(Cassazione civ., sez. lavoro, Sentenza 25.9.2013 n. 21910)
La L. 20 maggio 1970 n. 300 devolveva i diritti sindacali
posti nel titolo 3^ della stessa legge alle rappresentanze sindacali aziendali
costituite nell'ambito delle confederazioni maggiormente rappresentative sul
piano nazionale (art. 19 lett. a), nonchè alle associazioni sindacali non
affiliate alle suddette confederazioni ma risultanti firmatarie di contratti
collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati
nell'unità produttiva.
La norma risultava fondata su un criterio selettivo
della rappresentanza sindacale perchè era volta a riconoscere ampi poteri alle
organizzazioni dei lavoratori storicamente collaudate, quali quelle espresse
dal sindacalismo confederale, e ad estendere detti poteri anche a quelle
associazioni, per le quali la stipula di contratti "nazionali o
provinciali" dimostrava nei fatti una non marginale capacità di consenso in
non ristretti ambiti territoriali.
Come è noto, su tale normativa, cui era
stato riconosciuto un indubbio carattere definitorio atto ad individuare i
soggetti titolari dei singoli diritti sindacali disciplinati dall'art. 20 e
segg. stat. lav., si è innestata la disciplina sulle "rappresentanze
sindacali unitarie" (r.s.u.), previste dal Protocollo di Intesa
trilaterale (Governo - Confindustria - Sindacato) del 23 luglio 1993, e
regolate dall'accordo (delle tre Confederazioni con la Confindustria e con l'Intersind)
del 20 dicembre 1993. Come risulta dagli atti difensivi delle parti in causa,
detto accordo, da un lato, dispone che le organizzazione firmatarie o quelle
che ad esso aderiscono successivamente acquistino il diritto di promuovere la
formazione delle r.s.u. e di partecipare alle relative elezioni, rinunziando
così alla costituzione di proprie r.s.a., e, dall'altro, contempla che le
r.s.u. subentrino alle r.s.a. "nella titolarità dei diritti, dei permessi
e libertà sindacali" del titolo 3^ dello statuto (art. 4, parte 1^) nonchè
nella "titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni attribuite
dalla legge" (art. 5, parte 1^).
Da ultimo a rendere la materia in oggetto
fonte di complesse problematiche - come attesta del resto la presente controversia
- ha contribuito l'esito del referendum, svoltosi l'11 luglio 1995, di
approvazione del secondo quesito diretto ad investire la lett. a) e le parole
"nazionali o provinciali" della lettera b) dell'art. 19 stat. lav.,
con il risultato che oggi le rappresentanze sindacali aziendali possono essere
costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva solo
nell'ambito delle associazioni "che siano firmatarie di contratti
collettivi di lavoro applicati
nell'unità produttiva".
E' stato osservato in dottrina che l'abrogazione referendaria della qualificazione, come nazionale o provinciale, dei contratti collettivi la cui stipulazione da titolo alla costituzione delle r.s.a. ha portato ad un allargamento delle maglie selettive attraverso le quali misurare la legittimazione delle organizzazioni ad esercitare le loro prerogative nelle diverse unità produttive.
E' stato osservato in dottrina che l'abrogazione referendaria della qualificazione, come nazionale o provinciale, dei contratti collettivi la cui stipulazione da titolo alla costituzione delle r.s.a. ha portato ad un allargamento delle maglie selettive attraverso le quali misurare la legittimazione delle organizzazioni ad esercitare le loro prerogative nelle diverse unità produttive.
La validità di un tale assunto appare incontestabile
se si osserva come attraverso
l'abrogazione della lettera a) dell'art. 19 stat. lav. possa in astratto
diminuirsi l'operatività a livello di singole unità produttive anche di
organizzazioni sindacali che, pur maggiormente rappresentative sul piano
nazionale, non risultino però firmatarie di contratti collettivi applicabili
all'unità produttiva, e come di contro possano notevolmente ampliarsi
nei luoghi di lavoro i
poteri di organismi non collaudati sul piano storico e con seguito unicamente
in un ristretto ambito territoriale. La rappresentatività utile per l'acquisto
dei diritti sindacali nell'azienda viene così ad essere condizionata unicamente
da un dato empirico di effettività dell'azione sindacale concretizzantesi nella
stipula di qualsiasi contratto collettivo (nazionale, provinciale o aziendale)
applicato nell'unità produttiva. Criterio questo che - come è doveroso
ricordare in una ricostruzione storica delle diverse forme di
"rappresentatività sindacale" - ha superato lo scrutinio di
legittimità costituzionale (con riferimento agli artt. 3 e 39 Cost.) sul
rilievo che "l'esigenza di oggettività del criterio legale di selezione
comporta una interpretazione rigorosa della fattispecie dell'art. 19 tale da
far coincidere il criterio con la capacità del sindacato di imporsi al datore
di lavoro direttamente
o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale", sicchè non è "sufficiente la mera
adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una
partecipazione attiva al processo di formazione del contratto" e "nemmeno
è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di
un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro,
almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in
via integrativa, livello aziendale, di un contratto nazionale provinciale già
applicato nella stessa unità produttiva" (in tali esatti sensi
Corte Cost. 12 luglio 1996 n. 244 cui adde, per la statuizione che la
rappresentatività negoziale valorizza l'effettività dell'azione sindacale,
Corte Cost. 4 dicembre 1995 n. 492). Corollario di quanto sinora detto è che
alla stregua della nuova normativa ben possono le rappresentanze sindacali
aziendali essere costituite da una organizzazione sindacale di non rilevanza
nazionale - perchè radicata in una specifica realtà geografica ma che sia tuttavia
sottoscrittrice di un accordo collettivo applicato nell'unità produttiva di
riferimento.
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