In allegato il testo dell'ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Roma a seguito dell'appello proposto da Fabbrica Italia Pomigliano spa e da Fabbrica Italiana Pomigliano spa, avverso l'ordinanza del Tribunale di Roma che aveva ritenuto discriminatorio il licenziamento operato dalle dette aziende di 22 dipendenti.
L'azione è stata originariamente introdotta dalla FIOM che ha agito avvalendosi del disposto di cui all'art. 5 del D.Lgt. 216/2003, in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e lavoro. La norma contempla, come ad esempio nel caso della disciplina in tema di parità di trattamento tra uomo e domma, la possibilità per l'O.S. di agire direttamente in giudizio a tutela dei lavoratori ritenuti discriminati. Il pool difensivo era costituito da legali facenti parte delle organizzazioni territoriali CGIL interessate, quindi anche campane. Altri 3 dipendenti vengono assistiti e rappresentati "tradizionalmente" da avvocati "di libero foro" (cioè non strutturali ad organizzazioni di tendenza, quindi, secondo un mio personale giudizio e con tutto il rispetto per gli avvocati "legati" al sindacato, di libero foro).
L'art. 28 D.Lgt. 150/2011. Il primo nodo da sciogliere attiene alla natura ed al fondamento positivo dell'azione come instaurata in primo grado. L'azione fa leva sul nuovo art. 28 del D.Lgt. 150/2011 (c.d. di semplificazione dei riti). La specifica norma in questione ha la finalità di accorpare in via unitaria la disicplina processuale relativa ad azioni giudiziarie volte a contrastare fenomeni di discriminazione.
Come si comprenderà, non si tratta quindi di discriminazioni necessariamente collegate ai rapporti di lavoro, per cui si pone un primo problema in ordine alla competenza ratione materiae del Giudice del lavoro, un secondo problema in tema di competenza territoriale (individuata dal citato art. 28 nel foro di residenza del soggetto agente, un terzo problema di rito applicabile, un quarto costituito dal raccordo con la disciplina di un altro art. 28, quello dello Statuto Lavoratori l. 300/70 in tema di comportamenti antisindacali.
E' evidente che la FIOM ha deciso di seguire la strada dell'art. 28 del D.Lgt 150/11 perchè tale articolo, al comma 5, prevede un'inversione dell'onere della prova che costituisce un grande vantaggio nelle ipotesi di discriminazioni, consentendo di far emergere la valenza di comportamenti apparentemente neutri se singolarmente considerati.
I veri profili di criticità vengono così risolti dalla Corte di Appello.
1) la competenza funzionale del Giudice del lavoro - Sul punto De Luca Tamajo commette a mio avviso (consentitemi l'insolenza) un errore (a meno che non sia stata una scelta strategica volta ad avere un giudicato da un giudice specializzato). Non ha, stando a quanto si legge nell'ordinanza, contestato, quantomeno in appello (ma riteniamo che il profilo era in dubbio anche nel I grado) tale competenza per materia, per cui va de plano la competenza funzionale del Giudice del Lavoro. L'erroneità della scelta si ricava chiaramente anche dall'inquadramento operato dalla Corte di cui si dirà, ma era ben prevedibile già dalla lettura dell'art. 28.
2) La portata dell'art. 28 D.Lgt. 150/11. La Corte conclude ritenendo che l'art, 28 costituisca una sorta di norma in bianco. Non ha, cioè, un ambito di tutela definito autonomamente, ma è applicabile a tutte le ipotesi di discriminazione positivamente determinate. Pertanto, anche se la libertà sibdacale non è espressamente menzionata, considerato che quest'ultima è tutelata in linea di principio dall'art. 15 SdL, è evidente che la anche a tale ipotesi è applicabile l'art. 28 in parola.
Le varie ipotesi di discriminazioni, quindi, che non godono di uno specifico procedimento (come nel caso proprio dell'art. 28 SDL, da non confondere con quello in esame), devono ricondursi alla disciplina processuale frutto della novella.
3) Il rapporto tra i due artt. 28.La Corte, rigettando l'eccezione sul punto avanzata da FIP, ritiene che la FIOM non ha agito per la tutela di un proprio interesse sindacale, tutelato dall'art. 28 SdL, bensì avvalendosi della tutela diretta prevista dall'art. 28 D.Lgt. 150/11 nell'interesse dei singoli lavoratori. La sommatoria degli interessi dei lavoratori tutelati non coincide di certo con quello complessivo del sindacato. Ha quindi la Corte ribadito l'autonomia e la non sovrapponibilità delle due forme di tutela, affermando, a mio avviso correttamente, che l'art. 28 SdL ha un ambito ben preciso, limitato ai comportamenti "antisindacali", quindi diversi da quelli dei singoli lavoratori anche se essi agiscono collettivamente e si sentono danneggiati per la loro appartenenza sindacale. Ovviamente il tutto si risolve poi in una valutazione di merito, che come tale è da risolvere caso per caso, circa l'impostazione dell'azione. Nel caso di specie la Corte configura l'azione introduttiva come tutela dei singoli e non del sindacato. Mi risulta che FIOM abbia anche agito in sede di art. 28 SDL.
4) La tutela dell'appartenenza sindacale ad opera del D.Lgt. 151/2011. A De Luca Tamajo va dato il merito di aver elevato il livello del dibattito. Egli intende dimostrare che la "liberta sindacale", o meglio, le convinzioni sindacali, che io ridurrei alla semplice "appartenenza sindacale" (trattandosi a mio avviso, soprattutto oggi, di tutela di interessi e non di un'ideologia), non sarebbero oggetto di tutela da parte del D.Lgt. 151. Per dimostrare tanto fa ricorso alle fonti internazionali da cui deriva la disciplina nazionale. La Corte accetta il confronto e si avventura in una analisi semantica dei testi in lingua inglese che è raro apprezzare nei Tribunali. Comunque alla fine del ragionamento conclude nel senso che l'appartenenza sindacale non è esclusa dalla tutela specifca. In particolare la Corte ritiene che le "convinzioni personali" a cui fa riferimento il testo di legge ed oggetto di tutela, siano un sinonimo di "opinioni politiche o sindacali".
Inoltre la Corte ritiene che l'appartenza sindacale costituisca espressione di un credo.
Questa è una pura e semplice assurdità, figlia di convinzioni ottocentesche.
L'appartenenza sindacale costituisce esplicitazione di un'idea o semplice tutela di interessi?
A mio avviso la risposta è la seconda. Diversamente dobbiamo pensare che l'iscrizione di un avvocato ad un'associazione forense, o quella di un panettiere all'associazione panificatori del basso Lazio sia manifestazione di un'ideologia, sintesi di una scelta di vita, concretizzazione di un ideale... Ed allora anche l'industriale che aderisce a Confindustria abbraccia un'idea.
Dobbiamo smetterla con l'ammantare di religiosità gli interessi dei lavoratori subordinati. Oppure eleviamo al rango di fede anche l'appartenenza agli ordini professionali. la posizione espressa dalla Corte, che a mio avviso era centrale nella definizione del giudizio, è frutto dell'idea che è in atto ancora la lotta di classe come negli anni 70, senza rendersi conto che il mondo del lavoro è cambiato. Il discorso sarebbe lungo ma non è ideologico, è pratico.
Nel merito la Corte rigetta l'appello proposto da FIP ritenendo:
a) che l'accordo intercorso tra FGA (Fiat Group Automobiles) e le OOSS, da cui promana la discriminazione secondo il giudice di prime cure, è riferibile anche a Fabbrica Italia Pomigliano, la neocostituita società del gruppo che non aderisce a Confindustria. La Corte conferma l'inapplicabilità dell'art. 2112 c.c. ma osserva come sia evidente che la FIP abbia dato seguito agli accordi assunti dalla FGA, per cui non è possibile oggi ritenere FIP estranea a qell'accordo.
b) La prova della discriminazione. La Corte fa un'importante premessa di metodo: l'art. 28, comma 4, del D.Lgt. 150/2011 prevede che il ricorrente deve solo denunciare la discriminazione e fornire elementi di fatto anche statistici a sostegno, non è necessaria una prova compiuta e, secondo la Corte, sono quindi sufficienti delle presunzioni: è onere di controparte fornire la prova negativa della discriminazione. Ecco quindi riemergere l'importanza della scelta processuale operata dalla FIOM, A questo punto la prova contraria è quasi diabolica.
c) Tutela accordabile. La Corte ritiene che l'unica tutela accordabile sia la reintegra, o meglio, la costituzione ex novo del rapporto ex art. 2932 c.c. per garantire l'effettività della tutela ex art. 28 D.Lgt. 150/2011. La Corte precisa che l'obbligo deve contemperarsi con i criteri adottati per la scelta degli altri dipendenti assunti, da attuarsi nella ristretta cerchia degli aventi diritto. Tuttavia, nell'accogliere l'appello incidentale, precisa che la FIP non ha provato che i 19 lavoratori non hanno i requisiti di professionalità richiesti per l'assunzione degli altri lavoratori, per cui ha precluso anche tale opzione successiva.
Il decisum.
Ordina l'assunzione dei 19 ricorrenti. Ordina l'adozione di un piano per la rimozione delle discriminazioni consistente nell'adozione di un piano di assunzione per i restanti 126 lavoratori iscritti alla FIOM alla data del deposito del ricorso, utilizzando i criteri adottati per la selezione generale.
Accoglie solo il motivo di appello relativo al danno non patrimoniale, in quanto non provato dai ricorrenti.
L'intervento. Alcuni lavoratori hanno proposto un intervento che sa tanto di intervento "civetta". Nel senso che i lavoratori deducono di non essere stati assunti ma di non essere iscritti alla FIOM, con la conseguenza che l'accoglimento delle posizioni della FIOM finirebbe per discriminarli non consentendone l'assunzione. La Corte si pronuncia dapprima in procedura, dichiarando l'intervento ammissibile in appello e compatibile con la cognizione sommaria, poi rigetta le richieste nel merito, assimilandole a quelle proposte paradossalmente dall'appellante. Evidenzia che la rimozione di discriminazioni non può comportare discriminazioni al contrario.
Il testo dell'ordinanza a questo link.
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