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sabato 8 ottobre 2011

ART. 39 E PRINCIPIO DI EFFETTIVITA': TRIBUNALE DI TORINO 15.09.2011



Sintetica ma chiara la disamina che il Tribunale fa in premessa della collocazione sistematica ed ordinamentale di quello che viene definito, con locuzione sintetica, "ordinamento sindacale". 
L'analisi parte da una più profonda disamina delle caratteristiche del nostro sistema di fonti del diritto ed evidenzia le evoluzioni che esso ha avuto nel corso degli anni e del dibattito teoretico (da diritto vigente a diritto vivente). 
Le risultanze di tale processo vengono sistematicamente ignorate, o, peggio ancora, meccanicamente ed inconsapevolmente applicate in una prassi giudiziaria connotata da protagonisti ancorati (per formazione e forma mentis) ad una ottocentesca visione, rigida e formalistica, delle fonti di produzione normativa. 
In tal senso l'art. 39 cost. e, più in generale il diritto del lavoro, fungono senza dubbio da campo di pratica e, nel contempo, da leva di cambiamento dello status quo, imponendo la considerazione del conflitto sociale e della logica del compromesso quale sistema dinamico di produzione normativa e di nuove prospettive di cambiamento. ecco perchè ritengo che il diritto del lavoro, più di ogni altro ambito giuridico, contenga in potenza una  forte spinta di innovazione e cambiamento.
Alla inconscia ostilità per le fonti di produzione normativa "extra-statuali" è dovuta, a ben vedere, la pregiudiziale ostilità all'art. 8 della L. 148/2011, una sorta di horror vacui che ha quindi un fondamento culturale profondo e radicato, ma che è giunto il momento di superare non solo, ripeto, per meccanica applicazione di principi elaborati dalla più avanzata dottrina e giurisprudenza, ma anche per garantire una dinamicità del sistema di produzione normativa al passo con i nuovi scenari, avendo il potere legislativo dato ampia dimostrazione di non riuscire ad interpretare le nuove istanze in tempo utile (fatte le debite eccezioni). 




Art. 39 Cost., principio di effettività, ordinamento sindacale.
è convinzione consolidata tra gli studiosi di diritto del lavoro e di diritto sindacale, da quanto meno trent'anni, che, pur nella persistente inattuazione della seconda parte dell'art. 39 Cost., essa abbia nei fatti trovato un suo radicamento, che ha consentito di attribuire al Contratto Collettivo, nel corso del tempo, la posizione di reale fonte del diritto.
Questa comune convinzione ruota intorno a due capisaldi, il primo dei quali è rappresentato dal principio di effettività, che governa le relazioni industriali, ed il secondo è costituito dall'autonomia (seppur relativa) dell'ordinamento sindacale rispetto all'ordinamento statale.
Iniziamo dal principio di effettività, che com'è noto si è venuto formando nell'ambito degli studi giuridici alla fine del Settecento in Francia e ha poi trovato una precisa e definitiva formulazione negli anni '30 del Novecento da parte di Hans Kelsen (21).
Tale principio può così essere formulato (22):
se l'istituzione di un potere capace di porre norme, il cui ordinamento è di efficacia durevole in un ambito determinato, rappresenta dal punto di vista dei diritto positivo un'autorità che pone il diritto, ciò è dovuto al fatto che questa qualità gli è conferita dal generale riconoscimento o anche, ciò che lo stesso, dal fatto che questo riconoscimento lo autorizza a porre il diritto.
Si tratta di un principio che in certo modo tempera la visione tradizionale del diritto inteso come struttura formale costruita a gradi (23), in cui la fonte superiore legittima quella inferiore e così via.
La realtà degli ordinamenti giuridici contemporanei, infatti, ha evidenziato e fatto emergere, nel corso dei Novecento e nella complessità della società industriale avanzata, l'esistenza di ambiti di produzione normativa autonomi rispetto alle tradizionali fonti statali di produzione del diritto, governate dal principio di effettività e fondate sullo stabile riconoscimento da parte delle categorie professionali di riferimento.
In sostanza si tratta di considerazioni ricavate dall'esperienza concreta, la quale in linea di fatto segnala l'esistenza di corpi normativi diversi da quelli tradizionali, di origine statuale, che è possibile rilevare attraverso strumenti diversi da quelli strettamente giuridici e che rimandano all'osservazione sociologica del diritto.
Il primo autore che all'inizio del Novecento ha dato corpo e fondamento a questo tipo di osservazione è Eugen Ehrlich, fondatore della sociologia dei diritto, al quale si deve la locuzione "lebendes Recht" e cioè "diritto vivente", in contrapposizione a "geltendes Recht", vale a dire "diritto vigente", espressione cioè - in senso positivistico - della statualità delle norme giuridiche (24).
Da quella prima intuizione molte cose sono mutate, con il trascorrere del tempo, e possono essere oggi rappresentate richiamando il seguente passo dovuto a uno dei più acuti osservatori contemporanei delle trasformazioni degli assetti giuridici, Norberto Bobbio, il quale così scrive (25):
"non c'è dubbio che uno degli aspetti più interessanti della discussione intorno al diritto in questi anni è la messa in questione delle fonti tradizionali delle norme giuridiche, anche nei paesi continentali. Questa messa in questione va di pari passo con il rilievo sempre maggiore dato alle cosiddette fonti extralegislative (o addirittura extrastatuali). Che la fonte principale di diritto fosse nello Stato moderno la legge, cioè la norma tendenzialmente generale e astratta posta da un organo a ciò specificamente e in modo esclusivo delegato dalla costituzione, è stato uno dei dogmi del positivismo giuridico in senso stretto: uno degli aspetti attraverso cui si manifesta la crisi del positivismo giuridico è la crescente consapevolezza dell'emergere di altre fonti del diritto che minano il monopolio della produzione giuridica detenuto dalla legge in una società in rapida trasformazione e intensamente conflittuale, come la società capitalistica nell'attuale fase di sviluppo. Le regioni in cui il fenomeno della produzione giuridica extralegislativa si manifesta con maggiore evidenza sono appunto quelle che caratterizzano la società industriale, cioè il diritto dell'impresa e il diritto del lavoro e sindacale".
Tornando a questo punto al principio di effettività va detto che il suo utilizzo, nell'ambito del diritto sindacale, ha avuto un momento di indubbio riscontro e impulso intorno alla metà degli anni '80 del Novecento, allorché sulle riviste giuridiche specializzate si sviluppa il dibattito sui cd. "trentanovismo", con riferimento alla seconda parte dell'art. 39 Cost., alla sua perdurante inattuazione formale, ma anche alla presenza di C.C.N.L. stipulati da sindacati mag-gioritari, come previsto dal 3 comma di tale articolo.
Tale dibattito, introdotto da un articolo dai titolo "Il Trentanovismo è nelle cose" (26) cui sono poi seguiti interventi e replica (27), contribuisce in certo modo a consolidare una nuova prospettiva, senza dubbio da un'angolatura empirica e sociologica, da cui considerare l'ordinamento sindacale e delineare così le sue reali regole di funzionamento.
La prospettiva nuova porta, in progresso di tempo, a ritenere, per comune e consolidata convinzione,
[a] l'ordinamento sindacale come originario, in quanto prescinde dal riconoscimento di quello statale, fondandosi esso sulla reciproca legittimazione e cioè sul reciproco riconoscimento tra organizzazioni sindacali dei prestatori e dei datori di lavoro, costituente la Grundnorm del medesimo (28),
[b] il Contratto Collettivo e le sue norme quali vere e proprie fonti del diritto, come tali dotate, al pari della legge, di efficacia obbligatoria per le categorie di riferimento.
Di tale ultima situazione, indicata sub [b], fa fede la testimonianza autorevole di Norberto Bobbio, che così scrive (29):
"In una società industriale di tipo conflittualistico, il contratto collettivo diventa per un'enorme massa di persone una fonte di regole d'importanza assai più vitale che non la maggior parte delle leggi e leggine emanate dagli organi legislativi".
Questo stato di cose in ordine alla portata del Contratto Collettivo è altresì riscontrabile, seppur sotto traccia, attraverso un attento esame della complessiva giurisprudenza della Corte Costituzionale, come dimostrato da un'autorevole relazione tenuta il 24 maggio 2006 in un convegno organizzato congiuntamente dall'Accademia dei Lincei e dalla Corte Costituzionale (30).
Quanto poi alle regole di funzionamento dell'ordinamento sindacale, va detto che la loro peculiare caratteristica è di essere completamente diverse da quelle statuali, le quali ultime, come è noto, sì fondano sulla distinzione tra norme che regolano la produzione del diritto e norme oggetto di produzione normativa, talché queste ultime trovano la loro legittimazione nelle prime e non sono concepibili se non attraverso un procedimento controllato e definito, destinato a renderle valide solo in quanto rispettano il previsto sistema di produzione normativa.
Le norme che contrassegnano e costituiscono l'ordinamento sindacale, invece, scaturiscono propriamente dalle relazioni industriali e cioè dal conflitto sociale e dai rapporti di forza che questo genera; questo stato di cose fa sì che tali regole debbano essere inquadrate e sussunte nella categoria che nella teoria generale del diritto è conosciuta e definita come "fatto normativo" (31) o "norma extra ordinem" (32), la cui caratteristica è di autoqualificarsi come normative, nei mentre vengono prodotte; in sostanza le regole così venute ad esistenza esprimono al tempo stesso, per così dire, la norma prodotta e la norma sulla produzione (33).
La conseguenza di ciò non sono di non poco momento, nel senso che a dar conto del funzionamento dell'ordinamento sindacale e cioè della sua capacità di assicurare la regolarità dell'osservanza delle sue regole altro non può essere che il riconoscimento che i soggetti interessati e destinatari delle stesse le attribuiscono nel tempo.
Questo tipo di situazione non è percepibile allorché il riconoscimento risulta stabile nel tempo; mentre, viceversa, nel caso in cui accadimenti esterni tendano ad alterare la permanenza di esso, ci si approssima allora a contesti in cui - e a decidere le cose non possono che essere ancora una volta i rapporti di forza che contrassegnano le relazioni industriali - è possibile un mutamento delle norme in vigore fino a quel momento, sol che esse trovino in un nuovo riconoscimento la loro fonte di legittimazione.
Anche lo stesso principio di gerarchia delle fonti normative, che è indubbiamente riscontrabile all'interno dell'ordinamento sindacale (si pensi, ad esempio, ai rapporti tra Accordo Governo-Parti Sociali, contenente le regole sulla contrattazione nazionale, e contrattazione subordinata a tali regole o tra Accordo Interconfederale che disciplina la contrattazione collettiva e Contratto Collettivo o tra Contratto Collettivo Nazionale di settore e Contratto Aziendale interno allo stesso), presenta peraltro portata ed efficacia durevole nel tempo, sino a che le parti sociali, ai diversi livelli, si riconoscono in questo sistema di regole.
La situazione ora descritta è sicuramente riconducibile ad un sistema normativo che presenta una struttura di tipo scalare, in cui la fonte superiore legittima quella inferiore e così via; peraltro si tratta di principio di gerarchia delle fonti che ha una sua validità fondata esclusivamente sul riconoscimento ad opera delle parti sociali.
Con la conseguenza che, ove tale riconoscimento venga meno, per essere la pregressa regolamentazione sostituita dalle parti contrapposte che avevano posto in essere quella precedente, la situazione normativa sarà allora destinata ad assestarsi su equilibri, se del caso, anche assai diversi rispetto a quelli per l'innanzi esistenti.
Ed è ovvio che solo il principio di effettività potrà poi dar conto della capacità di quelle nuove norme di regolare i rapporti sociali; solo alla prova dei fatti è invero possibile stabilire ed inferire se un mutamento normativo intervenuto nell'ambito dell'ordinamento sindacale sia o meno legittimo, essendo il criterio di legittimazione un criterio di ordine meramente fattuale.

8 commenti:

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