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venerdì 22 giugno 2012

Recesso ante tempus in un contratto a termine - disciplina applicabile - Cass. n. 4688 del 31 maggio 2012


Riporto di seguito una sentenza recente della S.C. riguardante un'ipotesi molto diffusa: il recesso ante tempus in un contratto a termine.
La Suprema Corte, come noto, ha ripetutamente affermato, in caso di recesso ante tempus il seguente principio:

Nel contratto a termine il recesso ante tempus , in mancanza di una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c., è illegittimo per violazione del termine contrattuale e obbliga il recedente al risarcimento integrale del danno, da liquidarsi secondo le regole comuni di cui all'art. 1223 c.c., sicché il lavoratore ha diritto alla retribuzione fino alla scadenza del termine, con detrazione - ove il datore di lavoro ne fornisca la prova, ciò che non è avvenuto nella fattispecie - di quei guadagni che il lavoratore abbia eventualmente conseguito da un'occupazione successiva al licenziamento o avrebbe potuto conseguire se non fosse stato negligente nel reperire altra occupazione (Cass. n. 16849/03; Cass. n. 14637/99; Cass. n. 2822/97).

Ovviamente tale disciplina opera in caso di contratto a termine valido. Quando invece il contratto a termine è parzialmente nullo per illegittima apposizione del termine, si pone il problema di quale disciplina applicare nel caso di immotivato recesso prima della scadenza.

La Suprema Corte con la sentenza che riporto in stralcio, ritiene, diversamente dai giudici di merito, che non si applichi la disciplina prevista per i contratti a termine parzialmente nulli, bensì quella ordinaria prevista per i rapporti a tempo indeterminato, trattandosi di una risoluzione non motivata dalla scadenza del termine nullo.
Nel caso di specie, poi, il lavoratore, difronte all'invito del datore di riprendere l'attività, aveva anche esercitato l'opzione per le 15 mensilità.
La Corte ritiene che in questo caso non vada applicata l'ordinaria regola secondo la quale le 15 mensilità vanno cumulate con la retribuzione/risarcimento spettante ex art. 18 fino al pagamento concreto dell'indennità, in quanto l'opzione era stata esercitata a seguito di invito alla ripresa dell'attività lavorativa alla quale, stante il rifiuto, aveva fatto seguito licenziamento supportato da giusta causa.
Ciò che colpisce, anche se non è ben chiarito dalla parte motivazionale, è che sembrerebbe applicabile l'art. 18 e non le ordinarie regole derivanti dal recesso ante tempus (di cui sopra) a prescindere dalla nullità parziale del contratto a termine.
Cioè sembrerebbe che in ogni ipotesi di recesso ante tempus vada applicata la tutela prevista per i contratti a tempo indeterminato.
Di seguito uno stralcio della sentenza.

Cassazione Sezione Lavoro n. 8688 del 31 maggio 2012, Pres. Miani Canevari, Rel. Bronzini)
Svolgimento del processo

Così il Giudice di appello ha ricostruito i fatti, definendoli incontestati: il (...) è stato assunto dalla (...) con un contratto a termine dal 16.5.2005 al 31.12.2005 senza alcuna indicazione delle ragioni legittimanti in termine; la (...) con comunicazione del 28.11.2005 anticipava la conclusione del rapporto; il lavoratore con lettera del 16.12.2005 allegava la nullità del contratto, la sua trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato ed offriva la prestazione. Il 10.2.2006 la (...) invitava il (...) a riprendere il lavoro, ricevendo da controparte come risposta la manifestazione di opzione per le 15 mensilità ex. Art. 18 L. 300/70. Veniva quindi intimato licenziamento per giusta causa, essendosi il (...) assentato dal lavoro senza un giustificato motivo. Il primo giudice riteneva che, stante la conversione del rapporto in un rapporto a tempo indeterminato, il primo recesso fosse privo di giusta causa e comportasse - stante la sua pronta revoca - un risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità globali di fatto. Sull’appello delle parti la Corte di appello di Brescia con sentenza del 18-6-2009, in accoglimento dell’appello incidentale della (...) veniva condannata la detta società al solo risarcimento delle retribuzioni maturate dall’atto di offerta delle prestazioni (18.1.2006) al 14.2.2006, data in cui la prestazione era stata accettata con l’invito a riprendere servizio.

La Corte territoriale osservava che non era applicabile l’art. 18 L. 300/70 in quanto era operante il regime proprio della conversione di contratti con illegittimità apposizione del termine in rapporti a tempo indeterminato. Le retribuzioni relative al rapporto a termine erano state percepite e quindi l’unico risarcimento dovuto era quello pari alle retribuzioni dal momento di messa in mora sino all’invito a riprendere il lavoro, mentre appariva legittimo il secondo recesso, giustificato dal rifiuto del lavoratore di riattivare il rapporto non in buona fede, in quanto tale rifiuto era in contrasto con la stessa offerta del lavoratore. Il danno ulteriore, rispetto alla retribuzioni come sopra riconosciute, poteva essere evitato con l’ordinaria diligenza da parte dello stesso lavoratore.

L’inquadramento giuridico della vicenda operato dai Giudici di appello non appare corretto; risulta dall’esposizione della sentenza impugnata che il recesso (il primo) è stato comunicato il 28.11.2005, e quindi prima della scadenza del termine che era il 31.12.2005. Conseguentemente si tratta di un licenziamento privo di giustificazione (che non risulta mai allegata) in un rapporto a termine cui è applicabile pacificamente (trattandosi di recesso ante tempus) la disciplina ordinaria prevista dall’art. 18 L.300/70 (non essendo in discussione il requisito dimensionale). Pertanto il riferimento operato nella sentenza impugnata alla giurisprudenza concernente le conseguenze della trasformazione di un contratto a termine illegittimo in un contratto a tempo indeterminato è inconferente perché siamo di fronte ad una risoluzione del rapporto non alla scadenza del contratto stipulato a tempo, ma prima della scadenza convenuta e senza la sussistenza di alcuna giustificazione. Pertanto essendo il primo recesso stato regolarmente impugnato ed avendo il lavoratore esercitato l’opzione - in luogo del diritto alla reintegrazione - in favore dell’indennità prevista allo stesso art. 18 L. 300/70 spetta il diritto del ricorrente alla detta indennità pari al 15 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, con gli accessori di legge, nonché alle retribuzioni non corrisposte (emerge dalla motivazione della sentenza che le altre retribuzioni, anche per il periodo in cui il rapporto non ha avuto esecuzione, sono state corrisposte) dal momento della messa in mora del 18.1.2006 sino al momento in cui il rapporto, come si dirà più in avanti si è sciolto per non aver accettato il lavoratore la riammissione in servizio (quindi le retribuzioni dal 18.1.2006 all’8.3.2006), comportamento peraltro conseguente all’esercitato diritto di opzione ex art. 18 L. n. 300/70. Ulteriori danni, trattandosi - come detto di un recesso da un contratto a termine, non risultano provati; né può limitarsi il risarcimento al momento in cui il (...) è stato inviato a riprendere il rapporto in quanto legittimamente, come detto, lo stesso ha esercitato il diritto ad ottenere l’indennità di 15 mensilità. Solo con il secondo recesso il rapporto si è sciolto in sostanza per volontà di entrambe le parti e sino a tale momento, non essendo stata corrisposta la chiesta indennità ex art. 18 L. 300/70, è proseguito l’obbligo contributivo per il datore di lavoro.

....

Con il sesto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, quarto e quinto comma L. 300/70: era illegittimo anche secondo il licenziamento e spettavano le retribuzioni sino al momento del pagamento dell’indennità conseguente all’esercizio del diritto di opzione.

Il motivo è infondato. Infatti, dopo l’impugnazione del primo recesso, il datore di lavoro ha disposto la riammissione in servizio del lavoratore; quest’ultimo ha esercitato il diritto di opzione come già ricordato e non essendosi il (...) presentato in azienda è stato intimato un secondo recesso. Tuttavia lo scioglimento del rapporto è stato in sostanza accettato dal lavoratore che ha richiesto il diritto all’indennità ex art. 18 L. 300/70 conseguente al primo recesso, richiesta incompatibile con la volontà di prosecuzione del rapporto e, quindi, indipendentemente dalla legittimità o meno del secondo atto di recesso, il rapporto si è sciolto per una convergente volontà delle partì, ivi compresa quella del (...) che non può logicamente pretendere di cumulare il risarcimento derivante da un primo recesso ritenuto illegittimo con quello di un secondo licenziamento di cui assume ai tempo stesso l'Illegittimità per avere egli stesso ritualmente esercitato la facoltà riconosciuta dall'ordinamento dì sostituire il diritto alla reintegrazione con l'indennità prevista. Se, seguendo il ragionamento del lavoratore, il rapporto era stato da lui stesso concluso per esercizio del diritto all'opzione, allora non possono derivare danni dal secondo atto di recesso. Né appare applicabile alla fattispecie la giurisprudenza richiamata nel ricorso in cassazione ( cfr. cass. n. 6735/2010; contra cass. n. 3775/09) sul momento di estinzione dell'obbligo retributivo dei datore di lavoro (per la prevalente giurisprudenza di legittimità da identificarsi con il pagamento dell'indennità sostitutiva), stante la peculiarità del caso in esame, in cui il datore dì lavoro ha comunque riammesso il lavoratore in servizio senza esito ed il nuovo recesso, come detto, è stato accettato nei fatti dal (...) Tale giurisprudenza appare, infatti, riferirsi al più ordinario caso di un recesso impugnato dal lavoratore, con il diritto alla reintegrazione che viene sostituito con l'indennità dì cui all'art. 18 L. 300/70 per esercizio del diritto all'opzione (con un rapporto quindi che prosegue sino ai momento in cui- con il pagamento dell'indennità- deve ritenersi estinto) e non appare sovrapponibile alfa più complessa situazione di cui si è sin qui parlato in cui gli atti di recesso sono stati due, il secondo dei quali in sostanza non contestato in sé e per sé.

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