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lunedì 5 agosto 2013

Contratti a termine e mutuo consenso risolutivo

La Suprema Corte torna ad occuparsi del caso, peraltro molto frequente nella casistica giurisprudenziale (pensiamo solo ai contenziosi "Poste Italiane" ed "Autostrade") dell'azione di nullità parziale di contratti a termine instaurata molto tempo dopo l'effettiva cessazione del rapporto e, ovviamente, in assenza delle ben note ipotesi decadenziali.
La difesa delle aziende è in tali casi incentrata sulla presupposta risoluzione del rapporto per mutuo consenso: il lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l'iniziativa giudiziale, a prescindere dai profili decadenziali, sarebbe indice della comune volontà risolutiva.
La Suprema Corte ribadisce che non è così, almeno non è possibile applicare la presunzione invocata:
Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell'illegittima apposizione del termine ad una serie di contratti intervallati da periodi di inattività, é necessario, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che sia accertata una chiara e comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo.
Ciò significa escludere il ricorso a presunzioni e fondare la decisione solo su atti inequivocabili.

Sarà inoltre il datore di lavoro, che eccepisca in giudizio la risoluzione consensuale del rapporto, a dover fornire la prova certa e rigorosa di tale comune volontà, dimostrando le circostanze idonee a far ricavare la volontà chiara e certa delle parti di porre termine ad ogni rapporto.

Privo di pregio dunque il motivo di censura proposto dall’Ente ricorrente. Secondo la Corte di legittimità, la decisione impugnata si pone in assoluta conformità ai principi più volte affermati sul punto dalla Corte di Cassazione.

A questo link la sentenza integrale.

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