Riporto uno stralcio di Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 aprile - 3 luglio 2013, n.
16587.
Trattandosi, ed è pacifico, di fondo di previdenza integrativa, i
versamenti erano preordinati non certo all'immediato soddisfacimento del
lavoratore, ma, proprio in coerenza con la loro funzione, sono stati, e
dovevano essere, accantonati e non direttamente corrisposti, per garantire il
trattamento integrativo in caso di cessazione del rapporto di lavoro, o in caso
di invalidità sopravvenuta, secondo le condizioni previste dal relativo statuto
e con divieto di distrazione ai sensi dell'art. 2117 cod. civ..
Vero è infatti che ai diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro accede,
in questi casi, un ulteriore rapporto contrattuale, che obbliga il datore ai
versamenti per garantire, in presenza delle condizioni prescritte, il
conseguimento di una pensione integrativa di quella obbligatoria.
Questo ulteriore rapporto costituisce un indubbio beneficio per il lavoratore,
il quale però non altera, né modifica, né si compenetra con i diritti ed
obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, ed in particolare, non incide sulle
modalità di erogazione delle indennità ricollegate alla fine del rapporto
medesimo.
4. Il beneficio, che al lavoratore apporta il rapporto di previdenza
integrativa, non è costituito dai "versamenti" effettuati dal datore,
ma dalla pensione che con essi verrà conseguita.
La contribuzione infatti, data la funzione del Fondo, per sua natura non può
entrare nel patrimonio dei lavoratori interessati, i quali possono solo
pretendere che venga versata al soggetto indicato nello Statuto. Il lavoratore
non la riceve né nel corso del rapporto, né alla sua cessazione, essendo solo
il destinatario di una aspettativa al trattamento pensionistico integrativo,
che si concreterà esclusivamente al maturarsi di certi requisiti e condizioni.
Il rapporto di previdenza integrativa ha certamente come necessario presupposto
l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, ma ha poi regole proprie, tra
le quali quella essenziale è certamente l'obbligo del versamento, a carico del
datore di una contribuzione, ed a favore non certo del lavoratore ma,
necessariamente, a favore del soggetto onerato della prestazione integrativa.
Questo obbligo non può però "rifluire" sul rapporto di lavoro ed
alterarne la fisionomia, perché non è in nesso di corrispettività diretta con
la prestazione lavorativa.
Il carattere non retributivo dei versamenti effettuati dal datore per la
previdenza integrativa è avvalorato dal regime previdenziale che li regola.
Va così definitivamente stabilito che i versamenti effettuati dal datore ai fondi di previdenza
complementare, quali che siano i lineamenti del Fondo, non sono assoggettati a
contribuzione Inps ma solo ad un contributo di solidarietà (valido a regime e
riferito anche al passato ma solo per gli anni dal 1 settembre 1985 al 30
giugno 1991), così escludendosi che questi abbiano natura retributiva.
Si badi poi che l'esonero dalla contribuzione AGO non vale solo per il periodo
successivo all'entrata in vigore del DL 103/91, ma anche anteriormente, fin
dal'inizio della istituzione di detti fondi, stante il carattere retroattivo di
questa disposizione, come espressamente confermato dall'art. 1 comma 193 della
legge 662/96 che ha sostituito l'art. 9 bis del DL 103/91, convertito in legge
166/91. Quindi i predetti contributi hanno, ed hanno sempre avuto, natura previdenziale
e non retributiva, onde è infondata la pretesa al loro inserimento nelle
indennità conseguenti alla cessazione del rapporto di lavoro.
Va ancora considerato che
i versamenti effettuati dal datore alle forme pensionistiche complementari non
concorrono neppure a formare il reddito da lavoro dipendente, ai sensi
dell'art. 3 comma 2 lettera a) d.lgs. 314/97.
La sentenza integrale a questo link
Nessun commento:
Posta un commento