Tratto da:
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL NUOVO RITO PER L’IMPUGNAZIONE
DEI LICENZIAMENTI E DISCIPLINA DELLA FASE DI TUTELA URGENTE
dott. Paolo Sordi (Presidente I sezione Lavoro del Tribunale di Roma).
L’altra evidente caratteristica
dell’intervento del legislatore è la scelta di non ricorrere a qualcuno dei
modelli processuali già rinvenibili nell’ordinamento, ma di crearne uno nuovo,
in chiara (ed immediata) smentita del lodevole proposito di semplificazione dei
riti che aveva condotto, meno di anno prima, all’emanazione del decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Si aggiunga che quello creato dal
legislatore del 2012 è un rito difficilmente assimilabile ad uno di quelli già
presenti nell’ordinamento. Invero, come pure è stato notato3, esso presenta
alcune caratteristiche proprie del procedimento di repressione della condotta
antisindacale di cui all’art. 28 della legge n. 300 del 1970, altre tipiche del
procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli artt. 702-bis ss.
c.p.c. ed altre ancora comuni alla disciplina del procedimento cautelare
uniforme (artt. 669-bis ss. c.p.c.). È pertanto impossibile qualificare
il nuovo modello processuale come una species di qualcuno di quei genera
e occorre invece riconoscere che si tratta di un rito con proprie
caratteristiche che si affianca a quelli già noti.
Una simile conclusione non è
priva di conseguenze: una volta ammessa la piena specificità del procedimento
di cui all’art. 1 della legge n. 92 del 2012, al fine di risolvere questioni di
natura interpretativa poste dalla sua disciplina, non è possibile ricorrere
sempre e comunque a soluzioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza
in riferimento ad uno dei tre modelli processuali prima ricordati; quelle
elaborazioni vanno sicuramente tenute presenti, ma limitatamente ai singoli
tratti di disciplina che siano sovrapponibili con quelli del nuovo rito; e
comunque sempre previa verifica della compatibilità della soluzione con le
specifiche caratteristiche e la ratio del procedimento introdotto dal
legislatore del 2012.
Invece, al fine di colmare le
lacune della disciplina della legge n. 92 del 2012 (nella quale manca la
regolazione di numerosi aspetti del procedimento, anche di indubbia rilevanza,
come, ad esempio, la competenza per territorio), occorre, in generale, far
riferimento alle disposizioni codicistiche in materia di controversie di lavoro4.
Vale a dire che la disciplina dettata dagli artt. 409ss. c.p.c. si applica alle
controversie in questione per tutto quanto non previsto dall’art. 1, commi da
48 a 65 (ovviamente a condizione che sussista la compatibilità di cui si è
detto in precedenza). Seppure nella legge n. 92 del 2012 manchi un’espressa
disposizione in tal senso, tale conclusione può essere agevolmente argomentata
sulla base dell’espressione utilizzata dal legislatore, il quale non ha
qualificato la disciplina da esso dettata come esaustiva; esso invece si è
limitato a prevedere che quella disciplina «si applica» alle controversie
aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti, presupponendo, quindi, che
si tratti di una disciplina “aggiuntiva”, per così dire, a quella che ordinariamente
regola quella categoria di controversie. E tale è, appunto, quella del Capo I
del titolo IV del libro secondo del codice di rito che, a norma dell’art. 409,
n. 1, c.p.c. si applica a tutte le controversie relative a rapporti di lavoro
subordinato privato.
A conforto di tale conclusione si
aggiungano, da un lato, la già segnalata irriducibilità del nuovo rito ad uno
degli altri procedimenti “speciali” (con conseguente impossibilità di ricorrere
alla disciplina di questi ultimi per colmare le lacune di quella della legge n.
92 del 2012) e, dall’altro, che, considerato l’oggetto delle controversie di
cui qui si tratta, è sicuramente maggiormente coerente con il generale
ordinamento giuridico processualcivilistico ricondurre tali cause al rito codici
stico del lavoro, piuttosto che al rito ordinario.
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