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lunedì 24 febbraio 2014

Matteo Renzi: le attese riforme in materia di lavoro (job act).


Tratto da:  www.pietroichino.it.


Le prime difficoltà incontrate da Matteo Renzi nella formazione della sua squadra di governo hanno suscitato qualche perplessità in più di un commentatore, ingenerando il dubbio che, dopo avere alzato progressivamente la posta, il neo-premier non abbia in realtà buone carte da mettere sul tavolo. Ora sulla sua prima promessa, quella del Jobs Act entro marzo, lo stesso Renzi ha la possibilità di mostrare che le cose non stanno così. Non è affatto irrealistico ipotizzare questa successione di mosse:
- primo Consiglio dei Ministri dopo la fiducia: approvazione del disegno di legge-delega sul Codice semplificato del lavoro (il testo della delega, in cinque articoli, è già pronto);
- entro metà marzo: decreto-legge sulla sperimentazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezioni crescenti, con riduzione del cuneo fiscale e contributivo;
- entro marzo: approvazione del disegno di legge-delega almeno in una Camera; emanazione dei decreti sull’utilizzazione delle risorse le politiche del lavoro che devono consentire l’avvio immediato della sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione e il nuovo regime di complementarietà tra Centri per l’Impiego pubblici e servizi privati;
- entro giugno o luglio: emanazione del decreto delegato contenente il Codice semplificato (anche qui l’impianto è già pronto e suscettibile di messa a punto relativamente rapida).
La ragion d’essere di questo nuovo Governo dovrebbe consistere proprio nella sua capacità di eseguire rapidamente anche operazioni ambiziose come questa. Se Renzi si mostrerà capace di farlo, diraderà tutte le nubi che circondano il suo esordio. E stupirà il mondo intero, presentandosi per il semestre di presidenza italiana dell’UE con una credibilità straordinaria. Guai se, invece, proprio il capitolo del lavoro dovesse costituire il primo inciampo, il primo motivo di delusione delle attese straordinarie che lo hanno portato a Palazzo Chigi.

IL CODICE SEMPLIFICATO DEL LAVOROIl progetto mira a sostituire l’intera legislazione di fonte esclusivamente nazionale in materia di rapporti di lavoro e sindacali (a esclusione, dunque, della normativa attuativa di direttive europee) con 70 articoli brevi, di facile lettura e facile traducibilità in inglese, inseriti nel corpo del Codice civile al posto di quelli oggi in vigore o abrogati dedicati rispettivamente alle stesse materie. Esso si articola nel nuovo Codice semplificato dei rapporti di lavoro: disegno di legge 7 agosto 2013 n. S-1006 (Libro V del Codice civile, Del Lavoro, artt. 2082-2134 e 2239-2245) (alla Camera: AC 1891, 11 dicembre 2013), e nel nuovo Codice semplificato dei rapporti sindacali: disegno di legge 31 luglio 2013 n. S-986 (Libro V del Codice civile, Del Lavoro, artt. 2063-2074). I due disegni di legge costituiscono una nuova versione, aggiornata in relazione al dibattito svoltosi nell’ultimo quadriennio, rispettivamente del disegno di legge 11 novembre 2009 n. S-1873 sui rapporti individuali di lavoro  e del disegno di legge 11 novembre 2009 n. S-1872 sui rapporti sindacali. Quanto al contenuto, il Codice semplificato si caratterizza per una riforma della protezione della sicurezza economica e professionale del lavoratore ispirata al principio della flex-security, come raccomandato dall’UE; per ogni altro aspetto esso si limita a riprodurre sostanzialmente la disciplina attuale in forma più semplice e meno intrusiva. Si segnala, peraltro, che lo stesso “formato” del testo legislativo potrebbe essere anche posto al servizio di diverse eventuali scelte di politica legislativa: per esempio quella di lasciare sostanzialmente inalterata la disciplina attuale dei licenziamenti e della Cassa integrazione guadagni; oppure quella di adottare in materia di licenziamenti soluzioni intermedie tra la disciplina attuale e quella proposta nel d.d.l. n. 1006.


di Pietro Ichino.

giovedì 20 febbraio 2014

Rito Fornero. Il Caso Schettino e la pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata (dott. Rocco) approdano alle Sezioni Unite


Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza interlocutoria 3 - 18 febbraio 2014, n. 3838
Presidente Mammone – Relatore Blasutto

Riporto la sentenza integrale a questo link ed una sintesi nel prosieguo.

"Il provvedimento del Tribunale di Torre Annunziata ha statuito sulla sola competenza ed è stato impugnato con regolamento necessario ex art. 42 c.p.c., affinché questa Corte - cui, per la funzione istituzionale di organo regolatore della giurisdizione e della competenza, spetta il potere di adottare decisioni dotate di efficacia esterna (panprocessuale) - determini in modo definitivo quale sia il giudice competente per la causa (Cass. n.6657/99, 13768/2005,14405/08), con pronuncia che non consente di porre ulteriormente in discussione, eventualmente anche sotto profili diversi, le questioni di competenza.
13. Come risulta documentalmente, Costa Crociere s.p.a. ha attivato dinanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Genova, con ricorso ex art. 1, comma 48, legge n. 92/2012, depositato il 18 ottobre 2012, un giudizio di accertamento della validità e legittimità del licenziamento intimato a S.F. il 19 luglio 2012.
Il lavoratore, costituendosi in giudizio, ha eccepito - per quanto interessa in questa sede - la carenza di interesse ad agire della società e l'"inuulizzabilità, per la stessa, del rito Fornero"; ha altresì proposto domanda riconvenzionale, condizionata e subordinata, avente ad oggetto: l'accertamento della inesistenza e/o nullità e/o inefficacia e/o illegittimità e/o ingiustificatezza del licenziamento; domanda di reintegrazione nel posto di lavoro e di condanna della società al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra. La medesima domanda ha formato oggetto della domanda proposta in via principale dal medesimo S. in data 26 novembre 2013 dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata con ricorso ex art. 1, comma 48, legge n. 92/2012.
Risulta inoltre che la soc. Costa Crociere, sempre davanti al Tribunale di Genova, ha proposto "cautelativamente" altro ricorso ex art. 414 c.p.c. in data 22 ottobre 2012, di contenuto identico a quello proposto ex art. 1, comma 48 legge n. 92/2012. In tale giudizio, il resistente S. ha eccepito l'inammissibilità dell'avverso ricorso e, in subordine, la litispendenza e/o la continenza tra la stessa causa e quella anteriormente proposta da Costa Crociere ex art. 1, comma 48 legge n. 92/2012 al Tribunale di Genova il 18 ottobre 2012.


Si pongono, dunque, nella vicenda all'esame questioni di interferenza tra le azioni esperite da ciascuna delle parti a mezzo del rito speciale di cui all'art. 1, commi 47, 48 e 49 legge n. 92/2012 e tra queste e quella proposta dal datore di lavoro con il rito ordinario di cui all'art. 414 c.p.c.. In tale contesto, ad avviso del Collegio, sembra avere carattere logico pregiudiziale la questione della ammissibilità o proponibilità o "fruibilità" dell'azione di mero accertamento proposta da parte datoriale a mezzo del c.d. rito Fornero, dalla cui risoluzione dipende anche l'esito dell'ulteriore questione interpretativa concernente l'ammissibilità in fase sommaria della domanda riconvenzionale proposta dal lavoratore ai sensi dei citati commi 47, 48 e 49 legge n 92/2012.
16. Il Giudice del provvedimento impugnato ha ritenuto sussistere un'ipotesi di litispendenza tra il giudizio innanzi a sé proposto e quello pendente dinanzi al Tribunale di Genova e, ai sensi dell'art. 39, primo comma, c.p.c., ha disposto la cancellazione della causa dal ruolo. Nel pervenire a tale soluzione, ha affermato che l'identità deve essere ravvisata nella sovrapponibilità delle due domande al momento della decisione, alla stregua di una valutazione che include necessariamente (solo così potendosi ravvisare identità di domande) quella proposta in via riconvenzionale. 


Va inoltre osservato che il provvedimento impugnato, nel pervenire alla declaratoria di litispendenza, ha superato positivamente la questione dell'ammissibilità delle questioni preliminari di rito nella fase sommaria, questione anch'essa allo stato controversa.

mercoledì 19 febbraio 2014

LO STRAORDINARIO "FUORI BUSTA" - ASPETTI SANZIONATORI

MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI - Nota 06 febbraio 2014, n. 2642
Quesito sul lavoro straordinario "fuori busta"
In relazione al quesito in oggetto si rappresenta quanto segue.
Le disposizioni per le quali si chiede l'applicabilità, in sede di ordinanza ingiunzione, del principio di specialità, ai sensi dell’art. 9 della L. n. 689/1981, sono:

- l’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003 secondo il quale "il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro (...)";

- gli artt. 1 e 3 della L. n. 4/1953 secondo i quali "è fatto obbligo ai datori di lavoro di consegnare, all’atto della corresponsione della retribuzione, ai lavoratori dipendenti, con esclusione dei dirigenti, un prospetto di paga in cui devono essere indicati il nome, cognome e qualifica professionale del lavoratore, il periodo cui la retribuzione si riferisce, gli assegni familiari e tutti gli altri elementi che, comunque, compongono detta retribuzione, nonché, distintamente, le singole trattenute (...)" e "il prospetto di paga deve essere consegnato al lavoratore nel momento stesso in cui gli viene consegnata la retribuzione".

La problematica concerne pertanto la verifica se una delle due disposizioni possa considerarsi per l'appunto "speciale" rispetto all'altra.
Ai sensi dell'art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003, il trasgressore incorre nella sanzione di cui all’art. 18-bis, comma 6, dello stesso Decreto qualora ometta di computare "a parte" il lavoro straordinario e o non corrisponda "maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro".
Quanto all’illecito di cui alla L. 4/1953 è invece necessario che il prospetto paga sia "infedele" e non dia conto delle "singole trattenute".
In relazione alle finalità delle citate disposizioni va invece evidenziato che, mentre quella del 2003 vuole consentire al lavoratore una verifica sia sulle ore di lavoro straordinario effettivamente svolto che sulla retribuzione dello stesso secondo i parametri della contrattazione collettiva, la disposizione del 1953 vuole consentire una verifica su tutta la retribuzione e sulle trattenute effettuate.
Inoltre la disciplina del 2003, indicando un obbligo di computabilità "a parte" del lavoro straordinario sembra evidentemente presupporre che lo stesso sia stato comunque "computalo" nel totale della retribuzione corrisposta.
Ciò premesso, nel caso di specie la condotta appare più grave nel momento in cui le maggiorazioni in questione non siano state neanche computate nell'ambito del totale retributivo corrisposto come avviene per i cd. fuori busta il che comporta l'applicazione delle sanzioni previste dalla L. n. 4/1953, non a caso più severe rispetto a quelle legate alla violazione dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003.
Da tale ragionamento appare dunque corretta l’applicazione della sanzione prevista per la violazione degli artt. 1 e 3 della L. n. 4/1953 mentre va verificata l'applicabilità della sanzione legata alla violazione dell'art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003 in relazione alla "residua" illiceità della condotta, con particolare riferimento alla corresponsione di maggiorazioni retributive inferiori a quelle comunque previste dalla contrattazione collettiva.
In altri termini, in caso di fuori busta si ritiene che trovino applicazione le sanzioni di cui alla Legge del 1953 e, qualora gli importi corrisposti siano inferiori a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, anche la sanzione di cui al D.Lgs. n. 66/2003.


martedì 18 febbraio 2014

LICENZIAMENTO PER SOPRAVVENUTA INFERMITA' PERMANENTE

La sopravvenuta infermità permanente (o quanto meno la cui durata temporale sia indeterminata o indeterminabile), se comporta l'inidoneità (anche parziale: Cass. 14 dicembre 1999 n. 14065) del lavoratore a svolgere le mansioni assegnategli, può costituire un GMO di licenziamento, per impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Perché il licenziamento sia legittimo devono sussistere le seguenti condizioni:
- stato di malattia tale da non consentire una prognosi definitiva di durata (Cass. 27 agosto 1993 n. 9067);
- assenza in capo al datore di lavoro di un apprezzabile interesse alle prestazioni lavorative (anche ridotte) del dipendente (Cass. 20 maggio 1993 n. 5713);
- impossibilità di adibire il dipendente a mansioni equivalenti o anche inferiori, compatibili con il suo stato fisico (Cass. SU 7 agosto 1998 n. 7755; Cass. 18 aprile 2011 n. 8832;Cass. 23 aprile 2010 n. 9700:. Resta fermo che ricollocamento del lavoratore deve avvenire senza alterare o imporre modifiche all'assetto organizzativo dell'azienda (Cass. 13 settembre 2012 n. 15348; Trib. Bassano del Grappa 12 ottobre 2010 n. 88).
Il datore di lavoro può intimare il licenziamento (art. 1464 c.c.) senza attendere necessariamente il compimento del periodo di comporto (Cass. 14 dicembre 1999 n. 14065).
La legittimità del licenziamento deve essere valutata al momento dell'intimazione, non rilevando l'eventuale successivo recupero da parte del lavoratore della propria idoneità fisica (Cass. 24 gennaio 2005 n. 1373).
L'onere di provare l'impossibilità di reimpiego in altre mansioni ricade sul datore di lavoro, mentre al lavoratore non può addossarsi altro onere che quello di allegazione della nuova possibilità di lavoro (Cass. 6 luglio 2011 n. 14872).

1) L'accertamento dell'inidoneità sopravvenuta può provenire dal medico competente previsto dalla normativa in materia di sicurezza (D.Lgs. 81/2008) o dalla Commissione medica istituita presso l'ASL (organo competente secondo la legge: art. 5 L. 300/70). D'altra parte anche il giudizio di inidoneità espresso dalla competente commissione medica non è vincolante per il giudice (Cass. 25 luglio 2011 n. 16195), che può giungere a conclusioni diverse tramite il proprio CTU.
2) L'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte è riconosciuta anche quando il datore di lavoro dimostri che una diversa utilizzazione in altra unità o reparto dell'azienda può essere attuata solo con un maggiore onere economico (Cass. 19 giugno 1993 n. 6814) o modificando le proprie scelte organizzative (Cass. 7 marzo 2005 n. 4827).
3) Qualora per evitare il licenziamento sia possibile solo l'assegnazione a mansioni inferiori, il lavoratore deve essersi dichiarato disponibile ad accettare la variazione dell'attività assegnatagli (Cass. 6 marzo 2007 n. 5112).

La legittimazione attiva del lavoratore nelle azioni contro gli istituti previdenziali


L’obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie ha per soggetto attivo l’istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore di tali contributi nella sua interezza, mentre il lavoratore è unicamente il beneficiario della prestazione previdenziale e resta estraneo a tale rapporto obbligatorio (Cass., n. 4083/1976).

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 dicembre 2013 – 14 febbraio 2014, n. 3491


"La fattispecie di assicurazione sociale va infatti scomposta in due rapporti, tra loro autonomi: quello previdenziale, intercorrente fra il lavoratore e l'ente pubblico, e quello contributivo, che lega quest'ultimo al datore di lavoro. Vi è poi il sottostante rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, che ha ad oggetto l'obbligo di costituire la provvista, ossia di pagare i contributi agli enti previdenziali.
Tale regime si ricava dalla previsione dell'art. 2115 c.c., che al primo comma prevede la distribuzione tra datore di lavoro e lavoratore dell'onere economico per la contribuzione alle istituzioni previdenziali e assistenziali ed al secondo comma precisa che il datore di lavoro è responsabile del versamento dei contributi, ossia assume la veste di debitore verso l'ente assicuratore, anche per la parte a carico del lavoratore, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali. Costituisce applicazione di tale regime l'art. 19 della L. 218 del 1952 ("Riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti"), secondo il quale "il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario è nullo.
Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce
".

Questa Corte ha da tempo preso atto della scomposizione dei diversi rapporti, con l'affermazione secondo la quale "l'obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie ha per soggetto attivo l'istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore di tali contributi nella loro interezza, mentre il lavoratore è unicamente il beneficiario della prestazione previdenziale e resta estraneo a tale rapporto obbligatorio" (Sez. 1, Sentenza n. 4083 del 08/11/1976).
7. La legittimazione ad agire secondo la previsione dell'art. 81 c.p.c. è una condizione dell'azione che presuppone di norma l'astratta riferibilità del diritto sul piano normativo a colui che agisce, secondo lo schema regolatore del diritto oggetto del giudizio.
Dall'assenza di titolarità di diritti ed obblighi per coloro che restano al di fuori dei diversi rapporti sopra delineati (contributivo, previdenziale, di provvista) discende che la legittimazione ad agire in giudizio sussiste solo in relazione ai rapporti in cui ciascuno è parte; sulle questioni che attengono agli altri rapporti si determina invece il difetto di legittimazione processuale (e salva la possibilità di intervenire ad adiuvandum), sia pure per ottenere pronunce di mero accertamento. È proprio in ragione del fatto che il rapporto contributivo si instaura solo tra il datore di lavoro e l'ente di previdenza o assistenza, anche per la parte di contributi che sono dovuti dal lavoratore, che questa Corte ha chiarito che il datore di lavoro è l'unico legittimato a chiedere all'ente previdenziale la restituzione dei contributi indebitamente versati e che in tale caso il lavoratore potrà agire nei confronti del datore di lavoro per la restituzione della sua quota (Cass. Sez. L, n. 8888 del 14/04/2010, n. 13936 del 25/9/2002, n. 12842 del 27/12/1993).
In applicazione degli stessi principi si è affermato inoltre che il lavoratore non ha azione verso gli enti previdenziali per costringerli all'azione di recupero dei contributi, dovendo a tal fine agire per il versamento nei confronti del datore di lavoro (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6911 del 26/05/2000).
Nel caso in esame, i lavoratori non potevano quindi agire in via autonoma nei confronti dell'Inps per l'accertamento del rapporto di lavoro subordinato, né tantomeno potevano chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, essendo loro attribuiti nel caso di omissione contributiva solo il rimedio previsto dall'art. 2116 c.c. e la facoltà di richiedere all'INPS la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 L. 1338/1962 pari alla quota di pensione che sarebbe spettata in relazione ai contributi omessi (Sez. L, n. 26990 del 07/12/2005). Sussisteva quindi il loro difetto di legittimazione processuale, sicché il processo deve concludersi con una decisione in rito in quanto l'azione non poteva essere proposta"

sabato 1 febbraio 2014

CONTRIBUTO UNIFICATO E CONTROVERSIE IN MATERIA DI ASSISTENZA E PREVIDENZA

Nel settore dell'assistenza obbligatoria a favore dei lavoratori — anche in assenza di un esplicito richiamo nella disposizione speciale, di cui all'art. 13, comma 6-bisdel d.P.R. n. 115/2002 — è comunque applicabile l'esenzione, disposta dall'art. 9, comma 8 della legge n. 488/1999, ora trasfuso nell'art. 10, comma 1, del T.U. n. 115/2002, secondo cui « Non è soggetto a contributo unificato il processo già esente, secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore, dall'imposta di bollo.... »: imposta non dovuta, appunto, in materia di rapporti di lavoro e assicurazioni sociali obbligatorie, nonché in genere in materia assistenziale, secondo l'allegato B al d.P.R. 26.10.1972, n. 642 (disciplina dell'imposta di bollo), nonché in base al ricordato art. 10 della legge n. 533/1973 (esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro).

Riforma Tar Campania, Napoli, sez. III, n. 1188/2007).

Autorità: Consiglio di Stato    sez. VI
Data:
20/06/2013
Numero:
3357
Parti
Ist. naz. della previd. soc.  C.  M. S.a.s.   
Fonti
Foro Amministrativo - C.d.S. (Il) 2013, 6, 1707 (s.m) 

PASSAGGIO DI CANTIERE E PENDENZE PENALI DEL LAVORATORE


Quando l'assunzione di un dipendente non è frutto di una libera scelta dell'impresa datrice di lavoro, ma è diretta applicazione di un accordo sindacale, tale circostanza non può essere di per sé solo rilevante ai fini antimafia e ciò in base al condivisibile principio secondo cui le pendenze penali dei dipendenti assunti da un'impresa in forza del c.d. passaggio di cantiere non possono assumere alcun significato indiziario a danno dell'impresa stessa.

Autorità:
T.A.R.  Napoli (Campania)  sez. I
Data:
07/01/2013
Numero:
157
Parti
Soc. E.E.   C.  Min. int.    
Fonti
Foro Amministrativo - T.A.R. (Il) 2013, 1, 189 (s.m) 

Telecamere di videosorveglianza nei supermercati e tutela dei lavoratori

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 novembre 2013 – 30 gennaio 2014, n. 4331
Presidente Squassoni – Relatore Graziosi

"3.1 II primo motivo adduce violazione dell'articolo 4, comma 2, L. 300/1970, negando che l'installazione dell'impianto audiovisivo sia di per sé integrativa della condotta criminosa. La norma, invero, stabilisce: "Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti". La norma, tuttora vigente pur non trovando più (cfr. Cass. sez. III, 24 settembre 2009 n. 40199) sanzione nell'articolo 38, comma 1, sempre dello Statuto dei lavoratori dopo la soppressione del riferimento all'articolo 4 nel suddetto articolo 38, comma 1, operata dall'articolo 179 d.lgs. 196/2003 (che colma la lacuna con il combinato disposto dei suoi articoli 114 e 171), prevede una condotta criminosa rappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori, qualora non vi sia stato consenso sindacale (o autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati: Cass. sez. III, 17 aprile 2012 n. 22611) o permesso dall'Ispettorato del lavoro. Secondo il ricorrente, tuttavia, non è sufficiente l'installazione dell'impianto, occorrendo anche una "successiva verifica della sua idoneità": e poiché l'impianto "è stato eseguito in conformità al progetto allegato alla richiesta di autorizzazione in seguito approvato, è palese che il reato non sussiste perché le modalità delle riprese visive, peraltro effettuate soltanto dopo ottenuta l'autorizzazione della D.P.L., non sono tali da ledere la privacy dei lavoratori". Che l'idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, sia necessaria affinché il reato sussista emerge ictu oculi dalla lettura del testo normativo - idoneità che peraltro è sufficiente anche se l'impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l'installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno -. L'esistenza di tale idoneità, invece, si colloca sul piano fattuale, per cui sono inammissibili al riguardo le doglianze del ricorrenteAd abundantiam si osserva comunque che tale accertamento è stato effettuato, come emerge dalla descrizione dell'impianto nella sentenza impugnata, impianto inclusivo di otto micro­camere a circuito chiuso, "alcune puntate direttamente sulle casse": ed è dei lavoratori alle casse che l'imputazione contesta la violazione della privacy.
3.2 Il secondo motivo lamenta la mancata concessione del beneficio di cui all'articolo 175 c.p., sulla base del fatto che il Tribunale sarebbe incorso in "una macroscopica contraddizione" laddove ha ritenuto più favorevole all'imputato non concedere i benefici di legge, il che non sarebbe condivisibile quanto alla non menzione nel certificato del casellario giudiziale. Il motivo è manifestamente infondato, poiché - se lo si intende, conservativamente, come denuncia di vizio motivazionale - non sussiste incongruità nel ragionamento del Tribunale, in quanto il modestissimo livello dell'ammenda (Euro 200) logicamente incide in senso negativo sull'opportunità di concedere qualunque beneficio di legge. Peraltro, non si può non rilevare che lo stesso imputato, nelle sue conclusioni, non ha chiesto la concessione di alcun beneficio di legge e che, qualora in sede di merito non sia stato richiesto il beneficio della non menzione, la sua mancata concessione non è deducibile con il ricorso per cassazione (Cass. sez. IV, 29 ottobre 2008 n. 43125).
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende".

Docenti di scuola privata - gli indici della subordinazione

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 novembre 2013 - 30 gennaio 2014, n. 2056
Presidente Stile – Relatore D’Antonio

"La Corte afferma la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso tra i docenti e la scuola fondando la sua decisione essenzialmente, se non in via esclusiva, sulla libertà di insegnamento ad essi riconosciuta essendo tenuti soltanto a svolgere i programmi stabiliti dal Ministero. Il giudice di merito tuttavia, non ha valutato che detto requisito, non posto in discussione neppure da controparte, non è idoneo ad escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Deve considerarsi, altresì, che questa Corte ha più volte affermato che "In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato oppure autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto - con accertamento di fatto incensurabile in cassazione, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato - accordando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto". (cfr Cass. n. 5886 del 13/04/2012).
L'elemento della subordinazione (che si connota, soprattutto, per l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro), che consente di distinguere il rapporto di lavoro di cui all'art. 2094 cod. civ. dal lavoro autonomo, non costituisce un dato di fatto elementare, quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto, potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze, richiedenti una complessiva valutazione,e ciò, in particolare, nei rapporti di lavoro, aventi natura professionale ed intellettuale che è rimessa al giudice del merito.
Quest'ultimo, a tal fine, non può esimersi, nella qualificazione del rapporto di lavoro, da un concreto riferimento alle sue modalità di espletamento ed ai principi di diritto ispiratori della valutazione compiuta allo scopo della sussunzione della fattispecie nell'ambito di una specifica tipologia contrattuale. Pertanto, se tale apprezzamento di fatto non è immune da vizi giuridici e non è supportato da un'adeguata motivazione, non si sottrae al sindacato di legittimità.
Nella specie la Corte ha rilevato l'insussistenza del rapporto di lavoro subordinato con motivazione che appare del tutto apodittica e, quindi, inidonea a sorreggere la predetta conclusione. La Corte territoriale ha ritenuto irrilevanti elementi quali l'obbligo di comunicare l'assenza per consentire la sostituzione in aula dei docenti, la partecipazione dei docenti ai consigli di classe o ai colloqui con i genitori, lo stabile inserimento nell'organizzazione aziendale con obbligo di osservare gli orari.
Ha omesso, tuttavia, di spiegare le ragioni per cui tali elementi sono irrilevanti. Non ha, inoltre, neppure riferito circa le modalità della retribuzione".