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domenica 19 giugno 2011

Trasformazione da Part-time a tempo pieno con l'utilizzo continuo del lavoro supplementare

Con sentenza n. 11905 del 30 maggio 2011, la Cassazione ha affermato che l'utilizzo continuo di lavoro supplementare, in un rapporto a tempo parziale, può ravvisare il presupposto di una trasformazione a tempo pieno. La libertà del lavoratore di rifiutare la prestazione oltre l’orario del part time è ininfluente.
La Suprema Corte ribadisce che: "L’effettuazione in concreto delle prestazioni richieste, con la continuità risultante dalle buste paga, ha evidenziato l’accettazione della nuova regolamentazione”, e ciò “con ogni conseguente effetto obbligatorio” dal momento che ne deriva una modifica “non accessoria” dei contenuti del “sinallagma negoziale".
In altri termini, quindi, la Cassazione rivede un precedente orientamento secondo il quale occorre un consenso esplicito del lavoratore per la trasformazione.
Il punto è di rilevante importanza.
Il ricorso ai contratti part-time è molto frequente nella pratica quotidiana, caratterizzata dalla gran mole di imprese di piccole o piccolissime dimensioni che, per ridurre i carichi contributivi, ricorrono a questa forma contrattuale che, in tal modo, si manifesta sempre di più come strumento elusivo degli obblighi contributivi.
Spessissimo, invece, l'orario di lavoro non solo è di 40 ore, ma anche superiore.
La strategia di difesa dipende molto dalla parte che si rappresenta.
Costituendoci per i dipendenti è "conveniente" sostenere la validità del contratto, al fine di ricondurre a lavori supplementare l'orario eccedente, "premiato" con una maggiorazione sempre superiore a quella prevista per il lavoro straordinario.
Viceversa, difendendo la parte datoriale, le cose si fanno più complicate: non si può certo ritenere parzialmente nullo il proprio contratto, anche perchè ne deriverebbero conseguenze sul piano contributivo.
Fatto sta che la Corte in precedenza affermava che, ovviamente a prescindere dalle suesposte "convenienze", la trasformazione era ed è disciplinata tassativamente per legge con una ben precisa procedura, alla quale non si può sostituire un generico e presunto consenso delle parti.
Con la sentenza sopra richiamata, che ha importanti ripercussioni pratiche, si potrebbe sostenere (se si vuole perseguire tale finalità) che la trasformazione vi è stata di fatto.
Personalmente ritengo errata tale posizione, visto che l’art. 5 del D.Lgs. n. 61/2000 (riforma del Part-time), prevede, al comma 1, quanto segue: “Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento. Su accordo delle parti risultante da atto scritto, convalidato dalla direzione provinciale del lavoro competente per territorio, è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Al rapporto di lavoro a tempo parziale risultante dalla trasformazione si applica la disciplina di cui al presente decreto legislativo”.
La norma è chiara.
Le parti non devono semplicemente accordarsi nel senso di uno svolgimento part-time del rapporto di lavoro, ma devono accordarsi sulla trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale. Oggetto dell’accordo in forma scritta è pertanto la trasformazione del tempo pieno in tempo parziale. La ratio legislativa riposa nell’evidente e logica necessità di consentire al prestatore di lavoro che nel rapporto con il suo datore di lavoro sta intervenendo un mutamento importante. La norma sottolinea infatti che la trasformazione non potrà mai avvenire senza il consenso del lavoratore, e che, in caso di rifiuto di quest’ultimo anche non motivato, il datore di lavoro non potrà in alcun modo pretendere la trasformazione, né, ovviamente, licenziare il lavoratore che si sia rifiutato.
La cassazione, invece, presuppone una possibilità di "trasformazione di fatto" che cozza non solo e non tanto col proprio precedente orientamento ma, soprattutto, con la disposizione di legge.

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