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lunedì 31 dicembre 2012

Riforma Fornero: la sua specialità e il rapporto con gli altri riti. I criteri intepretativi




Tratto da: 
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL NUOVO RITO PER L’IMPUGNAZIONE
DEI LICENZIAMENTI E DISCIPLINA DELLA FASE DI TUTELA URGENTE

dott. Paolo Sordi (Presidente I sezione Lavoro del Tribunale di Roma).

L’altra evidente caratteristica dell’intervento del legislatore è la scelta di non ricorrere a qualcuno dei modelli processuali già rinvenibili nell’ordinamento, ma di crearne uno nuovo, in chiara (ed immediata) smentita del lodevole proposito di semplificazione dei riti che aveva condotto, meno di anno prima, all’emanazione del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Si aggiunga che quello creato dal legislatore del 2012 è un rito difficilmente assimilabile ad uno di quelli già presenti nell’ordinamento. Invero, come pure è stato notato3, esso presenta alcune caratteristiche proprie del procedimento di repressione della condotta antisindacale di cui all’art. 28 della legge n. 300 del 1970, altre tipiche del procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli artt. 702-bis ss. c.p.c. ed altre ancora comuni alla disciplina del procedimento cautelare uniforme (artt. 669-bis ss. c.p.c.). È pertanto impossibile qualificare il nuovo modello processuale come una species di qualcuno di quei genera e occorre invece riconoscere che si tratta di un rito con proprie caratteristiche che si affianca a quelli già noti.
Una simile conclusione non è priva di conseguenze: una volta ammessa la piena specificità del procedimento di cui all’art. 1 della legge n. 92 del 2012, al fine di risolvere questioni di natura interpretativa poste dalla sua disciplina, non è possibile ricorrere sempre e comunque a soluzioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in riferimento ad uno dei tre modelli processuali prima ricordati; quelle elaborazioni vanno sicuramente tenute presenti, ma limitatamente ai singoli tratti di disciplina che siano sovrapponibili con quelli del nuovo rito; e comunque sempre previa verifica della compatibilità della soluzione con le specifiche caratteristiche e la ratio del procedimento introdotto dal legislatore del 2012.
Invece, al fine di colmare le lacune della disciplina della legge n. 92 del 2012 (nella quale manca la regolazione di numerosi aspetti del procedimento, anche di indubbia rilevanza, come, ad esempio, la competenza per territorio), occorre, in generale, far riferimento alle disposizioni codicistiche in materia di controversie di lavoro4. Vale a dire che la disciplina dettata dagli artt. 409ss. c.p.c. si applica alle controversie in questione per tutto quanto non previsto dall’art. 1, commi da 48 a 65 (ovviamente a condizione che sussista la compatibilità di cui si è detto in precedenza). Seppure nella legge n. 92 del 2012 manchi un’espressa disposizione in tal senso, tale conclusione può essere agevolmente argomentata sulla base dell’espressione utilizzata dal legislatore, il quale non ha qualificato la disciplina da esso dettata come esaustiva; esso invece si è limitato a prevedere che quella disciplina «si applica» alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti, presupponendo, quindi, che si tratti di una disciplina “aggiuntiva”, per così dire, a quella che ordinariamente regola quella categoria di controversie. E tale è, appunto, quella del Capo I del titolo IV del libro secondo del codice di rito che, a norma dell’art. 409, n. 1, c.p.c. si applica a tutte le controversie relative a rapporti di lavoro subordinato privato.
A conforto di tale conclusione si aggiungano, da un lato, la già segnalata irriducibilità del nuovo rito ad uno degli altri procedimenti “speciali” (con conseguente impossibilità di ricorrere alla disciplina di questi ultimi per colmare le lacune di quella della legge n. 92 del 2012) e, dall’altro, che, considerato l’oggetto delle controversie di cui qui si tratta, è sicuramente maggiormente coerente con il generale ordinamento giuridico processualcivilistico ricondurre tali cause al rito codici stico del lavoro, piuttosto che al rito ordinario.


mercoledì 26 dicembre 2012

Rito Fornero: la prima pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata

In allegato l'ordinanza resa con rito Fornero dal dott. Aldo Rizzo, giudice del lavoro presso il Tribunale di Torre Annunziata. 
L'ordinanza presuppone l'applicabilità del rito Fornero anche ai licenziamenti intimati prima dell'entrata in vigore della L. n. 92 (tempus regit actum), e l'inapplicabilità, agli stessi, del nuovo testo dell'art. 18 SdL. 
Come si noterà, l'istruttoria e lo schema decisorio ricalcano sostanzialmente quello del procedimento ordinario. E' infatti ovvio che in ogni caso, anche in presenza di giudizio sommario, il Giudice sia tenuto (fosse solo per opportuna prudenza, tenuto conto della rilevanza delle decisioni in tema di licenziamenti) ad escutere testi ed a valutare la risoluzione secondo i canonici criteri dettati dal legislatore e dalla giurisprudenza. Pertanto si perviene ad un risultato che di sommario ha ben poco, con l'indubbio vantaggio (per entrambe le parti in causa) di una trattazione veloce (deposito del ricorso del 10 agosto, decisione del 5 dicembre, con escussione di sei testi e con concessione di termini per note!).
La pronuncia tratta poi nel merito alcuni punti di interesse ricorrente, quali il tema del licenziamento per ritorsione, gli oneri di prova in tema di licenziamento, la ricorrenza della giusta causa.
In allegato, a questo link, il testo integrale dell'ordinanza.

DAL 1° GENNAIO 2013 ENTRA IN VIGORE L'ASPI: ADDIO ALL'INDENNITA' DI DISOCCUPAZIONE IN NOME DELLA FLEXICURITY !


Dal 1° Gennaio entra in vigore il nuovo sistema delineato dalla Legge Fornero (92/2012) volto a sostituire (tra l'altro) la vecchia "indennità di disoccupazione".
Il punto saliente risiede nell'introduzione di una nuova modalità di finanziamento posta a carico delle aziende che licenziano.
Tale criterio risente senza dubbio dei principi ispiratori della flexicurity, strategia integrata volta a promuovere contemporaneamente la flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro, e, per essere più precisi, dell'apporto tecnico del Prof. Ichino (come ormai risaputo da tutti). Vengono escluse ipotesi di risoluzione "non sospette", quali quelle conseguenti alla scadenza degli appalti (con la precisazione che il rapporto deve essere assistito da clausole contrattuali di salvaguardia dei livelli occupazioni che consentono il passaggio alle aziende subentranti: es art. 6 CCNL FISE o art. 4 Pulizie - Multiservizi).
I datori di lavoro saranno tenuti al versamento di uno specifico contributo per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.

Altro punto di novità, animato pur sempre dallo stesso criterio ispiratore, risiede nella maggiore incidenza della contribuzione a carico dell'azienda nei caso di contratti a termine. 
Le aziende saranno tenute ad un contributo addizionale, pari all’1,40% della retribuzione imponibile, con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato.
Per effetto di tale disposizione, la contribuzione complessivamente dovuta per l’Aspi si attesterà in misura pari al 3,01% (1,61% + 1,40%) della retribuzione imponibile, fatte salve le eventuali riduzioni del contributo di cui al comma 25 (1,31%).

Vengono esclusi: 1)lavoratori assunti con contratto a termine in sostituzione di lavoratori assenti;  2) lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionalic) apprendisti; d) lavoratori dipendenti (a tempo determinato) delle pubbliche amministrazioni.

L'INPS ha pubblicato la circolare n. 140/2012 che riassumo di seguito:

La legge 28 giugno 2012, n. 92, di riforma del mercato del lavoro, in conformità agli scopi indicati all’art. 1, comma 1,all’art. 2, reca disposizioni in materia di ammortizzatori sociali, al fine di renderne il complessivo assetto più efficiente, coerente ed equo (v. art. 1, co. 1, lett. d).
L’art. 2, co. 1 istituisce, con decorrenza 1° gennaio 2013, presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti ex art. 24 della legge n. 88/89, l’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI), con la funzione di fornire ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione un’indennità mensile di disoccupazione.
Tale nuova assicurazione - che sostituisce la preesistente assicurazione contro la disoccupazione involontaria - si caratterizza per l’ampliamento della platea dei soggetti tutelati, per l’aumento della misura e della durata delle indennità erogabili agli aventi diritto, nonché per un sistema di finanziamento alimentato da un contributo ordinario nonché da maggiorazioni contributive.
In particolare, l’ASpI erogherà un trattamento di sostegno al reddito in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dalla predetta data del 1° gennaio 2013, sostituendo le preesistenti indennità di disoccupazione non agricola ordinaria con requisiti normali e l’indennità di disoccupazione speciale edile nonché, a far tempo dal 1° gennaio 2017, l’indennità di mobilità di cui all’art. 7 della legge n. 223/91.
Con i successivi commi da 20 a 24 del medesimo articolo 2, la legge introduce, altresì, un’ulteriore nuova misura (mini ASpI), destinata a sostituire la precedente indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti.
Sono inclusi nella nuova assicurazione tutti i lavoratori dipendenti, ivi compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito, con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata ex art. 1, co. 3, legge n. 142/2001 e successive modificazioni, con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni.
Per il finanziamento delle assicurazioni ASpI e mini ASpI, la legge n. 92/2012 dispone l’obbligo di versamento delle seguenti contribuzioni: ordinario (art. 2, co. 25-27 e co. 36); addizionale (art. 2 co. 28-30);
contributo dovuto in caso di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni (art. 2, co. 31-35).
Contributo ordinario.
L’art. 2, co. 25, della legge n. 92/2012 stabilisce che, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2013, al finanziamento delle indennità erogate dalla nuova assicurazione concorrono i contributi di cui agli artt. 12, sesto comma, e 28, primo comma, della legge n. 160/75.
Tali norme determinavano, rispettivamente, l’aliquota del contributo integrativo per l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria (1,30% della retribuzione imponibile), nonché la percentualizzazione del contributo base dovuto per la predetta assicurazione DS (0,01% della retribuzione imponibile).
Di conseguenza, il contributo ordinario di finanziamento delle indennità ASpI e mini ASpI, posto a carico dei datori di lavoro, è pari all’1,31% della retribuzione imponibile.
L’aliquota contributiva dell’1,31% deve essere incrementata anche del contributo dello 0,30%, ai sensi dell’art. 25 della legge n. 845/78 il quale, come noto, è destinato – per le aziende che vi aderiscono - al finanziamento dei Fondi interprofessionali per la formazione continua, ovvero devoluto al Fondo di rotazione del Ministero dell’Economia (2/3) e del Lavoro (1/3).
Per effetto dell’insieme delle disposizioni citate, i datori di lavoro sono tenuti a versare un contributo complessivo pari all’1,61% (1,31% + 0,30%) della retribuzione imponibile.
Riduzioni del contributo ordinario.
L’art. 2, co. 26, dispone che sui contributi di cui al precedente comma 25 (1,31%), continuano a trovare applicazione le eventuali riduzioni del costo del lavoro di cui all’art. 120 della legge n. 388/2000 ed all’art. 1, co. 361, della legge n. 266/2005, nonché le misure compensative di cui all’art. 8 del D.L. n. 203/2005, convertito con modificazioni nella legge n. 248/2005, previste in relazione ai maggiori oneri finanziari sostenuti dai datori di lavoro per il versamento di quote di TFR alle forme pensionistiche complementari ovvero al Fondo di Tesoreria.
Contributo addizionale.
Con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2013, l’art. 2, co. 28, della legge n. 92/2012 introduce un contributo addizionale, pari all’1,40% della retribuzione imponibile, dovuto dai datori di lavoro con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato.
Per effetto di tale disposizione, la contribuzione complessivamente dovuta per l’Aspi si attesterà in misura pari al 3,01% (1,61% + 1,40%) della retribuzione imponibile, fatte salve le eventuali riduzioni del contributo di cui al comma 25 (1,31%).
Esclusioni
Il successivo co.29 indica i casi di esclusione dall’obbligo di versamento del contributo addizionale.
Tale contributo non è dovuto con riferimento alle seguenti categorie di lavoratori:
a) lavoratori assunti con contratto a termine in sostituzione di lavoratori assenti;
b) lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963, nonché - per i periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015 – per lo svolgimento delle attività stagionali definite tali dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011, dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative;
c) apprendisti;
d) lavoratori dipendenti (a tempo determinato) delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni.
Restituzione del contributo addizionale.
L’art. 2, co. 30, della legge di riforma disciplina i casi di restituzione, nel limite massimo di sei mensilità, del contributo addizionale in argomento. Al fine, infatti, di incentivare le stabilizzazioni dei rapporti di lavoro, la norma prevede che il contributo dell’1,40% potrà essere recuperato (superato il periodo di prova) dai datori di lavoro che, alla scadenza, trasformano il rapporto in un contratto a tempo indeterminato.
La restituzione può avvenire anche se il datore di lavoro, entro 6 mesi dalla scadenza del contratto a termine, riassume il medesimo lavoratore a tempo indeterminato.
In tal caso, tuttavia, opererà una riduzione corrispondente ai mesi che intercorrono tra la scadenza e la stabilizzazione.
In sintesi, quindi, la restituzione piena (sei mensilità) ricorrerà solamente nei casi di trasformazione (entro la scadenza) del contratto da tempo determinato a indeterminato nonché nell’ipotesi di stabilizzazione intervenuta il mese successivo a quello di scadenza del contratto a termine.
Nei casi di stabilizzazione successiva, opererà la contrazione prevista dalla norma.
Contributo dovuto nei casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni.
L’art. 2, commi 31 – 35, della legge di riforma introduce e disciplina un ulteriore contributo destinato al finanziamento dell’ASpI.
È previsto, infatti, che, in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni, intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, i datori di lavoro siano tenuti al versamento di uno specifico contributo per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Ai sensi dell’art. 2, co. 32, il contributo è dovuto anche per le interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore, ivi compreso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di formazione di cui all’art. 2, co. 1, lett. m) del D.lgs. n.167/2011.
Il contributo in argomento non è dovuto, per il periodo 2013 – 2015, nei seguenti casi:
licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNNLL;
interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.
In merito ai criteri di determinazione del contributo e alle modalità di versamento si fa riserva di successive indicazioni.

lunedì 24 dicembre 2012

Rito Fornero - assenza di preclusioni istruttorie


Il ricorso secondo il rito c.d. Fornero contempla il richiamo dell’art. 125 c.p.c. ed il mancato richiamo dell’art. 414 c.p.c.. Per simmetria deve ritenersi che anche in materia di costituzione del convenuto, il mancato richiamo dell’art. 416 c.p.c. abbia un rilievo,  quanto meno nel senso di escludere la parte della norma che prevede la  decadenza per la mancata indicazione dei mezzi di prova.
Nel ricorso introduttivo devono,  pertanto, ai sensi dell’art. 125, essere indicati: l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni. L’atto deve essere sottoscritto dalla parte se sta in giudizio personalmente o dal difensore che deve indicare il proprio codice fiscale, l’indirizzo di posta elettronica ed il numero di fax. Se si raffronta quanto richiesto dall’art. 125 con quanto richiesto dall’art. 414 c.p.c. si evince che in entrambi i casi devono essere indicati giudice e parti, nonché l’oggetto  della domanda. L’art. 125 richiede l’indicazione delle «ragioni della domanda» e delle «conclusioni». L’art. 414 «l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni». La differenza non è incisiva. La prima norma consente un’esposizione più generale e sintetica, ma richiede comunque l’indicazione della domanda e delle ragioni su cui la stessa si fonda. La diversità più consistente riguarda la prova. Solo l’art. 414 c.p.c.  richiede, al n. 5, “l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi ed in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione”. Niente di analogo vi è nell’art. 125.
Deve, quindi, trarsene la conseguenza che il rito speciale per i licenziamenti può essere avviato anche senza l’indicazione specifica dei mezzi di prova. Il che trova riscontro nella disciplina dell’attività istruttoria definita dal comma 49.
Ovviamente sarebbe del tutto incostituzionale un’interpretazione della norma tale da imporre solo alla parte resistente degli oneri decadenziali in tema di indicazione dei mezzi di prova.
A ciò si aggiunga la libertà incondizionata di produzione documentale.

domenica 23 dicembre 2012

Illegittimità del licenziamento - conseguenze contributive prima e dopo la legge Fornero

Nel caso di licenziamenti intimati prima dell'entrata in vigore della L. n. 92/2012 (Legge "Fornero"), il regime risarcitorio/contributivo è sintetizzabile dalla seguente pronuncia:

Nel regime di stabilità reale previsto dall'art. 18 l. n. 300 del 1970, nel periodo compreso tra la data dell'illegittimo licenziamento e quello della pronuncia giudiziale contenente l'ordine di reintegra del lavoratore, durante il quale il rapporto di lavoro è quiescente ma non estinto, rimangono in vita il rapporto assicurativo previdenziale ed il corrispondente obbligo del datore di lavoro di versare all'ente previdenziale i contributi assicurativi (v. Corte cost. n. 7 del 1986); i contributi previdenziali sono dovuti indipendentemente dalla erogazione della retribuzione, e vanno commisurati a quella che sarebbe stata la normale retribuzione nell'intero periodo, anche se non coincidente con l'importo del danno liquidato in applicazione dei criteri di risarcimento fissati dalla legge. Cass. SSUU n. 15143/2007.


-   La Corte, sulla premessa che la pronuncia d'illegittimità del licenziamento ha natura costitutiva ed effetti retroattivi, che comportano la non interruzione, de iure, del rapporto di lavoro, assicurativo e previdenziale, ha tratto la conseguenza che, in tale ipotesi, per l'omesso o tardivo versamento dei contributi, sono applicabili le sanzioni di cui all'art. 1, comma 217, della legge n. 662 del 1996, con esclusione della sanzione una tantum ove la denuncia spontanea sia intervenuta nei sei mesi dal temine stabilito per il pagamento, senza che rilevi, a tal fine, il momento della pronuncia giudiziale di annullamento del licenziamento, salva la prevista denuncia spontanea nei sei mesi dal termine stabilito per il relativo pagamento, e non dalla suddetta pronuncia giudiziale di annullamento. Tale decisione si è posta in contrasto, per quanto riguarda la prima affermazione, con Cass. 5 dicembre 1997 n. 12366, e, per quanto riguarda la seconda affermazione, con Cass. 1º aprile 2009 n. 7934.
  Cass. n. 402/2012.

Nel caso di licenziamenti intimati dopo l'entrata in vigore della L. n. 92/2012 (Legge "Fornero"), il regime contributivo dei licenziamenti illegittimi è stato modificato con l'accoglimento dell'opzione giurisprudneziale di gran lunga minoritaria fino a quel momento e con l'evidente fine di non penalizzare eccessivamente (o ulteriormente) le aziende: ciò quantomeno nell'ipotesi di risarcimento c.d. attenuato.  
Infatti, ai sensi del terzo periodo dell’art. 18, comma 4, come novellato dall’art. 1, comma 42, della legge n. 92 del 2012, nei casi di reintegrazione con risarcimento attenuato il versamento dei contributi previdenziali è maggiorato degli interessi legali, senza l’aggravio di quelle sanzioni civili che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, costituiscono una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, in funzione di rafforzamento dell’obbligazione contributiva e di predeterminazione legale della misura del danno subito dall’Istituto previdenziale.
Ovviamente si comprenderà anche che in tal caso non viene "danneggiata" la posizione del lavoratore, trattandosi di sanzioni che andavano corrisposte all'INPS e, quindi, al sistema di gestione contributiva obbligatoria, ma, appunto, l'INPS. Per cui, tenuto conto del fatto che sul complessivo bilancio dell'Istituto gravano innumerevoli voci, tra cui gli ammortizzatori sociali e tutto il ramo assistenziale, è di tutta evidenza che la "premialità" introdotta, ribadiamo in opposizione alla consolidata Giurisprudenza, finirà per danneggiare la fiscalità generale, il sistema contributivo globalmente inteso, e le classi sociali più deboli. A ciò si aggiunga che tale delineata innovazione, finisce anche per premiare, o quantomeno per non sanzionare come prima, proprio quelle ipotesi di totale evasione contributiva (leggi lavoro nero) verso cui si proclama a parole guerra senza quartiere.  
Proprio l’espressa disposizione di esenzione per le fattispecie di reintegrazione attenuata di cui al comma 4 consente di affermare che le sanzioni civili sono certamente dovute nella diversa ipotesi di reintegrazione con risarcimento integrale, per le quali il legislatore nulla dispone. Le stesse saranno calcolate, di regola, nella misura prevista dall’art. 116 della legge n. 388 del 2000 per l’ipotesi più grave di evasione contributiva, perché il credito dell’Istituto previdenziale non è evincibile dalla documentazione di provenienza del soggetto obbligato, e questo fa presumere l’esistenza della volontà del datore di lavoro di occultare l’esistenza del presupposto di legge al fine di non versare i contributi. Non si possono però escludere casi di mera omissione, qualora si tratti di illecito non imputabile al datore di lavoro, o comunque questi provi l’assenza di dolo.

Sia nel regime anteriore che in quello successivo alla legge Fornero, alla contribuzione dovuta, maggiorata delle sanzioni civili o solo degli interessi di legge, si aggiunge poi l’obbligo per il datore di lavoro di versare all’Istituto previdenziale la quota a carico del lavoratore, posto che il diritto alla trattenuta viene meno nel caso in cui il datore di lavoro abbia omesso il versamento dei contributi all’ente previdenziale entro il termine stabilito.

L'aliunde perceptum contributivo.

La Legge Fornero ha inciso anche sul tema del c.d. aliunde perceptum contributivo.
Prima della novella, la contribuzione eventualmente maturata dal lavoratore non veniva in rilievo ai fini dell'obbligo contributivo (di tipo risarcitorio) conseguente al licenziamento illegittimo o inefficace.
La l. Fornero ha introdotto anche in tal caso una disposizione premiale (o meno gravosa) per i soli casi (come sopra) di licenziamenti sanzionati con il ristoro attenuato. Sono quindi esclusi i casi (tanto per intenderci) dei licenziamento inefficaci e di risarcimento "integrale".
Nella suddetta ipotesi la condanna riguarderà solo il "differenziale contributivo": ai sensi del comma 4, terzo e quarto periodo, del nuovo art. 18, il datore di lavoro, nei soli casi di reintegrazione con risarcimento attenuato, “è condannato al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, (…) per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre prestazioni lavorative. In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro”.

Occorre precisare che:
- nel suddetto caso di risarcimento attenuato l'obbligo contributivo non si limita ai 12 mesi ma si estende a tutto il periodo; 
- la contribuzione deve calcolarsi tenendo conto del nuovo e diverso sistema di articolazione e deduzione dell'aliunde perceptum (e percipiendum) retributivo;
- pur se non detto esplicitamente, la limitazione al differenziale contributivo andrà negata allorquando le attività sono tra loro compatibili astrattamente;
- la detrazione dovrà al più riguardare la contribuzione obbligatoria (non volontaria) effettivamente versata e risultante; 
- occorre inoltre verificare la detraibilità di contribuzioni afferenti gestioni diverse da quelle ordinarie (ad esempio casse professionali);
- nel caso di dichiarata risoluzione del rapporto e solo di obbligo risarcitorio, comma 5 e 6 art. 18, il risarcimento sarà da intendersi comprensivo dell'obbligo contributivo;