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domenica 19 giugno 2011

Indennità di disoccupazione - Il falso mito della truffa

Costituisce radicato convincimento di molti operatori che il lavoratore che abbia espletato attività lavorativa durante il periodo di disoccupazione e di percezione da parte dell'INPS della relativa indennità, commetta il reato di truffa ai danni dell'INPS.
Spesso tale problematica si pone durante (o anche prima) dei giudizi finalizzati all'accertamento di rapporti di lavoro a nero svolti durante il "periodo di disoccupazione". Si grida allo scandalo e si invita normalmente il ricorrente ... a pensarci bene.
La massima che segue chiarisce che non è sempre così:
L'omessa comunicazione all'INPS di aver preso servizio presso un istituto scolastico, da parte di un uomo che percepisce l'indennità di disoccupazione, non integra il reato di truffa.
(Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 21000/11; depositata il 26 maggio).
Del resto capita costantemente nella pratica quotidiana di trovarsi difronte a casi nei quali il datore di lavoro ha, volente e nolente il lavoratore, interrotto il rapporto. L'accordo, senza dubbio fraudolento, consiste nella continuazione dell'attività, e nella percezione dell'indennità di disoccupazione che talvolta va ad integrare la retribuzione comunque, o in parte, percepita.
A prescindere dai profili penalistici, nel corso dei giudizi riguardanti fattispecie del genere, accade che il datore di lavoro nega il rapporto per interrompere anzianità di servizio e, talvolta, per vedersi accogliere un'eccezione di prescrizione. Taluni giudici, pur difronte ad una verità processuale che attesta l'avvenuto svolgimento del rapporto nei periodi di disoccupazione, dopo breve esitare, propendono per una sorta di non meglio precisata impossibilità della prestazione, rammentando che altrimenti dovrebbero, come si usa dire, inviare gli atti alla Procura.
La sentenza della Corte chiarisce che il principio, quantomeno, non è automatico.

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