Riporto stralcio della sentenza CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 settembre 2013, n.
20827
Ai
sensi dell'art. 2116, primo comma, cod. civ. le prestazioni previdenziali sono
dovute al prestatore di lavoro anche quando l'imprenditore non ha versato i
contributi. Il secondo comma aggiunge che, qualora le istituzioni di
previdenza, per mancata o irregolare contribuzione, non siano tenute a
corrispondere in tutto o in parte le prestazioni, l'imprenditore è responsabile
del danno che ne deriva al prestatore. Questa seconda disposizione deve essere
intesa nel senso che, qualora le dette istituzioni non possano ricevere i
contributi per essere il relativo credito estinto per prescrizione, non può
trovare applicazione la disposizione del primo comma, e da ciò il danno a
carico del lavoratore, che il datore di lavoro è tenuto a risarcire. E' da
ricordare che, maturato il termine di prescrizione, come avvenuto nel caso di
specie, il credito contributivo si estingue di diritto, ossia senza necessità
dell'eccezione del debitore richiesta in via di regola dall'art. 2938 cod. civ.
(vedi art. 3, comma 9, legge 8 agosto 1995, n. 335). Suole dirsi che in questo
caso la prescrizione ha efficacia realmente estintiva del diritto soggettivo, e
non soltanto preclusiva di ogni controversia su di esso. Affermato il diritto
del lavoratore al risarcimento del danno da omessa contribuzione, si pone il
problema del momento di decorrenza della sua prescrizione. Su tale questione la
giurisprudenza di questa Corte non ha dato risposte sempre uniformi. Le
oscillazioni derivano dalla difficoltà di bilanciare due contrapposti
interessi: quello del lavoratore, protetto dall'art. 38 cpv. Cost.,
all'effettivo conseguimento del beneficio previdenziale o al ristoro del danno
derivante dalla sua perdita, e quello del datoore di lavoro, protetto dall'art.
24 Cost, a resistere efficacemente in giudizio contro la pretesa risarcitoria
del dipendente; diritto che può essere sacrificato, specie quanto alla raccolta
e conservazione delle prove, dal troppo lungo indugio nell'esercizio di detta
pretesa della controparte, che si avvantaggi di un protratto exordium
praescriptionis. In un primo tempo questa Corte ritenne che la prescrizione
iniziasse a decorrere dal giorno in cui, estinto il diritto dell'istituto
assicuratore al versamento dei contributi, può considerarsi già avverato il
danno per il lavoratore: in questo giorno inizierebbe perciò a decorrere il
termine di prescrizione del diritto al risarcimento (Cass. Sez. Un. 6 maggio
1975 n. 1744). A questa statuizione si è obiettato che, quando il danno da
omessa contribuzione consista, come avviene quasi sempre e come è avvenuto nel
caso di specie, nella perdita della pensione, esso non può considerarsi realizzato,
e non è pertanto risarcibile, prima che il lavoratore abbia raggiunto nell'età
pensionabile; da questo momento, e non prima, può pertanto decorrere la
prescrizione, in aderenza alla lettera dell'art. 2935 cod. civ. (Cass. Sez. Un.
18 dicembre 1979 n. 6568). Questo orientamento ha prevalso ed è stato
confermato successivamente (ex multis Cass. 15 aprile 1999 n. 3778, Cass. 25
febbraio 2004 n. 2774) per cui sono rimaste anche superate le pronunce che
collocano l'esordio della prescrizione nel giorno in cui l'istituto
assicuratore comunica il provvedimento negativo del beneficio (Cass. 4 giugno
1988 n. 3790) Tutto ciò dimostra l'infondatezza della prima censura: raggiunta
dal lavoratore l'età pensionabile nel 1994 e trattandosi di risarcimento del
danno contrattuale ossia di prescrizione ordinaria decennale, l'azione fu
tempestivamente esercitata nel 2002.
La
posticipazione della decorrenza della prescrizione nuoce, certamente e come si
è detto, alle possibilità difensive del datore di lavoro il quale si trova
esposto a pretese risarcitone anche a distanza di decenni dall'ultima omissione
contributiva, dedotta da chi affermi di avere prestato lavoro.
La
lunghezza del termine o la protrazione della sua decorrenza possono favorire
una sorta di "abuso della prescrizione" da parte del titolare, che si
avvantaggia nell'astenersi dall'esercizio del diritto ossia dalla cura dei suoi
interessi, evitando, ad esempio, di chiedere il risarcimento del danno che
aumenta con il trascorrere del tempo. L'ordinamento offre allora al soggetto
passivo del diritto la possibilità di reagire attraverso l'invocazione
dell'art. 1227 citato, che permette la diminuzione del risarcimento per
concorso colposo nella produzione del danno.
Talvolta
provvede la legislazione speciale, ad esempio nel diritto del lavoro attraverso
una specifica disposizione contro il ritardo del lavoratore nell'esercizio di
impugnazione giudiziale del licenziamento, sostituendo un breve termine di
decadenza a quello di prescrizione (art. 32, comma 1 della legge 4 novembre
2010 n. 183, modificato dall'art. 1, comma 38 della legge 28 giugno 2012, n.
92).
Una
volta maturata la prescrizione del credito contributivo spettante all'ente
previdenziale, il prestatore di lavoro, che perderà in tutto o in parte il
diritto alla prestazione pensionistica, dispone di un rimedio immediato,
apprestato dall'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338.
Tale
norma, al primo comma, attribuisce al datore di lavoro che abbia omesso di
versare i contributi e non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione, il
diritto di chiedere all'Istituto previdenziale di costituire una rendita
vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata
dell'assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in
relazione ai contributi omessi. A norma del quinto comma il lavoratore, quando
non possa ottenere dal datore la costituzione di detta rendita, può sostituirsi
al datore salvo il diritto al risarcimento del danno.
Pertanto,
maturata la prescrizione del credito contributivo, il lavoratore è titolare
delle seguenti posizioni soggettive: a) nei confronti dell'Istituto, del
diritto alla costituzione della rendita vitalizia; b) nei confronti del datore
di lavoro, del diritto a che questi versi all'Istituto la riserva matematica
per la costituzione della rendita; e) in caso di inadempimento del datore, del
diritto alla restituzione di quanto versato all'Istituto in esecuzione del
quinto comma ora citato (Cass. 29 dicembre 1999 n. 14680). L'ingiustificata
mancanza si esercizio di una di queste situazioni soggettive costituisce fatto
colposo del lavoratore, che concorre ad aggravare il danno da omessa
contribuzione, oppure difetto dell'ordinaria diligenza idonea ad elidere il
danno stesso. Questi fatti possono diminuire il risarcimento oppure escluderlo,
secondo una gravità della colpa ed un'entità delle conseguenze la cui
valutazione è riservata al giudice di merito (cfr. art. 1227 citato, primo e
secondo comma).
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