valide" le partite Iva che hanno un reddito annuo lordo di almeno 18mila euro. La durata di collaborazione deve essere di massimo 8 mesi e il corrispettivo pagato non deve superare l'80% di quello di dipendenti e co.co.co (75% nel ddl). Inoltre il lavoratore non deve avere una postazione fissa in azienda: insomma, niente scrivania, ma il telefono sì.
6) Lavoro a chiamata, con un sms. Per il cd. job on call basta un sms alla Direzione provinciale del lavoro. In caso di mancato avviso l'azienda rischia da 400 a 2400 euro di multa. Il job on call sarà libero per under 25 e over 55.
7) ASPI, la nuova assicurazione sociale per l'impiego. Partirà nel 2013 e sostituirà, nel 2017, l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Ne potranno usufruire oltre i lavoratori dipendenti anche gli apprendisti e gli artisti. Sarà possibile riscuotere l'indennità Aspi in un’unica soluzione per poter avere un capitale e avviare un'attività di lavoro autonomo.
8) Confermato il congedo per papà. Ai papà spetta un giorno di congedo obbligatorio di paternità e due facoltativi. Che, però, si sottraggono ai 20 mesi di congedo della mamma, ovviamente se lei è d'accordo. Previsto anche il buono baby-sitter per agevolare le lavoratrici nei primi mesi di nascita del figlio; potrà essere utilizzato anche per pagare asili-nido pubblici o privati.
2) Articolo 18. Non ci sarà più il reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici: in alcuni casi è prevista un'indennità risarcitoria. Inoltre, la procedura di conciliazione non potrà più essere bloccata dalla malattia del lavoratore. Uniche eccezioni saranno maternità o infortuni sul lavoro.
Il licenziamento discriminatorio intimato rimane sempre nullo, mentre nei casi dei licenziamenti disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) ci sarà minor discrezionalità del giudice nella scelta del reintegro, che sarà deciso solo sulla base dei casi previsti dai contratti collettivi e non più anche dalla legge.
3) Durata del contratto a termine. La durata del primo contratto a termine, che può essere stipulato senza che sia specificata la causale, passerà da 6 mesi ad 1 anno. Le pause obbligatorie fra uno e l'altro salgono dagli attuali 10 giorni per un contratto di meno di 6 mesi a 20 giorni e a 30 per uno di durata superiore.
4) Apprendistato. Per quanto riguarda gli apprendisti, sarà sempre possibile assumerne uno nuovo, ma i contratti in media dovranno durare almeno 6 mesi e cambia il rapporto con le maestranze qualificate.
5) Partite Iva. Saranno considerate "valide" le partite Iva che hanno un reddito annuo lordo di almeno 18mila euro. La durata di collaborazione deve essere di massimo 8 mesi e il corrispettivo pagato non deve superare l'80% di quello di dipendenti e co.co.co (75% nel ddl). Inoltre il lavoratore non deve avere una postazione fissa in azienda: insomma, niente scrivania, ma il telefono sì.
6) Lavoro a chiamata, con un sms. Per il cd. job on call basta un sms alla Direzione provinciale del lavoro. In caso di mancato avviso l'azienda rischia da 400 a 2400 euro di multa. Il job on call sarà libero per under 25 e over 55.
7) ASPI, la nuova assicurazione sociale per l'impiego. Partirà nel 2013 e sostituirà, nel 2017, l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Ne potranno usufruire oltre i lavoratori dipendenti anche gli apprendisti e gli artisti. Sarà possibile riscuotere l'indennità Aspi in un’unica soluzione per poter avere un capitale e avviare un'attività di lavoro autonomo.
8) Confermato il congedo per papà. Ai papà spetta un giorno di congedo obbligatorio di paternità e due facoltativi. Che, però, si sottraggono ai 20 mesi di congedo della mamma, ovviamente se lei è d'accordo. Previsto anche il buono baby-sitter per agevolare le lavoratrici nei primi mesi di nascita del figlio; potrà essere utilizzato anche per pagare asili-nido pubblici o privati.
venerdì 1 giugno 2012
Contratto a termine e mancata valutazione dei rischi
Con sentenza n. 5241 del 2 aprile 2012, la Cassazione
ha ribadito che l’art. 3 del D.L.vo n. 368/2001 ha introdotto una quadruplice
serie di divieti all’apposizione del termine ai contratti di lavoro
subordinato, così rafforzando il peculiare disvalore che connota le assunzioni
a termine effettuate in violazione degli specifici divieti stabiliti a
protezione degli interessi intensamente qualificati sul piano costituzionale, e
limitando l’autonomia delle parti nella stipulazione del contratto a termine.
Il disvalore legislativo, sancito con il divieto a contrarre, viene, nella
specie in considerazione con riferimento al divieto all’apposizione del termine
“da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai
sensi dell’art. 4 del D.L.vo n. 626/1994, e successive modificazioni (art. 3,
lettera d, D.L.vo n. 368/2001). La specificità del precetto, alla stregua del
quale la valutazione dei rischi assurge a presupposto di legittimità del
contratto, trova la “ratio legis” nella
più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l’utilizzo di
contratti atipici, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità
del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro, sia con gli
strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione,
unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione, come con
dovizia emerge dal rapporto OIL del 28 aprile 2010, “Rischi emergenti e nuove
forme di prevenzione in un mondo del lavoro che cambia”.
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